Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9539 del 12/04/2021

Cassazione civile sez. II, 12/04/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 12/04/2021), n.9539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25999/2019 proposto da:

W.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 6,

presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo rappresenta

e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TORINO;

– intimati –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 5011/2019 del TRIBUNALE di

TORINO, depositato il 01/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Torino confermò la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con la quale era stata disattesa la domanda di protezione internazionale avanzata da W.N.;

ritenuto che quest’ultimo ricorre sulla base di quattro motivi avverso la statuizione di cui sopra e che il Ministero dell’Interno è rimasto intimato;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente allega violazione del D.L. n. 13 del 2017, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere il Tribunale proceduto all’audizione del richiedente, nonostante quella davanti alla Commissione non fosse stata audio-video registrata, è manifestamente infondato, dovendosi osservare che:

– siccome di recente precisato da questa Corte (Sez. 1, n. 21584, 7/10/2020), da un approfondito esame del diritto Eurounitario non deriva la ineludibile conseguenza che il richiedente debba essere personalmente ascoltato di necessità in due sedi (davanti alla commissione, prima e poi davanti al giudice) – cfr., Corte di Giustizia UE sent. 26/7/2017, C-348/16, Moussa Sacko -; audizione che il giudice dovrà disporre solo ove l’interessato adduca elementi o fatti specifici nuovi, non scrutinabili sulla base del fascicolo pervenuto dalla commissione, nello stesso senso si è espressa la Corte EDU sentenza 19/3/2020 C-406/18; sentenza 6/7/2020 C-517/17 -; pertanto, restando salva la prerogativa per il giudice di procedere all’audizione in tutti i casi in cui lo reputi utile, solo in presenza di specifiche e nuove allegazioni in sede giudiziaria, come si è anticipato, il giudice è tenuto a procedere all’audizione – Corte EDU, sentenza 25/7/2018, C- 652/16; Cass. n. 27073, 23/10/2019 -; pur nel caso in cui non sia disponibile l’audio-video registrazione del colloquio davanti alla commissione, sostituito dal verbale scritto, il D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 35 bis, alla luce di quanto svolto, anche al fine di assicurare celerità al procedimento, nell’interesse stesso del richiedente, l’audizione risulta doverosa nei soli casi in cui occorra esaminare nuove specifiche allegazioni o, comunque, il giudice lo reputi necessario, imponendo la norma in discorso, in caso di omessa audio-video registrazione, solo la fissazione dell’udienza di comparizione, mentre nelle ipotesi di cui s’è detto (nuove puntuali allegazioni e necessità reputata dal giudice di sciogliere incongruenze e contraddizioni), il diritto a una tutela effettiva a mente dell’art. 46, p. 1, direttiva 2013/32, impone disporsi l’audizione;

– nel caso in esame il Tribunale ha espressamente escluso la indispensabilità dell’audizione, tenuto conto della documentazione ed e degli elementi acquisiti;

ritenuto che con il primo e il secondo motivo, tra loro correlati, il ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 11, lett. e) e f), motivazione “contraddittoria e apparente”, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per essere stato rigettato il diritto allo status di rifugiato; violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e b), artt. 3 e 7 Carta edu, per essere stato rigettato il diritto alla protezione sussidiaria, affermando, in sintesi, che:

– il richiedente aveva compiuto ogni sforzo per circostanziare la domanda;

– il racconto era preciso e coerente;

– il sito del Ministero degli Esteri descriveva le diffuse violazioni dei diritti umani in Cina;

– il Tribunale non aveva tenuto conto del rischio di subire un danno grave ed effettivo in caso di rimpatrio (sul punto il ricorrente si dilunga a illustrare i principi regolanti la materia), ricollegato alla situazione di “pericolo generalizzato” in Cina;

considerato che il complesso censuratorio non supera il vaglio d’ammissibilità, dovendosi osservare quanto segue:

a) il ricorrente ha raccontato di essere fuggito dalla Cina per sottrarsi a persecuzione per motivi religiosi (egli professava il credo della “Chiesa di Dio Onnipotente”), ma il Tribunale ha reputato non credibile la narrazione, sulla base di una pluralità di argomenti (il richiedente aveva da principio affermato che la religione praticata non era presente in Italia, successivamente aveva depositato una attestazione; i genitori, pur descritti credenti, erano rimasti impunemente in Cina; non era dato comprendere come mai fosse stato perseguitato, nonostante che egli non facesse proselitismo; gli era stato rilasciato regolare passaporto, nonostante che avesse dichiarato che la polizia aveva smarrito i suoi dati; ai profili di descritta interna incoerenza si aggiungeva quella esterna, non risultando che in Cina fosse in atto persecuzione religiosa);

b) il Tribunale, consultate fonti di conoscenza plurime e aggiornate, ha escluso che in Cina sussista una situazione di violenza diffusa e incontrollata e che non venga rispettata la libertà di culto;

c) il Giudice del merito, quindi, ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

d) piuttosto palesemente le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse il ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento; ciò solo fa escludere la ricorrenza di un dovere d’ulteriore approfondimento istruttorio sulla vicenda (senza contare che la narrazione, proprio a cagione della sua inverosimiglianza e irrisolvibile contraddittorietà, non avrebbe comunque permesso attingimento di conferme di sorta) e il ricorrente, piuttosto che contrappore evidenze processuali tali da smentire le conclusioni del Tribunale, si limita a riportare i principi della materia e a insistere nella propria versione;

e) la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (da ultimo, S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459);

ritenuto che con il quarto motivo il ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè “illogica, contraddittoria e apparente motivazione”, per essere stato rigettato il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, assumendo che il Tribunale non aveva tenuto conto che l’esponente svolgeva attività lavorativa in Italia e che il forzoso rientro in Patria lo avrebbe esposto a grave danno e alla compromissione dei diritti fondamentali e che, pertanto risultava essere stato disconosciuto il principio di cui alla sentenza n. 4455/2018 di questa Corte;

considerato che anche l’ultima doglianza è inammissibile, valendo precisare quanto segue:

a) quanto alla mancata valorizzazione del processo d’integrazione, va osservato che questa Corte, a partire dalla sentenza n. 4455/2018, ha affermato il principio secondo il quale il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Rv. 647298);

b) a tale principio la Corte locale si è attenuta, avendo effettuato il giudizio di comparazione, all’esito del quale ha negato la sussistenza del presupposto della vulnerabilità, poichè deve escludersi che in Cina non vengano assicurati i diritti umani fondamentali; non si tratta, all’evidenza, di garantire all’immigrato una qualità di vita del tutto equivalente a quella fruibile in Italia, ma, ben diversamente, d’impedire che al rientro possa ritrovarsi in una condizione d’intollerabile – cioè al di sotto del minimo comune imposto dagli strumenti internazionali – deprivazione di tali diritti; qui, una tale condizione manca poichè non consta che in Cina sia lesa la soglia minima dei diritti umani; nè, l’inverosimiglianza della narrazione permette di attingere al vissuto personale;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non occorre statuire sul regolamento delle spese poichè il Ministero non ha svolto difese in questa sede;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a Sezioni Unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2021

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