Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9533 del 22/04/2010

Cassazione civile sez. III, 22/04/2010, (ud. 09/03/2010, dep. 22/04/2010), n.9533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29393/2005 proposto da:

M.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato MATTIA Rosa,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BERTOLA MARIO

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.C., ALLIANZ SUBALPINA SPA (OMISSIS); M.

C. (OMISSIS);

– intimati –

e contro

ANAS SPA, ENTE NAZIONALE PER LE STRADE S.p.A. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli Uffici dell’AVVOCATURA

GENERALE STATO, da cui è difesa per legge;

– resistente –

avverso la sentenza n. 83/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

Sezione Seconda , depositata il 16/03/2005; R.G.N. 249/2003.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/03/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato Rosa MATTIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16 marzo 2005 la Corte di appello di Trento, tra l’altro, in parziale riforma della sentenza di primo grado, respingeva le domande di rivalsa proposte da Allianz Subalpina s.p.a.

nei confronti di M.C.; compensava le spese del giudizio e confermava nel resto la sentenza appellata.

Il giudice di primo grado – il Tribunale di Trento – in composizione monocratica – in data 18 febbraio 2003 aveva condannato M. N. e M.C., unitamente a C.C., al pagamento in solido in favore di Allianz dell’importo di 330 milioni (da convertirsi in Euro), oltre interessi, in quanto somma pari all’importo versato dalla Compagnia assicuratrice del veicolo incidentato, a titolo risarcitorio, agli eredi di Z.O. per la morte del loro congiunto, terzo trasportato nell’autovettura di proprietà della M..

Alla guida del veicolo era il C., che, dopo un testa-coda, collideva violentemente contro la parte iniziale (testa) del guard rail delimitante il lato destra della carreggiata della S.S. n. (OMISSIS) nei pressi del Comune di (OMISSIS) il (OMISSIS).

Il Tribunale condannava, inoltre, il C. al pagamento in favore di M.C. dell’importo di L. 1.100.000, oltre interessi.

La condannava riguardava anche le spese di lite, variamente ripartite.

Contro la sentenza di appello sopra indicata insorge M. N. con ricorso affidato a due motivi, di cui il secondo particolarmente articolato.

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.

All’udienza pubblica del 22 ottobre la Corte rilevava la omessa notifica del ricorso a M.C., appellante- litisconsorte processuale- e che la notifica all’ANAS era avvenuta presso l’Avvocatura distrettuale di Trento e non già presso l’Avvocatura generale dello Stato in via dei Portoghesi in Roma, per cui disponeva di conseguenza per la ritualità del contraddittorio.

L’incombente risulta ritualmente espletato.

Per l’odierna udienza pubblica il ricorrente ha depositato memoria sostitutiva di quella precedente.

L’Avvocatura generale dello Stato, che non aveva svolto difese aveva solo richiesto di partecipare all’odierna discussione orale, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, alla quale non è intervenuta.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Ritiene il Collegio che vada, sinteticamente, ricapitolata la vicenda, sulla cui decisione di secondo grado si appunta il ricorso.

Il (OMISSIS) l’alpino C.C. nel percorrere la S.S. n. (OMISSIS), alla guida della fiat Uno di proprietà di M.C., assicurata con Allianz, ed a lui affidata da parte di M.N., perdeva il controllo del mezzo, che dopo un testa coda collideva violentemente contro la parte iniziale (testa) del guarda rail delimitante il destro della carreggiata.

Nell’incidente perdeva la vita il terzo trasportato Z.O..

Nel corso dell’istruttoria, svoltasi avanti al Tribunale a seguito dell’azione in surroga proposta da Allianz, la Compagnia sosteneva di non dover nulla corrispondere, essendo il mezzo non coperto da garanzia assicurativa, per cui le andavano rimborsate le somme versate a seguito dell’avvenuto incidente e conseguente decesso del terzo trasportato.

Il C. restava contumace.

Si costituiva il M.N., che contestava l’assunto della Compagnia e affermava di aver concesso l’uso della vettura al C. nel convincimento che questi fosse munito di patente.

Comunque, asseriva il M. la responsabilità era in via esclusiva o, quanto meno, prevalente dell’ANAS o della Provincia autonoma di Trento, proprietaria della strada, in quanto l’evento si sarebbe verificato in conseguenza della pericolosità del guard rail contro il quale la vettura era urtata.

Nel costituirsi M.C. negava ogni sua responsabilità; anche l’ANAS negava ogni responsabilità; la Provincia chiedeva dichiararsi il proprio difetto di legittimazione passiva essendo l’ANAS l’ente proprietario della strada.

Il Tribunale accoglieva la domanda di Allianz.

