Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9532 del 22/04/2010

Cassazione civile sez. III, 22/04/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 22/04/2010), n.9532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.B.M. (OMISSIS), T.C.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MICHELE

MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato LUPONIO ENNIO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PORRATI CARLO giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

LOCAT SPA (GRUPPO BANCARIO UNICREDITO ITALIANO) quale società

incorporante la società FINDATA LEASING – già FINDATA FINANZIAMENTI

S.P.A. a sua volta incorporante la società CARISPO S.P.A. in persona

del suo Procuratore Dott. M.M., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA P.L. DA PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato

GEREMIA RINALDO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ARNAUDO SILVIA giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 306/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO, 4^

SEZIOSNE CIVILE, emessa il 25/11/2004, depositata il 28/02/2005,

R.G.N. 114 4/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato ENNIO LUPONIO;

udito l’Avvocato RINALDO GEREMIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28 febbraio 2005 la Corte di appello di Torino rigettava la domanda di accertamento di scioglimento del contratto di leasing del 13 ottobre 1989 per mutuo consenso, proposta da D.B. M. e T.C. contro la Locat s.p.a.; rigettava la domanda di risarcimento del danno proposta dal D.B. e dalla T. contro la Locat spa; accertava che per fatto e colpa del D. B. era risolto il detto contratto; condannava gli appellati in solido al pagamento in favore della Locat s.p.a.della somma capitale di Euro 13.503,10 oltre interessi di mora convenzionali, pari a sette punti oltre il prime rate ABI, dal 24 settembre al saldo; rigettava ogni altra domanda proposta dalla Locat s.p.a. contro gli appellati;

revocava il decreto ingiuntivo concesso dal Presidente del Tribunale di Alessandria il 10 dicembre 1993 e ordinava la cancellazione della ipoteca iscritta dalla Locat contro gli appellati al passaggio in giudicato della sentenza e compensava tra le parti nella misura del 60% le spese di lite.

Siffatta decisione riformava la decisione definitiva del Tribunale di Alessandria del 21 marzo 2003, la quale, emessa in due giudizi riuniti, proposti il primo con atto di citazione del 23 novembre 1993 (ed iscritto al R.G. n. 2609/93), il secondo a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo (ed iscritto al R.G. n. 2700/93), aveva dichiarato risolto per mutuo consenso il contratto di leasing su indicato e, quindi, aveva affermato che nulla più al riguardo il D. B. e la T. dovevano a titolo fidejussorio alla Locat (succeduta all’originario contraente CARISPO s.p.a.), revocando il decreto opposto.

Contro la sentenza di appello sopra indicata ricorre per cassazione il D.B., affidandosi a cinque motivi.

Resiste con controricorso la LOCAT, che ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1322, 1325, 1352, 1362, 1372, 1388, 1399 c.c., art. 2721 c.c., comma 2, artt. 2724 e 2725 c.c. – omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), in estrema sintesi, il ricorrente lamenta che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe riformato la sentenza di primo grado.

Infatti, il contratto di leasing si sarebbe sciolto per mutuo consenso, come risulterebbe dalle espressioni adoperate nell’atto di riconsegna e da lui sottoscritto “per accettazione” (p. 12 ricorso).

Assume il ricorrente che il giudice dell’appello sarebbe incorso in una contraddittoria motivazione allorchè ha ritenuto “apoditticamente” che il documento di cui si tratta “non sarebbe di provenienza della locatrice ma da una società terza” e aveva più volte ripetuto in sentenza che la locatrice era la CARISPO (ora LOCAT) e che la scrittura era stata predisposta a stampa dalla stessa CARISPO, che vi avrebbe inserito la clausola, che esprimeva la risoluzione del contratto (p. 12 ricorso).

Al riguardo, osserva il Collegio che il giudice dell’appello, dopo aver rammentato “il tenore dei documenti” ed, esattamente, il cd.

verbale di consegna, che riporta integralmente (p. 34-35 sentenza impugnata), ha statuito sulla irrilevanza del documento ex art. 1372 c.c..

A sostegno del suo convincimento il giudice dell’appello ha posto in rilievo varie rationes decidendi.

Queste consistono: nella ovvietà della riconsegna; nel fatto che il documento non proveniva dalla locatrice, bensì da una società terza indicata solo come depositarla del mezzo e priva del potere di disporre del diritto sostanziale derivante dal contratto di leasing, al pari del suo dipendente R.; nell'”accettazione” del D. B. apposta in calce al documento, che altro non poteva significare che lo stesso D.B. era stato informato del fatto che la risoluzione era avvenuta non per volontà consensuale, ma per determinazione della CARISPO; nella presenza della clausola n. 19.3 del contratto del 13 ottobre 1989, la quale prevedeva per lo scioglimento consensuale la forma scritta ad substantiam.

Ciò posto, ritiene il Collegio che risulta evidente la insussistenza di alcun vizio motivazionale.

Nè, tanto meno, alcun errore di diritto sostanziale, per cui la censura va disattesa.

2.- Con il secondo motivo (omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) osserva il Collegio che non risponde al vero quanto dedotto dal ricorrente.

Infatti, il giudice dell’appello ha interpretato il contratto di leasing come leasing traslativo alla luce del comportamento posto in essere dalle parti e con il conforto della giurisprudenza di questa Corte, che puntualmente richiama (p. 38-43 sentenza impugnata).

Ha, quindi, valutato la sussistenza dei presupposti per la risoluzione, determinandone gli effetti.

Ciò posto, ha riconosciuto che alla CARISPO (ora LOCAT), con la riconsegna già avvenuta, spettava un equo indennizzo per il periodo di uso del trattore ed il risarcimento del danno, mentre al D. B. spettava la restituzione delle somme già versate, salva la compensazione fra il dare e l’avere (p. 46 sentenza impugnata).

