Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9540 del 12/04/2021

Cassazione civile sez. II, 12/04/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 12/04/2021), n.9540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23532/2019 proposto da:

T.R., rappresentato e difeso dall’avv. AMERIGA MARIA

PETRUCCI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL e MINISTRO PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA, depositato il

13/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.R. – cittadino del (OMISSIS) – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Potenza avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Foggia, che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’aver deciso d’espatriare poichè, morso da serpente alla gamba nel (OMISSIS), era stato male curato, sicchè era venuto in Italia per curare detta infermità e di temere in caso di rimpatrio di non ricevere più le cure adeguate.

Il Tribunale potentino ebbe a rigettare il ricorso ritenendo la vicenda personale narrata dal ricorrente non rientrante nelle fattispecie disciplinate dalla normativa sulla protezione internazionale; ritenne non sussistente nel Ghana una situazione socio-politica caratterizzata da violenza diffusa e non concorrente condizione di vulnerabilità – malattia documentata – ai fini della protezione umanitaria.

Il richiedente asilo ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale lucano articolato su tre motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente evocato, s’è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dal T. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17.

Con la prima ragione di doglianza il T. lamenta violazione della norma ex art. 106 Cost., comma 2, con conseguente nullità poichè il decreto adottato dal Collegio potentino risulta redatto con la collaborazione di Giudice Onorario di Pace, il quale provvide alla trattazione della lite in udienza ed un tanto in contrasto con il disposto costituzionale che limita l’utilizzo dei Magistrati onorari alle sole funzioni monocratiche, mentre la questione risulta funzionalmente assegnata alla cognizione del Tribunale in formazione collegiale.

La censura appare manifestamente sotto ambedue i profili evocati.

Difatti è insegnamento pacifico e costante di questa Suprema Corte – Cass. sez. 1 n. 12214/03, Cass. sez. 2 n. 4426/17, Cass. sez. 1 n. 32307/18 – che la collaborazione di un Magistrato in tirocinio ovvero Onorario nella redazione del provvedimento giudiziario non vizia in alcun modo lo stesso, poichè appunto il Magistrato collaboratore non assume la paternità dello stesso che rimane sempre in capo al Magistrato componente del Collegio decidente, che lo sottoscrive ancorchè la mera redazione è avvenuta con l’ausilio del Magistrato non componete il Collegio giudicante.

E’ altresì patentemente priva di fondamento – Cass. sez. 1 n. 4887/20, Cass. sez. 1 n. 3356/19 – la dedotta nullità in relazione alla circostanza che l’udienza di trattazione del ricorso sia stata celebrata avanti il GOP, posto che è consentita D.Lgs. n. 116 del 2017, ex art. 10, la delega al Magistrato onorario anche di alcune incombenze nell’ambito di procedimenti di competenza collegiale.

Con il secondo articolato mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, in relazione al diniego della protezione sussidiaria da parte del Tribunale.

Anzitutto il ricorrente rileva omessa pronunzia da parte del Tribunale in ordine alle ipotesi D.Lgs. n. 215 del 2007, ex art. 14, lett. a), b), poichè nella motivazione del decreto impugnato alcun cenno è stato fatto al riguardo di dette ipotesi di persecuzione.

La censura appare patentemente priva di fondamento posto che il Tribunale ha puntualmente messo in rilievo come dal narrato reso dal T. – espatrio per curarsi – appare evidente che egli non era stato oggetto di alcuna persecuzione sia rientrante nell’ipotesi afferenti lo status di rifugiato che ai sensi della protezione umanitaria.

Dunque nel proporre detta censura il ricorrente non opera confronto alcuno con la motivazione del decreto impugnato, con conseguente inammissibilità della stessa.

Quindi il T. rileva violazione della norma D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e motivazione apparente od intrinsecamente contraddittoria, posto che il Tribunale nemmeno ha accolto la sua domanda di godere della protezione sussidiaria in ragione della situazione polito-sociale ghanese connotata da violenza diffusa.

A sostegno della sua critica il ricorrente rileva come il Tribunale ha, da un lato, messo in rilievo una situazione istituzionale del Ghana all’apparenza normale e dall’altro ha ricordato le criticità sociali e politiche che ancora travagliano la vita del Paese, così argomentando in forza id affermazioni inconciliabili logicamente e fattualmente.

Inoltre per lumeggiare l’effettiva situazione socio-politica del suo Paese e palesare l’erronea interpretazione fornita dai Giudici potentini, il T. ritrascrive passi del rapporto Amnesty, utilizzato per la sua valutazione da parte del Tribunale.

