Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9533 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. I, 22/05/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 22/05/2020), n.9533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2215/2019 proposto da:

A.W., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Antonino Novello, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANIA, depositato il

27/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/02/2020 da FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Caltanissetta del 27 novembre 2018. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente A.W. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

Il Tribunale ha sintesi ritenuto che il richiedente non avesse fornito alcuna spiegazione plausibile del perchè lo stesso, avendo personalmente assistito, come da lui riferito, all’assassinio di un proprio amico, non si fosse recato alla polizia per confutare le accuse che erano state formulate a suo carico; ha inoltre rimarcato come l’istante non risultasse credibile nella rappresentazione delle ragioni che lo avevano indotto a lasciare il proprio paese (dal momento che aveva riferito “del tutto genericamente in ordine alla presunta accusa di omicidio”, senza spiegare la propria “scelta di fuggire, piuttosto che testimoniare e discolparsi dall’accusa” di quel reato). Con riferimento alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), il giudice del merito ha evidenziato che nella regione di provenienza del ricorrente, il Punjab, non era in corso alcun conflitto armato, come si evinceva dal tenore generale del report EASO aggiornato all’agosto del 2017. Quanto alla protezione umanitaria, infine, il Tribunale rilevava che non esisteva il rischio dell’istante di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico e ambientale idoneo a determinare una compromissione effettiva dei suoi diritti fondamentali e inviolabili e che lo svolgimento di un’attività lavorativa in Italia non costituiva, di per sè, titolo per il rilascio della protezione umanitaria, “dovendosi verificare in capo al ricorrente una situazione di vulnerabilità effettiva, intesa come impedimento radicale all’esercizio dei diritti umani inalienabili”:

evenienza che, in concreto, avendo anche riguardo la situazione generale del paese di origine, non ricorreva.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 avendo il Tribunale mancato di applicare il principio dell’onere probatorio attenuato e di valutare la credibilità del ricorrente alla luce delle due disposizioni da ultimo richiamate.

Il secondo mezzo prospetta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere il giudice del merito riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata, nei termini precisati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32 stante il mancato apprezzamento, da parte del Tribunale, della gravità dell’attuale situazione del Pakistan, da correlare a quella personale del richiedente, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

2. – Le censure esposte non possono trovare accoglimento.

La doglianza di cui al primo motivo, imperniata sulla mancata spendita, da parte giudice di appello, dei poteri officiosi, appare non concludente. Infatti, “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria art. 14, ex lett. a) e b) escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione). In altri termini, ove vengano in questione le ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275), non vi è ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti, situazioni, o condizioni giuridiche che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, devono reputarsi estranei alla vicenda personale di questo. Va ricordato, in proposito, che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 29 gennaio 2019, n. 2458; Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui, ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni). Nel caso in esame, il giudice del merito ha però motivatamente escluso che le dichiarazioni del richiedente potessero ritenersi plausibili, come invece è richiesto dall’art. 3, comma 5, lett. c), cit.. Non potendo ritenersi provati i fatti oggetto della narrazione, non trovava dunque giustificazione, con riguardo alle richiamate forme di protezione, e secondo quanto si è detto, la spendita dei poteri officiosi (previsti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis).

Il secondo mezzo è incentrato sul rilievo per cui il Tribunale avrebbe mancato di considerare che, nella regione di provenienza del ricorrente, come del resto in tutto il Pakistan, il rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), era determinato da una perdurante situazione di violenza indiscriminata. Si osserva, di contro, che il giudice del merito ha puntualmente esaminato il profilo oggetto della doglianza, avvalendosi, come sopra esposto, delle risultanze di una autorevole fonte informativa. Si è in presenza di un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054): l’omesso esame del fatto decisivo però non ricorre, come si è appena osservato; e altrettanto andrebbe osservato con riferimento al vizio motivazionale se, sul punto, non fosse assorbente il rilievo per cui una censura di tale contenuto non è stata neanche formulata.

Il terzo motivo finisce poi per sindacare, in punto di fatto, l’affermazione, contenuta nel decreto impugnato, secondo cui “è da escludere il rischio per il ricorrente di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico, ambientale idoneo a costituire una significativa dell’effettiva compromissione dei diritti fondamentali e inviolabili”. Il giudizio formulato ben si inquadra nell’indagine, demandata al giudice del merito, quanto al pericolo, in caso di rimpatrio di una violazione dei diritti umani: indagine che deve peraltro necessariamente avere ad oggetto la vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29460, sempre in motivazione). Ciò detto, l’accertamento svolto dal Tribunale sfugge, per sua natura, al sindacato di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, sicchè la censura del riscorrente risulta essere inammissibile.

3. – Il ricorso è respinto.

4. – Nulla deve statuirsi in punto di spese, stante la mancata resistenza del Ministero intimato.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1a Sezione Civile, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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