Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9534 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. I, 22/05/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 22/05/2020), n.9534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3367/19 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato a Torino, via Groscavallo

n. 3, presso l’avvocato Alessandro Praticò, che lo rappresenta e

difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 4.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3

marzo 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.S., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di aver lasciato la Nigeria poichè, durante una lite familiare per questioni ereditarie, aveva involontariamente spinto un fratello unilaterale, provocandone la morte accidentale; per questa ragione temeva di essere “ingiustamente arrestato”;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento O.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 4 dicembre 2018;

il Tribunale ritenne che:

-) il racconto del richiedente asilo non era credibile in quanto generico, incoerente, confuso e divergente rispetto alla versione dei fatti fornita al cospetto della commissione territoriale;

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui alle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi, perchè i fatti narrati dal richiedente, oltre ad essere inattendibile, non evidenziavano comunque alcuna persecuzione, nè minaccia di trattamenti inumani o degradanti;

-) la protezione sussidiaria di cui all’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perchè nella regione di provenienza del richiedente (Edo State) non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (il Tribunale tuttavia invoca, a fondamento di tale conclusione, il solo sito Web “viaggiaresicuri”);

-) la protezione umanitaria, infine, non poteva essere concessa in quanto:

a) da un lato, il richiedente non aveva segnalato “profili ulteriori di fragilità rispetto a quelli giudicati non attendibili”;

b) dall’altro lato, non emergevano comunque aspetti di vulnerabilità, in quanto il richiedente era giovane, sano, aveva “dimostrato buone doti di autonomia”, aveva un buon livello di istruzione, sicchè il Tribunale ha ritenuto non sussistente “un’insormontabile difficoltà di reinserimento sociale lavorativo nel proprio paese”;

c) in ogni caso il richiedente non aveva raggiunto in Italia un “sufficiente livello di integrazione sociale ed indipendenza economica”, in quanto non aveva documentato nè di avere un domicilio autonomo, nè un’attività lavorativa che lo rendesse economicamente indipendente;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da O.S. con ricorso fondato (formalmente) su due motivi;

ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo (pagina 4 del ricorso) è intitolato “errore nella valutazione delle affermazioni del ricorrente”, e si compendia in sole tre righe, e cioè: il Tribunale, che ha rigettato la richiesta di audizione del ricorrente, si è limitato a far proprie le determinazioni della commissione territoriale.

1.1. Il motivo è ovviamente inammissibile, in quanto non contiene alcuna vera e propria censura.

In ogni caso il giudizio sulla inattendibilità del ricorrente formulato dal Tribunale non è affatto immotivato; nè era inibito al Tribunale richiamare per relationem le motivazioni della Commissione territoriale.

2. Col secondo motivo (pagina 4 del ricorso) il ricorrente censura il giudizio con cui il Tribunale ha escluso i presupposti della protezione sussidiaria, di cui alle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c).

Nella illustrazione del motivo sostiene che il Tribunale ha “trascurato i riscontri oggettivi dedotti dal ricorrente e documentati da numerose fonti di informazione e giurisprudenza di merito”; che da tali fonti emergerebbe che in tutte le aree della Nigeria esiste una situazione di violenza generalizzata; che molti giudici di merito si sono orientati in tal senso; che di conseguenza il Tribunale, formulando il proprio giudizio di rigetto della domanda di protezione sussidiaria, avrebbe violato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

2.1. Nella parte in cui lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), il motivo è inammissibile in quanto tale censura viene annunciata, ma non illustrata.

2.2. Nella parte restante il motivo è inammissibile.

A prescindere, infatti, dalla vexata quaestio circa l’utilizzabilità, ai fini del giudizio sulla domanda di protezione sussidiaria, delle informazioni contenute nel sito Web “viaggiaresicuri”, quel che rileva nel nostro caso è che:

-) il ricorrente non censura affatto il ricorso, da parte del Tribunale, a COI non attendibili o non aggiornate;

-) il motivo non indica le quali sarebbero “i riscontri oggettivi dedotti dal ricorrente”, dai quali emergerebbe la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione nigeriana di Edo State, nè quando siano stati prodotti in giudizio, nè quale ne sia l’effettivo contenuto. Il motivo, pertanto, si risolve nella contrapposizione di una propria valutazione dei fatti a quella adottata dal giudice di merito, ed è perciò inammissibile.

3. Il quarto e il quinto motivo impugnano il rigetto della domanda di protezione umanitaria, e possono essere esaminati congiuntamente. Vi si sostiene che il Tribunale, da un lato, non avrebbe compiuto alcun approfondimento circa il rispetto dei diritti umani in Nigeria e la capacità delle forze dell’ordine di assicurare la protezione ai cittadini; e dall’altro avrebbe erroneamente escluso che il richiedente asilo avesse raggiunto un buon livello di integrazione nel nostro Paese.

3.1. Ambedue i motivi sono in primo luogo inammissibili in quanto dalla loro illustrazione non è dato comprendere quale, tra ivi zi elencati dall’art. 360 c.p.c., il ricorrente abbia con essi inteso enunciare.

3.2. In ogni caso, ove volesse ritenersi che, con tali motivi, il ricorrente abbia inteso denunciare l’omesso esame di fatti decisivi (quali le condizioni del Paese di provenienza o l’avvenuta integrazione in Italia del richiedente asilo) essi sarebbero inammissibili ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè il ricorrente in violazione dei precetti stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la nota sentenza n. 8053 del 2014, non indica quando abbia mai dedotto in giudizio, e in che modo abbia provato, i fatti di cui lamenta l’omesso esame.

3.3. Ove, poi, con tali motivi il ricorrente avesse inteso denunciare una violazione di legge circa il criterio di giudizio applicato dal Tribunale nel decidere sulla domanda di protezione umanitaria, essi sarebbero infondati nel merito, in quanto la protezione c.d. umanitaria “è una misura residuale ed atipica, che può essere accordata solo a coloro che, se facessero ritorno nel Paese di origine, si troverebbero in una situazione di vulnerabilità strettamente connessa al proprio vissuto personale; e situazione non può identificarsi in ragioni di natura economica o di ripartizione della ricchezza tra la popolazione; se così non fosse, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, misura “personalizzata” e concreta, finirebbe per essere accordato non già sulla base delle specificità del caso concreto, ma sulla base delle condizioni generali del Paese d’origine del richiedente, in termini del tutto generali ed astratti, ed in violazione della ratio e della lettera della legge” (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 1051 del 17.1.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 864 del 17.1.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21280 del 9.8.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17282 del 27.6.2019; Sez. 1 -, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01).

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

4.1. Poichè la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, come già ritenuto più volte da questa Corte (ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 5028 del 18/04/2000, Rv. 535811).

4.2. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): infatti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna O.S. alla rifusione in favore di Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre rifusione delle spese prenotate a debito;

(-) dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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