L’argomentazione critica svolta non coglie il nocciolo giuridico della questione esaminata dal Tribunale secondo il dettato di legge, ossia la concorrenza in Ghana di una situazione socio-politica connotata da violenza diffusa, nell’accezione di detto concetto offerta dalla Corte Europea nell’ambito della disciplina comunitaria alla base della legislazione nazionale in materia di protezione internazionale.

La contraddittorietà delle argomentazioni enfatizzata nella censura portata, appare dato che lumeggia invece come il Collegio lucano ebbe partitamente ad analizzare la questione sulla scorta d’informazioni ritenute affidabili anche dal ricorrente, poichè ha posto in evidenza come, se anche presenti ancora delle criticità nella situazione socio-politica ghanese, queste non producevano una condizione di violenza generalizzata, anzi come sia costante cure dell’Autorità assicurare il progressivo miglioramento delle condizioni di vita sociali e politiche della popolazione.

Dallo stesso rapporto Amnesty ritrascritto nel ricorso è dato apprezzare come la valutazione del Tribunale appaia in linea con quanto in questo riferito, sia nel rilevare le persistenti criticità che l’assenza di violenza diffusa, secondo l’accezione offerta per tale concetto dalla Corte Europea.

Quindi in definitiva il T. si limita a postulare tesi alternativa rispetto alla valutazione elaborata dal Tribunale, richiedendo a questa Corte di legittimità un inammissibile apprezzamento di merito.

Infine il ricorrente rileva violazione di legge per suo mancato ascolto e per l’erronea valutazione della sua credibilità.

Osserva il ricorrente come la sua audizione in sede giudiziale fu carente e manchevole anche perchè non era presente l’interprete e come la valutazione delle dichiarazioni da lui rese non venne effettuata dal Tribunale secondo le disposizioni di legge in materia.

La censura mossa appare generica in quanto viene dedotto vizio di nullità per mancato ascolto pur dando atto d’aver presenziato all’udienza e d’esser stato ascoltato dal Giudice, anche se con la precisazione di conoscere poco la lingua italiana e senza l’ausilio dell’interprete.

Tuttavia, contemporaneamente si contesta la corrispondenza a quanto da lui dichiarato della conclusione del Tribunale che invece egli aveva sensibilmente mutato la causa dell’affezione alla gamba, ragione fondante la sua scelta d’espatriare per esigenza di cure adeguate.

Inoltre la censura pecca di non autosufficienza posto che si contesta il travisamento delle dichiarazioni rese in udienza, da parte del Collegio lucano, e si opera riferimento ad atto non specificatamente indicato tra i documenti depositati in questa sede di legittimità – doveroso a sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 – e nemmeno viene riportato il passo delle sue dichiarazioni – in tesi – travisato dal primo Giudice, così impedendo a questa Corte Suprema ogni apprezzamento di fatto al riguardo.

La residua parte dell’argomentazione critica si compendia in astratta illustrazione della normativa e giurisprudenza al riguardo, senza confronto con la motivazione resa dai Giudici potentini centrata sulla sensibile mutazione del narrato reso ossia della causa genetica dell’affezione alla gamba – morso di serpente ovvero incidente di giuoco.

Con il terzo mezzo d’impugnazione il T. rileva violazione del disposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, in relazione alla statuizione di rigetto della sua istanza di godere della protezione umanitaria.

Già la contemporanea e promiscua deduzione ed illustrazione di più e, tra loro, anche logicamente inconciliabili vizi di legittimità, lumeggia l’inammissibilità del motivo, ma pure in concreto lo stesso si compendia in apodittica ed astratta contestazione della decisione assunta senza un effettivo confronto con la motivazione esposte al riguardo da parte del Tribunale.

Difatti il Collegio potentino ha puntualmente messo in evidenza come il racconto del richiedente asilo circa la genesi dell’asserita affezione alla gamba non era credibile, poichè significativamente mutata nel corso delle sue audizioni, ma soprattutto come non risultava versato in atti da parte del ricorrente alcuna certificazione medica idonea a comprova dell’asserita infermità.

A fronte di detta esaustiva valutazione, il ricorrente si limita a riproporre enfatizzazione circa l’instabile situazione socio-politica del Ghana e della diversa capacità economica tra questo Paese e l’Italia, così proponendo argomentazione critica che non si confronta con la motivazione esposta dal Tribunale potentino a sostegno della sua statuizione sul punto.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione costituita, tassate in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il T. a rifondere all’Amministrazione costituita le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2021

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