Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9541 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 12/04/2017, (ud. 23/02/2017, dep.12/04/2017),  n. 9541

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26707/2014 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO

VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato MARIO ANTONINI (Studio

Antonini) rappresentato e difeso dagli avvocati MAURIZIO BARRELLA,

SUSANNA PIZZORNO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante, in proprio e quale mandatario della SOCIETA’

DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA SCIPLINO, CARLA

D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 99/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 09/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2017 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. la Corte di appello di Cagliari, in accoglimento degli appelli svolti dall’INPS, ha riformato la sentenza di primo grado e, per l’effetto, ha rigettato le opposizioni proposte dall’attuale ricorrente avverso sette cartelle esattoriali, per il pagamento di contributi dovuti alla gestione commercianti, per il periodo dal 2002 al 2010, oltre somme aggiuntive;

2. per la Corte territoriale, premesso che l’iscrizione al Registro delle imprese di società esercente il commercio non faceva discendere, in capo ai soci e amministratori, la sussistenza dei requisiti richiesti dalla L. n. 160 del 1975, art. 29, per far scattare l’obbligo assicurativo, era risultato assolto l’onere probatorio, gravante sull’INPS, in ordine all’espletamento di attività da parte del D. – socio ed amministratore unico della Vela Shop s.r.l. esercente commercio di abbigliamento – solo in parte rientranti nei poteri di amministrazione e attinenti, per il resto, all’ordinario lavoro aziendale e alla conduzione del negozio di abbigliamento, come emerso dalle risultanze istruttorie;

3. D.M. ricorre avverso tale sentenza;

4. l’INPS, anche quale mandatario della S.C.C.I. s.p.a., resiste con controricorso;

5. il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

6. il primo motivo, con il quale si deduce violazione di legge (L. n. 160 del 1975, art. 29), involge censura che, per come formulata, non può essere esaminata in questa sede di legittimità, posto che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa mentre, viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, come nel motivo in esame, è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, ora, solo alla stregua del novellato art. 360 c.p.c., n. 5, nel senso chiarito da Cass. sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053);

7. il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (v., fra le tante, Cass. 26 marzo 2010, n. 7394 del 2010);

8. nella specie il ricorrente deduce, per l’appunto, un’erronea applicazione della legge in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa;

9. anche il secondo e terzo motivo d’impugnazione, dedotti per violazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e per insufficiente motivazione, con i quali si assume che la decisione impugnata si sarebbe basata su prove testimoniali (e relativi verbali d’udienza) assunte in altro procedimento, e non su prove formate nel giudizio, e abbia ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sull’INPS, che nulla ha allegato in proposito, quanto alle attività riconducibili all’attività di amministratore e a quelle diverse operative, in carenza dell’assolvimento dell’onere probatorio, sono del pari inammissibili;

10. un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; 3) abbia invertito gli oneri probatori, poichè, in realtà, nessuna di queste tre situazioni è rappresentata nei motivi anzidetti le relative doglianze sono mal poste e così anche con riguardo al preteso malgoverno delle risultanze istruttorie, in quanto, pur sotto un’intitolazione evocativa dei casi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, parte ricorrente non ha formulato altro che pure questioni di merito, sollecitando una generale rivisitazione del materiale di causa e chiedendo un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità;

11. quanto al vizio motivazionale dedotto, basta rilevare che con la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, è deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti e il controllo della motivazione è confinato sub Specie nullitatis, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (nel senso chiarito da Cass., Sez. Un., n. 8053/14);

12.il ricorso deve dichiararsi inammissibile, con condanna al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo;

1.3. la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi) e di provvedere in confonnità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.700,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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