Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9538 del 18/04/2018


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. II, 18/04/2018, (ud. 02/02/2018, dep.18/04/2018),  n. 9538

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.G. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione prefettizia n. 7096734F emessa il 18 maggio 2009 con la quale si ordinava la sospensione della patente di guida in conseguenza della violazione dell’art. 186 C.d.S., commi 7 e 8, codice della strada. L’opponente deduceva che al momento del fatto si trovava in stato di incapacità di intendere e di volere in conseguenza del sinistro occorso la mattina del (OMISSIS), all’esito del quale aveva riportato gravi lesioni fisiche che ne avevano determinato l’immediato ricovero presso il centro traumatologico ortopedico ove veniva sottoposto a lungo intervento chirurgico e somministrazione di anestesia. La prefettura restava contumace.

2. Con memoria depositata all’udienza del 12 aprile 2010 l’opponente M. si costituiva a mezzo difensore ribadendo lo stato di incapacità naturale nel quale si trovava al momento del fatto e lamentando il difetto di motivazione dell’ordinanza opposta e deducendo l’irritualità della procedura adottata dalla polizia stradale e dal personale medico del CTO, in ordine agli accertamenti previsti dall’art. 186 C.d.S..

3. Con sentenza del 28 aprile 2010 il giudice di pace di Roma rigettava l’opposizione.

4. Con atto di appello notificato il 26 aprile 2011 M.G. appellava la citata sentenza per non avere il giudice di pace esaminato il profilo della dedotta incapacità di intendere e di volere. Evidenziava che oggetto dell’opposizione in primo grado non era la sussistenza in astratto del potere in capo al prefetto di irrogare la sanzione della sospensione della patente, quanto piuttosto il legittimo esercizio del potere, anche alla luce della violazione da parte delle autorità preposte dei presupposti richiesti per l’emanazione della sanzione adottata, che si riverberava sulla legittimità del provvedimento impugnato. Lamentava poi, l’erronea applicazione dell’art. 223 C.d.S. e, infine, l’insussistenza dei presupposti della misura di sospensione della patente.

5. Il Tribunale di Roma, in sede di appello, rigettava l’impugnazione. Secondo i giudici del gravame la contestazione dell’illecito previsto dagli artt. 186 e 187 C.d.S.provoca l’inoltro al prefetto del rapporto, ai fini dell’applicazione delle misure provvisorie e cautelari di competenza, e avverso tale provvedimento può essere proposta opposizione al giudice di pace del luogo dove è stata commessa l’infrazione. In tal senso dispone l’ultimo comma dell’art. 223 C.d.S. che rimanda all’art. 205 del medesimo codice. Esula dall’ambito di tale procedimento non soltanto l’annullamento del verbale di accertamento concernente tale condotta redatto a fini penali, ma anche l’accertamento dell’esistenza del reato ipotizzato nel verbale e devoluto al giudice penale, essendo la competenza del giudice di pace limitata alla verifica della legittimità della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida e, quindi, all’accertamento della sussistenza del fatto contestato solo nei limiti in cui tale accertamento sia funzionale alla valutazione della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria.

6. Ciò premesso evidenziava la sentenza d’appello che il M. nello svolgere opposizione all’ordinanza prefettizia di sospensione della patente aveva dedotto quale unico motivo di opposizione il suo stato di incapacità di intendere e di volere. In particolare aveva dedotto che al momento della richiesta di sottoporsi agli accertamenti di cui all’art. 186 C.d.S., commi 3, 4 e 5, per verificare il tasso alcolico si trovava in stato di incapacità di intendere e di volere quale conseguenza del grave shock derivante dal sinistro stradale nel quale era stato coinvolto, anche a seguito della somministrazione di anestetici.

6. Il giudice del gravame riteneva di dover prendere in considerazione solo questo motivo di appello, in quanto tutti gli altri dedotti con il successivo atto di costituzione e memoria difensiva, dovevano essere ritenuti inammissibili perchè non dedotti con l’atto introduttivo del giudizio in opposizione, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22.

