Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9545 del 22/04/2010

Cassazione civile sez. III, 22/04/2010, (ud. 07/04/2010, dep. 22/04/2010), n.9545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10334/2005 proposto da:

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

Roma Piazza CAVOUR presso la Cancelleria della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’Avvocato PASANISI ALFREDO con studio in

74100 TARANTO Corso Umberto, 129 con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 23/2005 del TRIBUNALE di TARANTO, Terza

Sezione Civile, emessa il 07/07/2004;

depositata il 03/01/2005; R.G.N. 580/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2010 dal Consigliere Dott. SEGRETO Antonio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 29.1.2004 P.A. proponeva appello avverso la sentenza del giudice di pace di Taranto del 3.6.2003, con cui veniva respinta la sua domanda riconvenzionale nei confronti di SARA s.p.a., convenuta da D.M.M.C., insieme al P., per il risarcimento del danno da sinistro stradale. La riconvenzionale del P. nei confronti della sua assicuratrice atteneva al rimborso delle spese processuali sostenute nel giudizio per resistere alla pretesa risarcitoria della D.M., a norma dell’art. 1917 c.c.. Proponeva appello il P.A..

Il Tribunale di Taranto, con sentenza depositata il 3.6.2005, rigettava l’appello.

Riteneva il tribunale che il P., quanto alle spese dovute nei confronti della D.M., era coperto dall’assicuratrice, che era stata condannata in solido al pagamento delle stesse; quanto alle spese sostenute per la domanda riconvenzionale proposta nei confronti della D.M. per pretesi danni da quest’ultima causati, le stesse non erano coperte dall’assicurazione.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione P. A..

Non ha svolto attività difensiva l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1917 c.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Assume il ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata non ha condannato la Sara al pagamento delle spese di difesa sostenute con il suo difensore per resistere all’azione del danneggiato, sostenendo che la difesa del P. aveva avuto una funzione diversa dalla mera resistenza alla pretesa della danneggiata, in quanto era relativa anche alla domanda riconvenzionale contro questa. Assume il ricorrente che in ogni caso il tribunale aveva omesso di decidere sulla sua domanda di ristoro delle spese di difesa.

2. Il motivo è inammissibile per inconferenza con le ragioni della decisione.

Il tribunale ha infatti ritenuto che la domanda di rimborso presentata dal convenuto nei confronti della Sara, sua assicuratrice, attenesse esclusivamente alle spese processuali per proporre la domanda riconvenzionale e non per resistere alla domanda attorea del danneggiato e conseguentemente ha rigettato la domanda di ristoro di tali spese, avanzata dal convenuto nei confronti della sua assicuratrice Sara.

A fronte di tale interpretazione della domanda del P. nei confronti della Sara, il primo (che assumeva invece di aver richiesto il rimborso delle spese per resistere alla domanda dell’attrice) avrebbe dovuto censurare l’impugnata sentenza non per violazione della norma sostanziale di cui all’art. 1917 c.c., (poichè nessuna applicazione di tale norma è stata effettuata) ovvero per violazione dell’art. 112 c.p.c., (poichè una decisione sulla domanda proposta nei confronti della Sara, è stata pur data), ma avrebbe dovuto impugnare la sentenza per erronea interpretazione della domanda, facendo valere vizi di motivazione nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, è tuttavia censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera incongrua e cioè senza riguardo all’intero contesto dell’atto con alterazione del senso letterale, dovendosi tener conto, in tale operazione, della formulazione testuale dell’atto nonchè del contenuto sostanziale della pretesa in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, elemento rispetto al quale non assume valore condizionante la formula adottata dalla parte medesima (Sentenza n. 22893 del 09/09/2008).

L’inconferenza dei motivi della censura comporta l’inammissibilità della stessa.

La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, statuito che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (ex multis, Cass. 07/11/2005, n. 21490;

Cass. 24/02/2004, n. 3612; Cass. 23/05/2001, n. 7046). L’inconferenza del motivo comporta che l’eventuale accoglimento della censura risulta comunque privo di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidoneo a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass. Sez. Unite, 12/05/2008, n. 11650).

3. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 87 disp. att. c.p.c. e dell’artt. 75 e 77 c.p.c., nonchè del vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuta l’esistenza di poteri rappresentativi in virtù di procura speciale. Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata erroneamente ha ritenuto che fosse valida la procura rilasciata al difensore dal procuratore speciale C.G., in quanto questi non aveva mai dimostrato l’idoneità dei poteri rappresentativi, non esibendo ritualmente alcuna procura; che in ogni caso egli era dotato solo di poteri di tipo processuali e non sostanziale e quindi, non poteva conferire mandato a difensore a norma dell’art. 77 c.p.c..

Lamenta, altresì,il ricorrente il vizio di interpretazione dell’impugnata sentenza nell’interpretare la predetta procura.

4.1. Il motivo è infondato.

Il giudice di merito ha infatti accertato che il procuratore che si è costituito per la Sara s.p.a. è stato regolarmente officiato dal procuratore speciale della società, avv. C.G., provvisto, con scrittura del 4.11.2002, autenticata per notar Negri da Roma, di idonei poteri rappresentativi anche sostanziali di questa, per la quale, infatti poteva anche transigere e conciliare la controversia.

Quanto alla pretesa irritualità della produzione di tale procura va osservato che le norme (art. 74 ed 87 disp. att. c.p.c.) relative alla produzione dei documenti sono finalizzate a garantire il diritto di difesa della parte contro la quale tali documenti sono prodotti.

Tale finalità si deve ritenere conseguita e l’eventuale irritualità della produzione risulta sanata quando il giudice abbia tenuto conto dei documenti irritualmente prodotti, fondando su di essi la decisione e la parte che lamenta l’irritualità della produzione abbia censurato la decisione, dimostrando – così – di avere avuto conoscenza dei documenti (Cass. n. 771 del 20/01/2004).

Nella fattispecie il ricorrente ha censurato la decisione assumendo che la procura in questione era relativa solo a rappresentanza processuale e non sostanziale. Il che dimostra che egli ha avuto conoscenza del documento e sullo stesso ha potuto difendersi.

4.2. In ogni caso la censura è anche inammissibile per mancato rispetto del principio di autosufficienza, non risultando trascritta nel ricorso la procura in questione.

Qualora, con il ricorso per Cassazione, venga dedotta l’omessa od insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata o erronea valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del et., ecc.), è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o erroneamente valutata), che il ricorrente precisi – ove occorra, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva erroneamente valutata, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, il controllo deve essere consentito alla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (Cass. 23.3.2005, n. 6225; Cass. 23.1.2004, n. 1170)).

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla per le spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Nulla per le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2010

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