Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9539 del 29/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/04/2011, (ud. 16/02/2011, dep. 29/04/2011), n.9539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30918/2006 proposto da:

ROSSI & C SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 102 presso lo

studio dell’avvocato FRANSONI GUGLIELMO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RUSSO PASQUALE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore prò

tempore, elettivamente domiciliati in Roma via DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 97/2005 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,

depositata il 03/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato FRANSONI GUGLIELMO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato SANTORO MASSIMO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Rossi & e. s. p. a ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale della Toscana dep. il 3/10/2005 che aveva, rigettando l’appello dell’Ufficio, confermato la sentenza, della Commissione Tributaria Provinciale che aveva rigettato il ricorso della società contribuente in ordine all’avviso di accertamento con cui era stato accertato un maggiore reddito imponibile per errata imputazione di costi relativi al pagamento di provvigioni; la CTR, in particolare, riteneva che la clausola contrattuale che subordinava il pagamento delle provvigioni al totale del pagamento degli affari, rendeva incerto il pagamento, cioè il costo, onde il costo delle provvigioni non poteva essere imputato alla annualità di stipula del contratto, onde andava imputato a quella in cui era stata effettuato il pagamento. La ricorrente pone a base del ricorso tre motivi fondati su violazione e falsa applicazione di norme di diritto, Illustrati con memoria.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro e l’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore hanno resistito con controricorso.

La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo articolato motivo, la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (T.U.I.R.) vigente ratione temporis anche in relazione all’art. 1748 c.c.; sostiene, in particolare, che le modifiche apportata alle norme sulla provvigione nei contratti di agenzia col 1999, applicabili nel caso in esame trattandosi di contratti di durata (irrilevante pertanto la stipulazione anteriore alle modificazioni predette) e, comunque, in virtù dell’efficacia della Direttiva comunitaria n. 653 del 18 dicembre 1986 – seppur tardivamente recepita – che sanciva che il diritto al corrispettivo dell’agente sorgeva con la stipulazione dei contratti col suo intervento anche se la esigibilità era collegata a fatti successivi, onde corretta doveva ritenersi l’imputazione del relativo costo all’anno in conclusione dei contratti.

Efficacia nel diritto interno della direttiva in tema di agenzia.

Nella logica dell’articolato motivo, e di preliminare esame la questione dell’asserita efficacia immediata della direttiva risalente al 1986 poi attuata con la modifica operata con L. 1999 di modifica del’art. 1748 c.c..

La preliminarietà va individuata nella circostanza che, ove accolta la tesi del contribuente di efficacia della direttiva ancor prima del recepimento del legislatore italiano, non si porrebbe neppure quale ipotesi un problema di rapporto tra le due discipline, dovendosi al caso in esame, anche se i contratti risultano stipulati in data anteriore alla recezione, applicare la normativa comunitaria.

Al quesito deve però darsi risposta negativa. La Direttiva Europea in materia di agenzia, recepita dal D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, prevedeva che le leggi nazionali avrebbero potuto disporre che l’agente acquistava il diritto alla provvigione nel momento e nella misura in cui si versificava uno dei casi seguenti: – a) il preponente aveva eseguito l’operazione; – b) il preponente avrebbe dovuto eseguire l’operazione in virtù dell’accordo concluso con il terso; – e) il terzo aveva eseguito l’operazione (art. 10, n. 1, della Direttiva). La stessa Direttiva aggiungeva che la provvigione si acquisiva al più tardi quando il terso aveva eseguito la sua parte dell’operazione o avrebbe dovuto eseguirla qualora il preponente avesse eseguito la sua (art. 10 n. 2 della Direttiva). In sostanza la Direttiva lasciava agli Stati membri una facoltà di scelta tra varie ipotesi.

Tale questione è stata da tempo risolta in senso negativo dalla giurisprudenza di questa Corte – sulla scorta di quella della Corte di giustizia Europea – chiarendo (cfr. Cass. n. 23937/06Cass. 3762/2004, 22440/2006, 752/2002, 4817/1999, 11571/1997) che le disposizioni di una direttiva comunitaria non attuata hanno efficacia diretta nell’ordinamento dei singoli stati membri – sempre che siano incondizionate e sufficientemente precise e lo stato destinatario sia inadempiente per l’inutile decorso del termine accordato per dare attuazione alla direttiva – limitatamente ai rapporti tra le autorità dello stato inadempiente ed i singoli soggetti privati (cosiddetta efficacia verticale), e non anche nei rapporti interprivati (cosiddetta efficacia orizsontale). Ciò in quanto esclusivamente in tal senso si è pronunciata – sin dalla sentenza 26 febbraio 1986 nella causa n. 152/84 (Marshall/Southampton and South- West Harnpshire Area Health Authority) – la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (vincolante per 1 Giudici nazionali), la quale non ha affatto superato il principio che le direttive obbligano esclusivamente gli stati alla loro attuazione mediante strumenti normativi interni, talchè l’applicazione delle loro disposizioni ai singoli è soltanto l’effetto indiretto -ielle disposizioni interne che le recepiscono, ma ha – più limitatamente – stabilito che lo stato non può opporre ai singoli l’inadempimento, da parte sua, degli obblighi impostigli dalla direttiva, per cui risponde, nei loro confronti, dei danni derivanti da tale inadempimento. D’altra parte non potrebbe non osservarsi che le facoltà alternative offerte al legislatore italiano escludevano in radice la determinatezza dei contenuto subordinata ad una ulteriore scelta del legislatore interno.