7. In relazione all’unico motivo di ricorso ammesso, il Tribunale di Roma riteneva che non ricorressero le condizioni di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 2, in quanto lo stato di incapacità di intendere e di volere inteso come idoneità del soggetto all’autodeterminazione, nella consapevolezza dell’incidenza del proprio operare sul mondo esterno, deve essere provato da chi lo eccepisce, mentre non riteneva idonea a provare tale stato la relazione medica prodotta dal M. in primo grado. Ciò in quanto la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio. Nella specie, peraltro, la relazione era stata redatta a distanza di 11 mesi dal fatto e si basava unicamente su ragionevoli presunzioni fondate sulla complessità dell’intervento chirurgico cui il M. si sottopose.

9. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione M.G. sulla base di 8 motivi.

10. Il prefetto, Ufficio territoriale del governo, si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omessa pronuncia, nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Secondo il ricorrente il giudice d’appello si è sottratto al dovere di pronunciarsi sul primo motivo di gravame con il quale era stata dedotta l’omessa pronuncia del giudice di primo grado sui motivi di ricorso relativi alla contraddittorietà, alla violazione di legge, all’errore sui presupposti di fatto e di diritto e al difetto di motivazione. Tutte censure che si ricollegavano e costituivano specificazione di quella centrale relativa all’incapacità di intendere e di volere del ricorrente al momento del fatto e, quindi, all’insussistenza della responsabilità dell’incolpato per mancanza dell’elemento soggettivo, per assenza di coscienza e volontà.

Sarebbe dunque erronea la statuizione del giudice del gravame, allorchè ha ritenuto ammissibile solo il motivo di impugnazione proposto con il ricorso introduttivo del giudizio e non con le memorie aggiuntive senza rendersi conto che non era stata introdotta alcuna domanda nuova, e non erano stati dedotti motivi nuovi. L’atto del difensore non faceva altro che illustrare e specificare le implicazioni giuridiche sottese alla dedotta inesistenza dell’imputabilità del ricorrente.

Dunque il Tribunale, al pari del primo giudice, ha finito per omettere di esprimere una qualsiasi motivazione o convincimento in ordine al motivo di opposizione proposto, relativo alla carenza di elemento soggettivo dell’incolpato per incapacità di intendere e di volere al momento della supposta violazione amministrativa.

1.2 Il primo motivo è infondato.

Deve premettersi che, come illustrato nella sentenza impugnata, il provvedimento di sospensione cautelare della patente di guida era stato emesso dal prefetto di Roma ai sensi dell’art. 223 C.d.S., comma 3. Avverso tale provvedimento è ammessa opposizione, ai sensi dell’art. 205 del medesimo codice richiamato espressamente dall’art. 223 C.d.S., u.c..

Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’opposizione di cui all’art. 205 C.d.S. (nella versione ratione temporis applicabile essendo il giudizio iniziato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011), così come l’opposizione ad ordinanza ingiunzione di pagamento di una somma a titolo di sanzione amministrativa, di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 22 e 23, introducono un giudizio disciplinato dalle regole proprie del processo civile di cognizione, i cui limiti sono segnati dai motivi dell’opposizione, che costituiscono la causa petendi dell’azione. Da questa delimitazione dell’oggetto del giudizio consegue che il giudice, salve le ipotesi di inesistenza, non ha il potere di annullare d’ufficio il provvedimento opposto, e che l’opponente non ha facoltà di modificare l’originaria domanda, se non nei limiti consentiti dall’art. 183 c.p.c. (Sez. 1, Sent. n. 13667 del 2003).

1.3 La pronuncia impugnata, dunque, ha fatto corretta applicazione dei principi sopra espressi, in quanto il ricorrente ha proposto i motivi relativi al difetto di motivazione dell’ordinanza opposta e all’irritualità della procedura adottata in ordine agli accertamenti previsti dall’art. 186 C.d.S., solo con la memoria depositata all’udienza del 12 aprile 2010, allorchè si costituì a mezzo di un difensore, mentre nell’opposizione originaria, proposta personalmente, aveva dedotto esclusivamente che al momento del fatto si trovava in stato di incapacità di intendere e di volere in conseguenza del sinistro occorso la mattina del (OMISSIS), all’esito del quale aveva riportato gravi lesioni fisiche che ne avevano determinato l’immediato ricovero presso il centro traumatologico ortopedico ove veniva sottoposto a lungo intervento chirurgico e somministrazione di anestesia.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: in subordine al precedente violazione e falsa applicazione dell’art. 292 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo il ricorrente qualora l’atto di costituzione e memoria difensiva avesse contenuto motivi nuovi di opposizione allora il giudice avrebbe dovuto disporre la notificazione delle nuove domande al contumace ai sensi dell’art. 292 c.p.c., adempimento omesso e che avrebbe consentito al contumace di accettare il contraddittorio in relazione a tali domande.

