Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9541 del 29/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/04/2011, (ud. 16/02/2011, dep. 29/04/2011), n.9541

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26118-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

M.G., F.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 40/2 005 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,

depositata il 28/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2011 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA CONCETTA SAMBITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SANTORO MASSIMO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La CTR della Toscana, con sentenza n. 40/32/05, depositata il 28.6.2005, ha confermato la sentenza della CTP di Grosseto, che aveva accolto il ricorso proposto da M.G. e F. V. avverso l’avviso di accertamento relativo all’IRPEF del 1992, sul rilievo che erano stati considerati, oltre al possesso di una casa e di un’autovettura, i ricavi provenienti dalla gestione, in società di fatto tra i contribuenti, di un ristorante, il cui accertamento era, però, stato annullato.

Per la cassazione di tale sentenza, ricorrono il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. Gli intimati non hanno presentato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, va affermata la regolarità della notifica del ricorso effettuata nei confronti degli intimati – che non erano costituiti in appello – ex art. 330 c.p.c., u.c. presso la loro residenza in (OMISSIS). Le SU di questa Corte, con la sentenza n. 29290 del 2008, cui si presta adesione, hanno, infatti, chiarito che, mancando, nel processo tributario, una disposizione specifica per la notifica degli atti d’impugnazione (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 disciplina le notificazioni endoprocessuali), va applicata la norma prevista dall’art. 330 c.p.c., in virtù del richiamo alle disposizioni del codice di rito, contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 49.

2. Sempre in via preliminare, va rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non ha partecipato al pregresso grado di giudizio: a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, avvenuta con D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e divenuta operativa dal 1 gennaio 2001 (D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1), si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001 spetta all’Agenzia, e la proposizione dell’appello da parte o nei confronti della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).

3. Con l’unico, articolato, motivo di ricorso, l’Agenzia, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, difetto di motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 5, e 4, afferma che il giudice d’appello non ha considerato che l’accertamento era scaturito dalle dichiarazioni rese dagli stessi contribuenti, in risposta ai questionari loro inviati, che avevano evidenziato il possesso di beni e redditi – una residenza ed un’autovettura – con riferimento ai quali il reddito era stato rideterminato in modo sintetico. La ricorrente aggiunge che la disponibilità di tali beni non era poi stata contestata dai contribuenti, i quali non avevano dedotto elementi in base ai quali affermare che la misura del reddito era eccessiva, rispetto alle caratteristiche dei beni posseduti.

4. Il motivo è fondato.

Dopo aver affermato che l’accertamento dell’Agenzia era a “carattere sintetico”, i giudici d’appello hanno, però, ritenuto “evidente il riferimento all’accertamento societario”, rilevando che non sarebbe stato diversamente possibile “pervenire alla determinazione di reddito sintetico di L. 15.498.000 in base alla proprietà di una autovettura del lontanissimo 1973 ed alla proprietà (al 50% tra i coniugi) di una casa di 87 mq., pure in assenza di redditi dichiarati”. Così operando, la CTR è incorsa nella denunciata violazione di legge, che ha carattere assorbente, e ciò in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 16284/2007, n. 327/2006, n. 19252/05) fatta propria in questa sede, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, nel testo modificato dall’art. 1 della L n. 413 del 1991, applicabile “ratione temporis” riconnette valore di “elementi indicativi di capacità contributiva” alla disponibilità “in Italia o all’estero” dei beni indicati dal precedente art. 2, quale modificato dalla L. n. 413 del 1991, stesso art. 1, tra i quali vengono, specificatamente, menzionati gli “autoveicoli” e le “residenze principali o secondarie”. La disponibilità di tali beni, al pari degli altri indicatori citati dalla norma, costituisce, quindi, una presunzione legale di capacità contributiva, ai sensi dell’art. 2728 c.c., dato che è la stessa legge ad imporre di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva, presunzione che è di tipo relativo, essendo salva la prova contraria da parte del contribuente in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile, o perchè già sottoposta ad imposta o perchè esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma (cfr., anche, Corte Cost. ord. n. 297/2004). Ne consegue che, una volta accertata la sussistenza degli “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, il giudice tributario può soltanto valutare la prova che il contribuente offra, ma non anche invalidare la presunzione di capacità “contributiva” che il legislatore ha associato alla loro ricorrenza.

L’impugnata sentenza, che non si è attenuta a tali principi, va, in conclusione, cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., col rigetto del ricorso dei contribuenti.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità, in base al criterio legale della soccombenza, vanno poste a carico degli intimati ed in favore dell’Agenzia, e vanno liquidate in Euro 900,00, oltre spese prenotate a debito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, accoglie quello dell’Agenzia, cassa e, giudicando ex art. 384 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo. Condanna gli intimati al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore dell’Agenzia, liquidate in Euro 600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2011

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