Applicabilità alla fattispecie in esame della nuova normativa.

Esclusa la plausibilità della tesi della contribuente circa la vigenza della normativa comunitaria sin dall’epoca della..stipulazione dei contratti, la società contribuente invoca comunque l’applicabilità della nuova normativa invocando la natura di rapporto di durata di quello in esame. L’osservazione è condivisibile in quanto se da una parte nel presente caso è incontroversa la circostanza della conclusione dei contratti(che generavano l’obbligo di pagare la provvigione) in data anteriore alla entrata in vigore della predetta legge e comunque nel 1999 (e ciò in conformità alla posizione difensiva della società che ha portato i relativi costi in quell’anno) è altresì incontroverso il non ancora effettuato pagamento della provvigione nel medesimo anno (altrimenti non vi sarebbe alcuna lite),con ciò dimostrandosi la pendenza del rapporto e la suscettibilità ad essere inciso dalla nuova disciplina non può prescindersi, pertanto, dall’esame dal rapporto tra normativa previgente e quella adottata con la legge 1999 e ciò in quanto la società contribuente ricollega la nascita del diritto dell’agente alla provvigione, che nascerebbe dalla sola conclusione del contratto(tra agente e terzo) generatore dell’obbligo del preponente di pagare la provvigione al corrispondente e contestuale diritto a portar il relativo costo in diminuzione del reddito a norma del principio stabilito dall’art. 75 del T.U.I.R..

Giurisprudenza della Corte sulle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 65 del 1999, all’art. 1748 c.c..

Nell’interpretazione fornita da questa Corte (Cass. n. 2000/54 67) che si fa propria, si è osservato che nel nostro ordinamento, prima dell’intervento della direttiva comunitaria del 13 dicembre 1986 sugli agenti di commercio indipendenti e delle due leggi italiane di attuazione (D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303; D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65), l’agente aveva diritto alla provvigione solo per gli affari che avevano avuto regolare esecuzione (art. 1748 c.c., comma 1) e per gli affari che non. avevano avuto esecuzione per causa imputabile al preponente (art. 1749 c.c.). Se l’affare aveva avuto esecuzione parziale, la provvigione spettava all’agente in proporzione della parte eseguita (art. 1748 c.c., comma 1).

Si rileva che “in base alla norma, cosi come era formulata prima dell’attuazione della direttiva, giurisprudenza e dottrina avevano tradizionalmente ritenuto che l’agente acquistava il diritto alla provvigione non nel momento in cui aveva svolto l’attività di promozione del contratto, ma solo quando questo era stato accettato dalle parti e aveva avuto regolare esecuzione, ovvero, come meglio si esprime La normativa collettiva, era andato a buon fine. Promozione del contratto, conclusione del contratto e esecuzione del contratto erano dunque i tre fatti giuridici costitutivi del diritto dell’agente alla provvigione. Prima del verificarsi di questa triplice condizione l’agente non poteva vantare alcun diritto, ma era titolare di una mera aspettativa. Ciò dava luogo a inconvenienti di non poco rilievo. Tra l’altro l’agente, prima del verificarsi del buon fine dell’affare, non poteva disporre della provvigione se non come cessione di un credito futuro; e, nel caso di fallimento del preponente non poteva insinuare il suo credito nel passivo del fallimento. La disciplina presentava, inoltre, gravi inconvenienti anche sul piano probatorio. L’onere dell’agente di dimostrare la conclusione e il buon fine degli affari si rivelava difficile e gravoso, specie nel caso in cui il preponente avesse stipulato affari diretti nella zona dell’agente, ovvero non. avesse comunicato all’agente il buon fine degli affari da lui promossi. E, in base a tale facoltà la Legge italiana del 15 febbraio 1999, n. 65, di attuazione della Direttiva ha stabilito che per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per affetto del suo intervento (art. 3 della legge che ha così modificato L’art. 1748 c.c., comma 1. Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all’agente, di più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico (art. 3, della legge che ha così modificato l’art. 1748 c.c., comma 4). In tal modo la legge, sulla falsariga del modello tedesco, ha distinto tra il momento di acquisizione della provvigione e il momento di esigibilità della provvigione già acquisita. Il momento di acquisizione è il momento in cui l’operazione promossa dall’agente è stata conclusa tra le parti; il momento di esigibilità è il momento in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione”.