3. Il terzo motivo è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 292 c.p.c., in relazione art. 360 c.p.c., n. 4.

Le ragioni della doglianza sono identiche a quelle del secondo motivo.

3.1 Il secondo e il terzo motivo, che per la loro intima connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

Il collegio ritiene di dare continuità al principio di diritto, risalente ma ancora attuale, secondo cui: “La norma dell’art. 292 c.p.c., per la parte che impone la notifica al contumace delle comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali, costituisce una particolare applicazione del principio del contraddittorio, ed è dettata nell’esclusivo interesse del contumace, il quale soltanto, costituendosi in giudizio, potrà far valere la inosservanza della citata norma” (Sez. 3, Sentenza n. 3435 del 24/11/1971).

3.2 L’argomentazione del ricorrente secondo cui l’amministrazione poteva accettare il contraddittorio è del tutto priva di fondamento, tenuto conto del seguente principio di diritto del tutto consolidato: “Nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli artt. 183 e 184 c.p.c. introdotto dalla L. n. 353 del 1990, la questione della novità della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti – e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice – essendo l’intera trattazione improntata al perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza che non tollerano – in quanto espressione di un interesse pubblico – l’ampliamento successivo del thema decidendi anche se su di esso si venga a registrare il consenso del convenuto. Pertanto nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa, in cui i motivi di opposizione costituiscono l’unica ed esclusiva causa petendi della domanda coinvolgente la pretesa sanzionatoria della P.A., non è ammessa l’introduzione, nel corso del giudizio, di motivi ulteriori rispetto a quelli contenuti nel ricorso introduttivo, ancorchè su di essi la P.A. abbia accettato il contraddittorio” (Sez. 1, Sentenza n. 23127 del 10/12/2004).

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: in subordine ai precedenti, erroneo disconoscimento per asserita carenza di prova dello stato di incapacità di intendere e di volere dell’incolpato al momento della supposta violazione, violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 2 e 3 e art. 187 C.d.S., commi 6 e 8, e art. 223 C.d.S., comma 3, e dell’art. 115 c.p.c. e artt. 2727 c.c. e seg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1 La sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto non provato lo stato di incapacità di intendere e di volere dell’incolpato al momento del fatto, mentre al contrario la mancanza dell’elemento soggettivo era stata provata e risultava chiaramente dagli atti dello stesso procedimento amministrativo versato in causa, nei quali si faceva espressamente riferimento alla circostanza che la richiesta di sottoposizione dell’interessato ad ulteriori esami clinici era avvenuta subito dopo l’operazione chirurgica lunga e complessa e dopo la somministrazione dell’anestesia, degli antibiotici e degli antidolorifici.

Lo stato di incapacità risultava evidente anche perchè la richiesta era pervenuta lo stesso giorno dell’incidente, senza che il M., sotto shock e in stato confusionale per i farmaci anestetici, avesse avuto il tempo di realizzare l’accaduto. Tutto ciò era anche suffragato da una perizia medico legale redatto da una professoressa di medicina legale dell’università di Roma che concludeva nel senso che la firma che il M. aveva posto sul foglio di consenso ai prelievi di sangue invasivi per la ricerca di sostanze alcoliche del 5 maggio 2009 era da ritenersi viziata da un’incapacità naturale, dovuta ad uno stato di comprensibile ottundimento mentale determinato dal sommarsi dello stress legato al trauma subito, dalla somministrazione di farmaci attivi sul sistema nervoso centrale e dall’intervento cruento alla gamba sinistra della durata di ben tre ore.

A ciò si aggiunga che il M., secondo quanto dichiarato dalla stessa azienda USL di Roma, non presentava al momento del ricovero alcun segno clinico indicante abuso di alcol, nè i suoi comportamenti davano modo di ritenere che si trovasse sotto l’effetto di sostanze psicotrope o stupefacenti.

