Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9534 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. I, 04/04/2019, (ud. 12/02/2019, dep. 04/04/2019), n.9534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 28079/2015 proposto da:

G.P.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle

Milizie n. 38, presso lo studio dell’Avvocato Luigi Parenti, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.B., elettivamente domiciliata in Roma – Ostia Lido,

Viale Capitan Consalvo n. 23, presso lo studio dell’Avvocato

Vittoria Giuva, che la rappresenta e difende giusta procura in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

21/4/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/2/2019 dal Cons. Dott. PAZZI ALBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato G.T. Pomponi, con delega, che si

riporta;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Vittoria Giuva che ha

chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma, con decreto in data 19 aprile 2013, rigettava il ricorso presentato da G.P.A. ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, al fine di veder modificate le condizioni di divorzio già fissate, in ragione della mancanza di fatti sopravvenuti, condannando il ricorrente a risarcire alla ex moglie S.B. il danno arrecatole per lite temeraria.

2. La Corte d’appello di Roma, in sede di reclamo, condivideva le valutazioni del primo giudice in ordine alla mancata allegazione di alcuna circostanza nuova idonea a sorreggere il ricorso proposto per la modifica delle condizioni di divorzio e a tal proposito rilevava che la riduzione del trattamento pensionistico indicata dal reclamante come fatto sopravvenuto non era stata dedotta nè nel ricorso presentato al Tribunale, nè successivamente, poichè in sede di comparizione degli ex coniugi il G. di persona aveva rappresentato in maniera generica una situazione di grave disagio dovuta all’erosione del reddito anche in conseguenza dell’istituzione del fondo di solidarietà.

Perciò, in difetto dei presupposti di legge che legittimavano la richiesta di una modifica, il ricorso era giudicato inammissibile prima ancora che infondato, rimanendo così superfluo l’esame di ulteriori circostanze sopravvenute, anche se ritualmente allegate nel corso del procedimento.

Per completezza la corte distrettuale evidenziava che le ulteriori circostanze dedotte nella memoria difensiva del 27 ottobre 2014, in merito all’impossibilità di far fronte ai ratei di un mutuo e due finanziamenti per credito al consumo e alla sopravvenuta revoca della sua carta di credito per insolvenza, riguardavano esposizioni debitorie create dal G. nel corso degli anni e già valutate negativamente dal Tribunale all’interno del decreto di rigetto di una precedente istanza di modifica; analogo vizio affliggeva la dedotta modifica migliorativa della posizione reddituale della resistente, dato che sul punto il reclamante aveva riproposto le stesse circostanze oggetto di valutazione nel corso del primo procedimento di modifica, quando era stato escluso che la S. svolgesse attività lavorativa non denunciata.

3. Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso G.P.A. prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso S.B..

La sesta sezione di questa Corte, preso atto che la controversia presentava aspetti che ne consigliavano l’esame in pubblica udienza, ha rimesso la causa alla pubblica udienza della prima sezione.

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, nonchè omessa valutazione di un fatto decisivo per la controversia che ha formato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’Appello negato la qualifica di fatto nuovo alle mutate condizioni economiche del G.”, denuncia la mancata valutazione da parte dei giudici di merito dei numerosi eventi sopravvenuti rispetto alla precedente richiesta di modifica intervenuta nel corso del 2011; in particolare la corte distrettuale avrebbe omesso di considerare: i) la discrasia venutasi a creare fra l’importo attuale dell’assegno divorzile e la pensione netta del G.; ii) la modifica migliorativa della situazione patrimoniale e reddituale dell’ex coniuge, che da molti anni lavorava unitamente alla figlia sebbene quest’ultima risultasse unica formale intestataria dell’attività; iii) la riduzione della pensione del G. a causa del contributo di solidarietà nel frattempo istituito; iv) la riduzione degli assegni pensionistici conseguente all’introduzione del blocco della perequazione, che comportava la progressiva diminuzione della pensione percepita dal G.; v) le gravi esposizioni debitorie del G.; vi) le iniziative esecutive intraprese dalla S. ai suoi danni.

4.2 La censura non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, secondo cui la circostanza della riduzione della pensione non era stata formalizzata in primo grado; il che – secondo la corte territoriale inficiava la domanda di modifica tanto da renderla inammissibile, con la conseguente irrilevanza di eventuali ulteriori circostanze sopravvenute.