Conclude la Corte: “Nella nuova disciplina giuridica, dunque, il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto.

Questa genera non una semplice aspettativa, come nella disciplina precedente, ma un diritto di credito vero e proprio, anche se non esigibile: un diritto che può essere ceduto e permette l’insinuazione nel passivo del fallimento del preponente. Condizione di esigibilità è invece l’esecuzione del contratto da parte del preponente: la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione. Non è quindi necessaria la prova del buon fine dell’affare e cioè, in sostanza, dal pagamento del prezzo da parte del cliente.

Giurisprudenza della Corte su casi analoghi in base alla previgente normativa.

La giurisprudenza di questa Corte, (Cass. n.23361/2006) con riferimento a caso identico a quello in esame, ma sicuramente realizzatosi sotto la originaria normativa codicistica, ha ritenuto – che la norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (“Norme generali sui componenti del reddito di impresa”) – delinea al comma 10 (come modificato dal D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 1) il principio dell’esercizio di competenza secondo precisi, testuali; “I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi… concorrono a formare il reddito dell’esercizio di competenza”; con la precisazione, nella seconda parte del medesimo comma, che: “…

tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui all’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”. Più specificamente al comma 2, lett. b della stessa disposizione, si prevede che: “Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza… i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate…”.

Nella fattispecie, i recuperi riguardavano provvigioni non ancora certe e determinate nella loro decenza e nel loro ammontate, in quanto erano contrattualmente condizionate (sospensivamente) al buon fine delle prestazioni, per cui occorreva che queste fossero ultimate effettivamente. Orbene, la ripresa a tassazione operata dall’Ufficio era legittima dal momento che non ricorreva il requisito della certezza, normativamente prescritto ai fini dell’imputabilità ai costi di esercizio”.

Ad analoghe conclusioni perveniva, sotto la ulteriore previgente disciplina, Cass. n. 11213/2002 che osservava che la collocazione temporale ai fini fiscali di una posta contabile deve essere determinata secondo precise regole di imputazione stabilite dalla legge. Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 53, stabiliva le regole di imputazione temporale dei ricavi; al contrario di quelli per la cessione di beni mobili (che si ritenevano conseguiti, di regola, alla data della consegna o della spedizione) i corrispettivi per la prestazione di servizi si ritenevano conseguiti alla data in cui le prestazioni stesse erano state ultimate, oppure, nei contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione del corrispettivo (art. 53, comma 3, lett. c).

In mancanza di una espressa disposizione normativa in senso contrario, la stessa regola non può non valere anche per determinare l’imputazione temporale dei costi (che se costituiscono costi per il soggetto erogante integrano, correlativamente, ricavi per il soggetto che li percepisce).

Poichè quello di agenzia è – di regola – un contratto a tempo indeterminato, da cui derivano corrispettivi periodici che maturano al termine dei singoli periodi (mensili, trimestrali, ecc.) di riferimento delle prestazioni dell’agente, anche l’onere delle provvigioni da corrispondere all’agente deve ritenersi maturato nella data in cui gli agenti hanno ultimato quella tranche di prestazione lavorativa, separatamente fatturata, cui si riferisce quel determinato pagamento, ed imputato temporalmente all’esercizio in corso in quella stessa data, in concreto il costo inerisce temporalmente all’esercizio in corso al momento dell’ultima prestazione (dell’agente) oggetto di quel certo pagamento, indipendentemente dalla data (inevitabilmente successiva) della fatturazione da parte dell’agente al preponente, e dall’effettivo pagamento (anch’esso inevitabilmente successivo) in favore dell’agente.

Rapporti tra la normativa modificativa dell’art. 1748 c.c., e la legislazione tributaria in ordine alla deduzione dei cosi per provvigioni.

Ciò premesso occorre esaminare il primo profilo posto dal contribuente circa le refluenze della nuova impostazione normativa del rapporto d’agenzia in ordine all’imputazione dei costi delle provvigioni.

La società contribuente desume che la distinzione tra fatto-momento genetico dell’obbligazione del preponente e momento della sua esigibilità incidano sulla – imputazione dei costi già certi sin dal primo momento. La tesi non è condivisibile.