In effetti, il giudice del merito ha effettuato il calcolo del credito maturato per capitale e interessi dall’inizio al momento della risoluzione, detraendo dalla somma così determinata l’importo che risultava indicato a titolo di canoni inevasi.

Quindi, nessuno dei vizi denunciati in relazione all’applicabilità dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella specie, è configurabile, anche perchè il ricorrente sembra richiedere, in questa sede, l’esame della corretta applicabilità dei calcoli effettuati (p. 15-16 ricorso) che non è consentito in questa sede (v. p. 47 sentenza impugnata).

3. – Anche il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1526 cod. civ., omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) e subordinato al rigetto dei primi due, va disatteso.

In sostanza, assume il ricorrente che l’indennizzo non poteva ammontare a L. 4.500.000, perchè di misura di gran lunga superiore al canone mensile del leasing che era di L. 2.500.000 (p. 17-18 ricorso).

In realtà, il giudice dell’appello, per giungere a determinare le utilità ricavate dall’utilizzatore, che, come fa presente la resistente (p. 13 controricorso), costituiscono elementi giuridici ed economici ben diversi dall’ammontare dei canoni, in coerenza con i criteri all’uopo stabiliti da questa Corte (p. 45 sentenza impugnata), ha tenuto presente che si trattava di un mezzo d’opera, strumentale all’attività di autotrasportatore svolta dal D.B.; che il mezzo-trattore stradale – era idoneo, in quanto inserito in un ciclo produttivo formato da 12 autocarri -, al traino di semirimorchi o di pianali recanti containers per trasporti a groupages e poteva transitare per trasporto di derrate non alimentari cinque giorni alla settimana.

Alla luce dì ciò e del rilevante valore all’epoca del trattore, ha operato una valutazione equa per la determinazione del compenso (v.

par. 6 sentenza impugnata a P. 47).

Si tratta di argomentazione logica appagante anche sotto il profilo giuridico, attesi i criteri interpretativi di questa Corte di cui a Cass. n. 4969/07, avendo il giudice dell’appello effettuato, in modo non rigido, la correlazione della indennità all’entità del danno subito dal creditore ed avendo riconosciuto che la risoluzione si è verificata non per mutuo consenso, ma per inadempimento dell’utilizzatore (v. par. 6.1 e 6.2, nonchè par. 7 rispettivamente a p. 47 e inizio pag. 48 sentenza impugnata) (Cass. n. 73/2010; già Cass. n. 9161/02).

4.- Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) tutto centrato sulla mancata CTU e sull’asserita violazione del principio dell’onere della prova, perchè il giudice dell’appello avrebbe assunto come veri solo i dati emergenti dalla perizia di parte (p. 18 ricorso), è infondato.

Di vero, il diniego di espletare una CTU è motivato sia perchè mancavano “dati essenziali” sull’ipotetico maggior valore del veicolo, che fu acquistato già usato, per cui “sarebbe stato necessario conoscere quali fossero le condizioni di esso al momento dell’acquisto”, sia perchè “parti appellate non hanno mai offerto alcun elemento di prova (nè lo allegano, quanto meno in questa sede n.d.r., al fine di contrastare e contestare la argomentazione del giudice a quo) nè delle condizioni iniziali nè delle ipotetiche condizioni finali migliori rispetto a quelle ammesse dalla CARISPO (p. 48-49 sentenza impugnata).

5.- Infine, anche il quinto motivo (violazione dell’art. 1815 c.c., comma 2, come modificato dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 4 ed L. 7 marzo 1996, n. 180, art. 2) va respinto.

Il ricorrente si duole del fatto che il giudice dell’appello abbia attribuito alla LOCAT, sulle somme riconosciute ad essa dovute, gli interessi di mora nella misura stabilita nel contratto di leasing (sette punti oltre il prime rate ABI) “senza rilevare, anche d’ufficio e nonostante che il D.B. e la T. l’avessero rilevato fin dal primo grado di giudizio e ribadito in appello, che tale tasso d’interessi veniva a superare la soglia degli interessi usurari, la cui pattuizione è illegittima” (p. 18-20 ricorso, con richiamo di Cass. n. 14899/00).

Al riguardo, osserva il Collegio che il giudice dell’appello ha già disposto una riduzione equa della “penale” prevista nel contratto (par. 8.1 a p. 49 sentenza impugnata) (v. di recente n. 18195/07) e la pattuizione dei tassi da applicare al contratto risale al 1989 – il contratto è stato stipulato il 13 ottobre 1989 e risolto nel 1993- .

A seguito della norma di interpretazione autentica di cui al D.L. n. 394 del 2000, art. 1, conv. con modificazioni in L. n. 24 del 2001 (norma che ha superato, in parte qua, il vaglio della Corte Costituzionale – sent. n. 29/2002, par. 4) i criteri fissati dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge, in quanto il rapporto si era risolto prima della L. n. 108 del 1996, nè rileva la pendenza della controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto e rimaste inadempiute, le quali non implicano che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, ma solo che la sua risoluzione ha lasciato in capo ad una delle parti delle ragioni di credito.

Ne consegue che il motivo non può essere accolto non solo per la vigenza della legge di interpretazione autentica n. 24/01, ma anche in virtù della piena applicazione del principio di successione di leggi nel tempo (Cass. n. 13868/02; Cass. n. 15497/05; Cass. n. 4380/03; Cass. n. n. 26499/09).

Conclusivamente, il ricorso va respinto, ma, dato l’alterno esito delle fasi di merito, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti integralmente le spese del presente giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2010

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