Secondo il ricorrente la sentenza impugnata ha incentrato la propria attenzione solo sulla relazione medico legale di parte, trascurando tutte le altre prove documentali presenti nel fascicolo e tutte le altre circostanze provate anche mediante presunzioni gravi, precise e concordanti e in base alla comune esperienza.

4.2 Da ciò deriverebbe la violazione dell’art. 115 c.p.c. e del principio secondo cui il giudice, salvi i casi previsti dalla legge, deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, nonchè fatti non specificamente contestati dalla parte costituita e anche le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza. Deriva anche la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in base ai quali il giudice attraverso il suo prudente apprezzamento può ritenere provati i fatti anche per presunzioni, cioè in base alle conseguenze che trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto.

4.3 Inoltre sarebbero molteplici le illegittimità che inficiano il provvedimento opposto. Innanzitutto, dalla lettura del mancato consenso si evince che il M. non era informato sul soggetto dal quale perveniva la richiesta, non era informato delle conseguenze dell’eventuale mancato consenso all’effettuazione dei prelievi, non era informato dello scopo dell’atto medico richiesto, non era informato circa gli obiettivi, i benefici e gli eventuali rischi per le complicazioni del trattamento, non era informato che l’effettuazione di quegli esami era un obbligo di legge e che l’eventuale rifiuto di sottoposizione agli stessi poteva configurare un reato, non era informato della possibilità di effettuare analisi non invasive e, infine, non gli veniva offerto il modello per il consenso o rifiuto predisposto appositamente dal ministero dell’interno. Nel caso in esame non era neanche possibile ritenere come effettivamente espresso il rifiuto, ai sensi degli artt. 186 e 187 C.d.S..

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 223 del codice della strada, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’art. 223 C.d.S. qualifica la sospensione della patente come sanzione amministrativa accessoria alla condanna per determinati reati, dunque la sua applicazione richiede l’accertamento della commissione del fatto previsto dalla legge come illecito penale. Nel caso di specie, invece, il provvedimento sospensivo della validità della patente è stato applicato in un periodo antecedente all’accertamento di tale presupposto che poi si è accertato non esservi stato, essendosi concluso il procedimento penale con l’assoluzione dell’imputato.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità che ha qualificato la predetta sospensione in termini di misura cautelare applicabile dunque anche in un momento precedente ma solo con riferimento alle ipotesi di condotte determinanti eventi lesivi dell’incolumità altrui e ai casi di reiterazione della valenza preventiva della misura, non rispetto al reato di rifiuto del test alcolemico e tossicologico, in relazione al quale rimane sempre una sanzione amministrativa accessoria ad una condanna.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 187 C.d.S., commi 6 e 8, e art. 223 C.d.S. e della L. n. 689 del 1981, artt. 2 e 3,in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ai fini dell’applicazione della misura di sospensione della patente è necessario che concorrano due presupposti essenziali: il pericolo per l’ordine pubblico e la configurabilità ancorchè astratta di una ipotesi di reato. In relazione al primo aspetto è pacifico che la sospensione della patente è una misura cautelare volta a precludere al presunto soggetto agente la possibilità di esporre nuovamente a pericoloittene tutelato. Secondo la giurisprudenza di legittimità la predetta misura ha carattere preventivo e natura cautelare e trova giustificazione nella necessità di impedire che nell’immediato, prima ancora che sia accertata la responsabilità penale, il conducente del veicolo nei cui confronti sussistono fondati elementi di un’evidente responsabilità in ordine ad eventi lesivi dell’incolumità altrui, continui a tenere una condotta pericolosa.

Nel caso di specie, non essendoci un pericolo per la incolumità derivante dalla condotta dell’incolpato, non sarebbe stato possibile adottare il provvedimento impugnato.

Inoltre, essendo richiesta al prefetto una valutazione sia pure sommaria dell’esistenza dei presupposti dello stesso non vi erano fondati elementi di un’evidente responsabilità a carico del M. tali da prospettare una situazione di pericolo per l’ordine pubblico.