La trasformazione della mera aspettativa dell’agente in vero e proprio diritto è frutto di una maggiore attenzione della situazione dell’agente, quale parte più debole (pur entrambi professionali) tanfo vero che si sono evidenziate dalla superiore giurisprudenza le conseguenze dirette (possibilità di cedere il credito, di insinuarsi nel fallimento del preponente, agevolazione di prova..) derivanti dal nuovo assetto.

Trattasi però di un diritto azionabile nei confronti del preponente solo da un dies a quo “salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e. nella misura in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo” con un termine massimo in favore dell’agente ” la provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico”.

Quel che appare pertanto rilevante, sotto un profilo che si potrebbe chiamare dinamico (e non meramente statico quale il riconoscimento del diritto in capo all’agente per avere procurato l’affare” o con la nuova terminologia “quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento”) è pur sempre l’esecuzione della prestazione da parte del preponente o, con una specie di actio ficticia – corrispondente al vecchio “affari che non hanno avuto esecuzione per causa imputabile al preponente” – in favore dell’agente, dal momento in cui avrebbe dovuto eseguire la prestazione (con possibilità di deroga convenzionale) col solo limite, questa volta inderogabile, sia come termine sia come quantum, del’adempimento del terzo o analogamente a quanto pattuito per il preponente, dal momento in cui “avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico”. Pertanto in applicazione dei criteri di cui all’art. 75 del cit. T.U.I.R., nel testo all’epoca in vigore, anche in virtù della nuova normativa, anche a ritenere inapplicabile il criterio della incertezza della prestazione perchè ricollegata a clausola non compatibile con la nuova disciplina, non potrebbe non ritenersi, dalla parte del preponente, che si dovrebbe tener conto della data di esecuzione del contratto(consegna o spedizione dei beni mobili, stipula dell’atto per i beni immobili e le altre ipotesi previste dal predetto art. 75, comma 2, lett. a) e b), del cit. T.U.I.R.) ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza.

In altre parole alla superiore disposizione che riconosce la nascita del diritto dell’agente nel momento della stipula del contratto generatore in capo al preponente dell’obbligo di corrispondere la provvigione, non può riconoscersi efficacia abrogativa nella parte de qua delle disposizioni dell’art. 75, comma 2, predetto. Invero secondo la nuova disciplina, dalla parte del preponente, rileva la esecuzione (o l’obbligo di esecuzione) del contratto che costituisce il dies a quo per la esigibilità della provvigione, in coerenza il comma sopracitato.

Non è possibile pertanto invocare il collegamento (o parallelismo) tra nascita del diritto alla provvigione in capo all’agente e diritto del preponente a dedurre il costo della provvigione, collegamento che va fatto, invece, tra esecuzione (o obbligo di esecuzione del contratto) da parte del preponente, cui la nuova disciplina ricollega l’esigibilità della provvigione e diritto di esporre il costo in base alla disposizione più volte citata.

Orbene dai ricorso non emerge alcun elemento che possa fare individuare i predetto momento dell’esecuzione da parte del preponente, al fine di determinare la corretta o imputazione del costo,non essendo certo ai fini dell’autosufficienza del ricorso,la mera affermazione dell’avvenuta “spedizione della merce (contratto verbale di vendita spontaneamente eseguito a seguito dell’ordinativo giunto per il tramite dell’agente)” senza indicare la data sì da ritenere legittima la deduzione del costo nel 1999.

E’ evidente che questa Corte non potrebbe utilizzare elementi presuntivi per ritenere eseguiti i contratti nel 1999 e non nei successivi, perchè dovrebbe espletare un accertamento di fatto, in relazione ad un vizio di autosufficienza del ricorso.

Col secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere La CTR ritenuto, in ordine alle provvigioni effettivamente corrisposte nell’ultimo quadrimestre del 1999 Grattarsi di “anticipi sugli affari non pagati dal cliente”.

Il motivo è infondato.

Non v’ è omessa pronuncia, nè è dimostrato il vizio di ultra petita in mancanza di trascrizione o precisa indicazione delle doglianze della parte. Vertesi in tema di valutazione di fatto non censurata per vizio motivazionale.

Col terzo motivo deduce l’illegittimità della sanzione per violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 bis, non avendo il comportamento della contribuente influito sulla determinazione della imposta, sul calcolo della base imponibile nè sul versamento d tributo.

Tale motivo presenta evidenti profili d’inammissibilità non apparendo investire la ratio decidendi che chiarisce che la sanzione applicata è quella di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. comma 1, per “omessa tenuta delle scritture contabili e dei registri previsti in tema di imposte dirette” e pertanto non è ricollegabile alle superiori problematiche. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con. ogni conseguenza in tema di spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio che liquida in Euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 16 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2011

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