Il ricorrente non si confronta nè muove alcuna critica a questi argomenti, ma si limita a insistere nella rappresentazione degli eventi sopravvenuti che, a suo dire, avrebbero mutato lo scenario già apprezzato a seguito della precedente richiesta di modifica.

Una critica di un simile tenore non può che risultare inammissibile.

In vero il ricorso per cassazione deve necessariamente contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 19989/2017) e non può limitarsi alla mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal collegio del reclamo, operando così una mera contrapposizione dell’opinione della parte a quella espressa dalla statuizione impugnata senza considerare le ragioni offerte da quest’ultima (Cass. 11098/2000), come a voler sollecitare in questa fase di legittimità un rinnovo delle valutazioni che invece competono in via esclusiva al giudice di merito.

Stessa sorte va attribuita alle doglianze relative alle differenti circostanze asseritamente non esaminate.

Quanto agli argomenti trattati dalla corte territoriale “per completezza” (costituiti dalla grave esposizione debitoria maturata dal G. e dallo svolgimento di un’attività lavorativa non denunciata da parte della S.) occorre rilevare – prima ancora dell’assenza anche su questo punto di alcuna critica rispetto alle valutazioni già compiute dalla corte territoriale sulla mancanza del carattere di novità dei fatti allegati come risulti inammissibile in questa sede di legittimità il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della decisione impugnata svolta ad abundantiam e pertanto non costituente una ratio decidendi della medesima; un’affermazione siffatta, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. 8755/2018).

Sono parimenti inammissibili le doglianze volte a introdurre in questa sede nuovi temi di indagine (con riferimento in particolare alla sopravvenuta inversione proporzionale fra pensione netta del G. e importo dell’assegno di divorzio, alla discrepanza fra le diverse forme di aggiornamento applicate alla pensione e all’assegno e alle iniziative esecutive intraprese dalla S.) su fatti a cui il provvedimento impugnato non fa alcun cenno.

Sul punto era onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare ove ciò era stato fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.

5.1 Il secondo mezzo lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. e il difetto di motivazione con riferimento alla conferma della condanna pronunciata in primo grado a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria: la Corte d’appello si sarebbe limitata a condividere la motivazione del primo giudice e ciò non poteva essere reputato un argomento sufficiente a replicare alle numerose censure sollevate in proposito.

5.2 Il motivo è fondato.

La motivazione che il giudice deve offrire, a mente dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, costituisce la rappresentazione dell’iter logico-intellettivo seguito per arrivare alla decisione, di modo che la stessa assume i caratteri dell’apparenza ove sia intrinsecamente inidonea ad assolvere una simile funzione.

La motivazione ha perciò carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016).

Il che è quanto avvenuto nel caso di specie.

Infatti una motivazione che si limiti a sostenere che la sentenza impugnata è sorretta da “idonea e condivisibile motivazione” consiste in una apodittica conferma della statuizione impugnata, non rende conto delle ragioni seguite dal giudice per raggiungere il proprio convincimento nè fornisce in questo modo chiari argomenti a supporto della decisione adottata rispetto all’apprezzamento di fatto che il collegio del merito doveva compiere.

Il decreto impugnato deve perciò essere cassato nella parte in cui conferma la condanna per lite temeraria pronunciata dal giudice di primo grado.

Sul punto – con decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 – il reclamo presentato dal G. deve essere accolto. La condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, presuppone infatti l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, dato che agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sè rimproverabile, e, trattandosi di responsabilità di natura extracontrattuale, richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell’an che del quantum debeatur o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa (Cass. 9080/2013).

A questo proposito non risulta però contestato il mancato ricorrere dei presupposti per addivenire alla statuizione adottata dal primo giudice, quanto meno in termini di concreta ed effettiva esistenza di un danno conseguente alla condotta tenuta dall’avversario.

Questa statuizione non incide sulla disciplina già adottata in ordine alla regolazione delle spese del reclamo, tenuto conto della prevalente soccombenza in quella sede del G..

6. La reciproca, parziale, soccombenza giustifica invece, ex art. 92 c.p.c., comma 2, l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo motivo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo sul punto nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta la domanda presentata da S.A. perchè la controparte sia condannata al risarcimento del danno arrecatole per lite temeraria, ai sensi dell’art. 96 c.p.c. comma 1.

Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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