A seguito dell’appello di M.N. e M.C., il giudice dell’appello disponeva CTU per accertare se ” con una diversa conformazione del guard rail “si sarebbe o meno verificata la sua penetrazione nella carrozzeria dell’autovettura sinistrata” (p. 8 ricorso) e, all’esito dell’istruttoria, rigettava la domanda proposta nei confronti di M.C., accogliendo la eccezione di prescrizione da questa formulata circa l’azione di rivalsa contro di lei dispiegata dalla Compagnia.

2. – Passando all’esame del ricorso, osserva il Collegio che il primo motivo costituisce il punto centrale della questione.

Con esso, sostanzialmente, il M. ritiene di aver agito in modo esente da colpa, perchè affidò il veicolo al C., che mentì sulla circostanza che egli fosse in possesso della patente, per cui il giudice dell’appello avrebbe dovuto ritenerlo responsabile solo dopo aver preso in considerazione la diligenza comune dell’uomo medio nelle circostanze concrete che, invece, nella specie non sarebbero state nemmeno considerate.

Questa censura, formulata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 116 C.d.S., comma 12 e art. 194 C.d.S., L. n. 689 del 1981, art. 3, art. 2043 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), non coglie nel segno.

2.1. – Al riguardo, va posto in rilievo che, in tema di responsabilità anche extracontrattuale, il criterio codicistico della diligenza del buon padre di famiglia, che presiede a vari istituti del codice, non si sostanzia nella mera buona fede circa l’apprezzamento della condotta, ma deve coincidere con la verifica di tutte le possibilità idonee ad evitare anche le conseguenze di fatti accidentali, nonchè colposi, in quanto questi ultimi possono essere determinati anche da un eventuale errore proprio per non aver usato la normale diligenza.

Va anche sottolineato che è giurisprudenza di questa Corte, peraltro richiamata anche dal ricorrente (p. 13 e 14 ricorso), che “in riferimento al caso in cui una delle cause consiste in una omissione, la positiva valutazione sull’esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l’azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l’evento dannoso ovvero a ridurne la portata e non può essere esclusa la sua efficienza soltanto perchè sia incerto il suo grado di incidenza causale” (Cass. n. 488/03).

2.2. – Nel caso in esame – e sono risultanze pacifiche – l’incidente si è verificato per l’azione omissiva del M., che aveva l’obbligo di richiedere al suo commilitone, dalla giovane età, quanto meno la esibizione del documento, nonchè per l’imprudenza del conducente del veicolo, spinto ad alta velocità, per la sua inesperienza a non saper gestire tecnicamente il veicolo.

Il giudice dell’appello non ha escluso il rapporto di causalità tra le due cause, perchè ha ritenuto, alla stregua delle risultanze agli atti, che la causa preesistente – l’omessa diligenza – fosse causa efficiente dell’evento dannoso, cagionato da quella causa successiva, strettamente legata alla preesistente e che non si sarebbe esplicitata e realizzata se la prima l’avesse impedita (v. p. 14 sentenza impugnata).

Ovvero, se fosse stata usata la media diligenza da parte del M., in sè e per sè si sarebbe evitata l’ulteriore condotta causativa in via diretta dell’evento, non potendo ritenersi, anche per le vigenti norme del codice della strada (art. 116 C.d.S., comma 12, che prevede la sanzione amministrativa per tale condotta, essendo stato affidato incautamente a soggetto sprovvisto di patente, senza osservare la minima prudenza, richiesta in casi del genere), che fosse incerto o improbabile il grado di incidenza causale di tale omissione.

Il fatto che il M. si sia fidato della parola del C., suo commilitone, dopo che altri commilitoni da lui interpellati avevano dichiarato di essere sprovvisti momentaneamente della patente (v. p. 13 sentenza impugnata), gli avrebbe dovuto imporre, al momento della risposta positiva del C., di richiedere la esibizione del documento.

Il non averlo fatto ha costituito una leggerezza di gravità tale che mal si concilia con il criterio della diligenza del buon padre di famiglia, che non è riconducibile e non si esaurisce nella buona fede, tanto è che il codice fa convivere – diligenza del buon padre di famiglia e buona fede – con una propria dignità ontologica nel suo ampio spettro.

2.3. – In realtà, la sentenza impugnata, che si basa sulle documentazioni acquisite, sulle risultanze processuali e si richiama ai principi di diritto applicabili al caso in esame, ha correttamente statuito sulla responsabilità del M. ed ha escluso ogni responsabilità dell’ANAS come proprietario della strada ex art. 2051 c.c., valutando gli elementi che sono trascritti nel corpo della sentenza impugnata e alla fine della stesso, ovvero:

a) la omessa verifica del possesso della patente da parte del M. è stata la causa preesistente da sola idonea ad assurgere a causa efficiente dell’evento: giammai il C. si sarebbe messo alla guida se, a seguito della verifica da parte del M., fosse risultato, come era, sprovvisto di patente, data anche la sua giovane età;

b) la inesistenza di qualsiasi insidia o trabocchetto, perchè la conformazione del luogo in cui si verificò l’incidente e il posizionamento del guard rail erano corretti.

Al riguardo, il giudice di appello, dopo aver affermato che il detto posizionamento non costituiva pericolo, ha, ulteriormente, precisato che “il guard rail era ..posto in un tratto rettilineo precedente la doppia curva regolarmente segnalata in posizione ben visibile (non risultava coperto come dimostrano le fotografie in atti – su questo passaggio argomentativo nulla sembra censurare il ricorrente-) e, dunque, perfettamente percepibile dall’utente medio, facendo uso della normale diligenza, nè era, di per sè, come detto, oggettivamente pericoloso” (p. 22 sentenza impugnata).

Di tutta evidenza, e contrariamente a quanto asserisce il ricorrente nel resto del ricorso, si può sottolineare che in nessuna violazione di norme di legge sia incorso il giudice dell’appello, che ha escluso l’applicabilità al caso in esame dell’art. 2051 c.c., in virtù della dinamica dell’incidente, ovvero del tipo di impatto, causato dall’estrema imperizia e pericolosità di guida del conducente, il quale, guidando su di un tratto curvilineo, di notte e ad alta velocità, con il fondo reso viscido dalla pioggia, sprovvisto di patente, andò ad urtare con la fiancata posteriore sinistra dell’autovettura contro l’elemento curvo iniziale del guardrail.

Quindi, l’attribuzione della responsabilità dell’incidente alla colpa omissiva ed imprudente del M. risulta argomentata e valutata avendo presente, anche in base alla ricostruzione del CTU ( p. 22 e p. 23 sentenza impugnata) (v. Cass. n. 584/01).

2.4. – Nè rileva l’ulteriore affermazione, contenuta in sentenza, circa la esclusione dell’operatività dell’art. 2051 c.c., allorchè si tratta di ampio tratto di strada da sorvegliare: trattasi di osservazione ad abundantiam, che non incide sulla decisione, essendo dirimente il giudizio sulla inesistenza dell’insidia precedentemente formulato.

Peraltro, se la responsabilità della P.A. o del gestore è configurabile ex art. 2051 c.c., allorquando il bene demaniale o patrimoniale, da cui si sia originato l’evento dannoso, risulti adibito all’uso generale e diretto della collettività e si presenti di notevole estensione, tuttavia tali circostanze, avuto riguardo alla peculiarità dell’evento, possono assumere rilievo sulla base di una specifica ed adeguata valutazione del caso concreto, ai fini della individuazione del caso fortuito (Cass. n. 19653/04, richiamata dal ricorrente a p. 14 ricorso).

Per quanto sopra riportato circa l’analisi che del caso concreto ha compiuto il giudice dell’appello, la esclusione di ogni insidia o trabocchetto è stata accertata in base agli elementi documentali, alle risultanze della CTU, al posizionamento della stessa barriera protettiva.

Una volta inquadrato nei suoi elementi oggettivi la fattispecie, il giudice ha escluso ogni responsabilità, stante la causa preesistente (l’azione omissiva del M.) ed ammessa, in ipotesi, la causa simultanea (la esistenza del guard rail, posizionato in luogo ben visibile (p. 22 sentenza impugnata), ne ha tratto la conseguenza, logicamente e congruamente motivata, che solo la prima abbia avuto un’efficienza causale, stante la “neutralità” della struttura e della posizione dello stesso guard rail.

In estrema sintesi, la deduzione del giudice dell’appello, secondo la quale “solo la condotta abnorme e del tutto “eccezionale” del guidatore deve ritenersi unica causa dell’evento con esclusione, quindi, di qualsiasi addebito di colpa nei confronti della chiamata ANAS”, risulta immune da ognuno dei profili denunciati.

3. – Ne consegue che restano assorbiti tutti gli altri tre profili, nei quali si articola il secondo motivo:

– il primo, circa le domande proposte dalla chiamata ANAS s.p.a,;

violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.; dell’art. 3, dell’allegato 1 al D.M. Lavori Pubblici 18 febbraio 1992, n. 223 – art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, prospettata dalle parti o rilevabile di ufficio – art. 360 c.p.c., n. 5);

– il secondo, in merito alla violazione dell’art. 2051 c.c. – responsabilità per cose in custodia;

– il terzo, circa la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 dell’allegato 1 al D.M. Lavori Pubblici 18 febbraio 1992, n. 223, prospettato anche sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per il fatto che l’ANAS aveva ripristinato il guard rail in epoca immediatamente successiva all’incidente e che, ben prima di rimuoverlo completamente, lo aveva modificato “installando al posto dell’originario terminale leggermente arcuato con bordo di limitato spessore e quindi molto tagliente…un elemento curvo avente maggiore sviluppo del precedente” (p. 18 ricorso con riferimenti alla CTU).

Assume il ricorrente che, una volta pretermessa la conclusione del CTU, nella sentenza impugnata non si sarebbe potuto ritenere una non pericolosità dello stesso guard rail.

Non solo, ma il giudice dell’appello avrebbe trascurato la relazione del C.T. di parte, richiamata nella comparsa conclusionale nella causa di appello, omettendo, quindi, di considerare l’ulteriore rimedio rappresentato dal terminale “a goccia”, illustrato in due fotografie riprodotte sempre a p. 25 della succitata comparsa conclusionale (p. 19-20 ricorso).

Infine, si rileverebbe una ulteriore omissione perchè l’enunciato circa la “visibilità della doppia curva”, così come ritenuto in sentenza sarebbe smentita dal fatto che l’incidente si era verificato di notte, in un tratto di strada privo di illuminazione (p. 20 ricorso).

4. – Tuttavia, ritiene il Collegio che, al di là dell’ovvio – processualmente parlando, assorbimento del i secondo e complesso motivo, sia opportuna una sua disamina, che mostri le ragioni per cui, comunque, esso, nella sua interezza, sia da disattendere.

4.1. – Infatti, premesso che, per quanto concerne il primo profilo, la censura è proposta in alternativa, ossia in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 o all’art. 360 c.p.c., n. 5, ad attento esame il contenuto della doglianza appare riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, e va respinto.

Il giudice dell’appello ha escluso ogni responsabilità in capo ANAS perchè si è fatto carico di riesaminare il fascicolo originale dei rilevi fotografici, nonchè i risultati della disposta CTU (v. p. 18- 19 sentenza impugnata), per giungere alla conclusione che non sembra “irragionevole e censurabile la scelta tecnica (da parte dell’ANAS – n.d.r.) di porre su quel tratto di strada una barriera protettiva”, perchè idonea ad evitare conseguenze imprevedibili, stante la presenza del fossato, seppure di non rilevante profondità (v. p. 18- 20 sentenza impugnata): censura del secondo profilo, che, va, quindi, disattesa, senza trascurare di porre in rilievo che lo stesso ricorrente tenti solo di offrire una diversa valutazione dei documenti acquisiti.

4.2. – Con il terzo profilo il ricorrente ritorna sulla inadeguatezza della barriera protettiva al punto che, a suo avviso, essa fosse una insidia o un trabocchetto.

Per il vero, si tratta, da un lato, di valutazioni su circostanze ed elementi che il giudice dell’ appello ha esaminato con motivazione appagante sotto il profilo logico e giuridico e, dall’altro, di una interpretazione che urta contro un limpido passaggio argomentativo della sentenza impugnata.

Infanti, il giudice del gravame, dopo aver affermato che il posizionamento del guard rail non era pericoloso, ha anche posto in rilievo che lo stesso “era, infatti, posto su di un tratto rettilineo precedente la doppia curva regolarmente segnalata in posizione ben visibile (non risultava coperta come dimostrano le fotografie in atti) e, dunque, perfettamente percepibile dall’utente medio, con l’uso della normale diligenza; nè era di per sè, come detto, oggettivamente pericoloso (p. 22 sentenza impugnata e sul punto v.

Cass. n. 584/01).

Nè risulta corrispondere al vero che il giudice del gravame non abbia considerata la circostanza che successivamente all’incidente la barriera protettiva fosse stata eliminata e sostituita, dato che ha ritenuto questa circostanza irrilevante alla stregua della ricostruita dinamica dell’incidente ed ha ribadito che quel guard rail fosse di larghissimo impiego presso l’ANAS ed altri enti (riportando la CTU a p. 2), oltre che assolutamente consentito (p. 21 sentenza impugnata).

La insussistenza di qualsiasi insidia o trabocchetto, accertata dalla sentenza impugnata, attesa la conformazione del luogo in cui si verificò l’incidente, così come statuito dal giudice dell’appello va, quindi, confermata (v. Cass. n. 17152/02).

Conclusivamente il ricorso va respinto. Nulla va disposto per le spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2010

 

 

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