6.1 Il quarto, il quinto e il sesto motivo, che per la loro intima connessione devono essere esaminati congiuntamente, sono, in parte infondati e in parte inammissibili, tuttavia la motivazione della sentenza impugnata è errata e deve essere corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., essendo il dispositivo conforme al diritto.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte “il provvedimento cautelare di sospensione della patente, adottato in relazione alle “altre ipotesi di reato” ex art. 223 C.d.S., comma 3, tra cui quella in esame di rifiuto di sottoporsi ad alcoltest, costituisce misura provvisoria di polizia volta cautelarmente ad impedire che il conducente costituisca fonte di pericolo per la circolazione in previsione dell’irrogazione della sanzione della sospensione o della revoca della patente, sicchè integra gli estremi dell’atto dovuto, la cui discrezionalità è limitata alla durata della misura e che prescinde dall’accertamento degli elementi costitutivi del reato e da ogni indagine sull’elemento psicologico, dovendo l’autorità amministrativa verificare soltanto che la violazione contestata rientri tra quelle previste” (Sez. 2, Sentenza n. 27559 del 31/12/2014).

Si è ulteriormente precisato che: “In tema di sanzioni connesse alla guida in stato di ebbrezza, il provvedimento di sospensione della patente di guida che il Prefetto adotta nel caso di cui all’art. 186 C.d.S., comma 9, sino all’esito della visita medica del conducente prevista dal precedente comma, ha natura cautelare, essendo adottato sulla base del mero riscontro di un tasso alcolemico superiore a quello prescritto, e, quale presupposto per la sua emissione, non è affatto richiesta l’esistenza di un accertamento giudiziale definitivo; ne consegue che il ricorso proponibile dinanzi al giudice di pace in sede civile non può che riguardare la sussistenza o meno delle condizioni legittimanti l’applicazione della suddetta misura cautelare, e non anche la verifica dell’esistenza della condotta oggetto di accertamento in ambito penale” (Sez. 2, Sent. n. 12898 del 2010).

Il giudice dell’appello non aveva alcuna necessità di soffermarsi sull’efficacia probatoria della consulenza tecnica di parte, peraltro con argomentazioni poco condivisibili, in quanto l’opposizione proposta dall’odierno ricorrente aveva ad oggetto solo il provvedimento cautelare del prefetto di sospensione della patente e, dunque, in quel giudizio non assumeva alcuna rilevanza lo stato di incapacità di intendere e di volere. Come si è detto, infatti, la sospensione cautelare della patente, integra gli estremi dell’atto dovuto, la cui discrezionalità è limitata alla durata della misura e prescinde dall’accertamento degli elementi costitutivi del reato e da ogni indagine sull’elemento psicologico, dovendo l’autorità amministrativa verificare soltanto che la violazione contestata rientri tra quelle previste.

Per le medesime ragioni la legittimità del suddetto provvedimento deve essere valutata con riferimento al momento del fatto, senza che rilevi l’eventuale successivo giudicato penale di assoluzione dal reato presupposto.

Sono inammissibili, invece, le doglianze relative alle illegittime modalità di acquisizione del mancato consenso agli accertamenti del tasso alcolemico nel sangue in quanto, come si è detto con riferimento al rigetto del secondo motivo, tali doglianze non erano state tempestivamente poste nell’atto introduttivo dell’opposizione.

7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 187 C.d.S., commi 6 e 8, e art. 223 C.d.S. e della L. n. 689 del 1981, artt. 2 e 3, in relazione art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo il ricorrente la sentenza impugnata non ha in alcun modo valutato l’illegittima modalità di richiesta del consenso come accertata nella sentenza penale di assoluzione del M. perchè il fatto non costituisce reato.

Si configurerebbe, pertanto, il vizio di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia.

8. L’ottavo motivo è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 187 C.d.S., commi 6 e 8, e art. 223 C.d.S. e della L. n. 689 del 1981, artt. 2e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente ribadisce le medesime argomentazioni di cui al motivo n. 7.

8.1 Il settimo e l’ottavo motivo, che per la loro intima connessione devono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Tali motivi, come si è detto, erano stati correttamente dichiarati inammissibili dal giudice del gravame, in quanto non ritualmente proposti con l’atto introduttivo del giudizio di opposizione e, pertanto, non possono essere riproposti in questa sede.

9. Il ricorso è rigettato.

10. Nulla sulle spese non avendo svolto la parte intimata attività difensiva.

11. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 2 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA