Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 953 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2020, (ud. 03/07/2019, dep. 17/01/2020), n.953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8342 – 2018 R.G. proposto da:

F.A. – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato

Salvatore Caligiuri ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Raffaele Caverni, n. 6, presso lo studio dell’avvocato Paola

Armellin.

– ricorrente –

contro

M.L.D. – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in

virtù di procura speciale in calce al controricorso dall’avvocato

Davide Zito ed elettivamente domiciliata in Roma – Ostia Lido, alla

via Quinto Aurelio Simmaco, n. 7, presso lo studio dell’avvocato

Claudio Triola.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2334 dei 17.8/8.9.2017 del tribunale di Torre

Annunziata;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2019

dal consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso in data 18.5.2012 al giudice di pace di Castellammare di Stabia F.A., dottore commercialista, esponeva che aveva svolto negli anni 2010 e 2011 e nel primo trimestre del 2012 attività contabile su incarico e per conto di M.L.D., titolare della ditta individuale “Future Office”; che, nonostante i ripetuti solleciti, le sue spettanze, pari ad Euro 3.720,28, erano rimaste insolute.

Chiedeva ingiungersi a M.L.D. il relativo pagamento.

Con decreto n. 241/2012 l’adito giudice pronunciava l’ingiunzione.

2. Con citazione notificata il 30.7.2012 M.L.D. proponeva opposizione.

Resisteva F.A..

3. Con sentenza n. 5734/2015 il giudice di pace di Torre Annunziata (dinanzi al quale il giudizio era stato riassunto all’esito della declaratoria di incompetenza per territorio del giudice inizialmente adito) condannava l’opponente a pagare all’opposto la somma di Euro 377,69, oltre accessori, quale residuo importo dovuto.

4. Proponeva appello M.L.D..

Resisteva F.A.; proponeva appello incidentale.

Con sentenza n. 2334 dei 17.8/8.9.2017 il tribunale di Torre Annunziata accoglieva parzialmente l’appello principale, rigettava l’appello incidentale ed, in riforma della statuizione di primo grado, in ogni altra parte confermata, condannava M.L.D. a pagare ad F.A. la somma di Euro 170,00, oltre accessori, quale residuo importo dovuto; compensava integralmente le spese del doppio grado.

4.1. Esplicitava il tribunale che, in assenza di prove di segno contrario, era da attribuire all’appellato per le attività di consulenza compiute in epoca antecedente alla stipula del contratto d’opera, ovvero per il periodo compreso tra settembre 2010 e marzo 2012, il compenso mensile di Euro 80,00 – che la medesima appellante aveva riconosciuto come dovuto – oltre al compenso di Euro 300,00, liquidato “in via equitativa dal giudice di primo grado per la dichiarazione dei redditi del luglio 2011” (così sentenza d’appello, pag. 10).

Esplicitava inoltre che dal complessivo importo di Euro 1.820,00, andavano detratte la somma di Euro 150,00, “ricevuta in acconto dal F. prima dell’inizio della causa, come egli stesso riconosce in sede di comparsa di costituzione e risposta” (così sentenza d’appello, pag. 10), e “la somma di Euro 1.500,00 versata dalla M. nel corso del giudizio di primo grado, con la conseguenza che ciò che residua a saldo (…) è (…) il minore importo di Euro 170,00 (…)” (così sentenza d’appello, pag. 10).

5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso F.A.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

M.L.D. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese e con condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

6. Il relatore ha formulato proposta di manifesta infondatezza del ricorso ex art. 375 c.p.c., n. 5); il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in Camera di consiglio.

Il ricorrente ha depositato memoria.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. in relazione agli artt. 112,115 e 116 c.p.c..

Deduce che il tribunale gli ha erroneamente attribuito il riconoscimento dell’avvenuta corresponsione dell’acconto di Euro 150,00; che invero del versamento di tale acconto si dava atto “nella comparsa di costituzione e risposta della Future Office di M.L.D.” (così ricorso, pag. 3).

Deduce altresì che la documentazione allegata in giudizio da entrambe le parti non dà in alcun modo riscontro del versamento dell’acconto di Euro 150,00 antecedentemente all’inizio del giudizio di primo grado.

Deduce conseguentemente che la determinazione del quantum debeatur operata dal secondo giudice è del tutto illogica e contraddittoria.

8. Il primo motivo di ricorso va respinto.

8.1. Invero il primo profilo dell’addotta ragione di censura (il “giudice di merito (…) ha confuso gli scritti difensivi (…)”: così ricorso, pag. 5; “al di là dell’errore del Giudice d’Appello nell’aver ravvisato un’ammissione di incasso da parte del F. confondendo le comparse prodotte dalle parti, (…)”: così memoria del ricorrente, pag. 3) si risolve nella prospettazione di un errore revocatorio, atteso che errore di fatto, che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, è propriamente l’erronea percezione degli atti di causa (cfr. Cass. (ord.) 24.7.2012, n. 12962. Si veda anche Cass. sez. lav. 15.1.2009, n. 844, secondo cui l’errore di fatto idoneo a costituire motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa).

8.2. L’infausto esito del primo profilo del primo mezzo di impugnazione e la susseguente impregiudicata valenza del rilievo del giudice di seconde cure circa il riconoscimento da parte dell’appellato, ricorrente in questa sede, del versamento dell’acconto di Euro 150,00 assorbono ogni ulteriore profilo di doglianza – circa il riscontro documentale del versamento dello stesso acconto – che il primo motivo al contempo veicola.

9. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

Deduce che ha errato il tribunale a compensare integralmente le spese del doppio grado; che è stato costretto ad adire le vie legali al fine di ottenere il riconoscimento del suo diritto al compenso.

10. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

10.1. E’ fuor di dubbio che il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (cfr. Cass. sez. lav. 1.6.2016, n. 11423; Cass. (ord.) 24.1.2017, n. 1775).

10.2. Ed è fuor di dubbio inoltre che reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorchè quest’ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (cfr. Cass. 22.2.2016, n. 3438; Cass. (ord.) 23.9.2013, n. 21684).

11. Su tale scorta, nella fattispecie, all’esito del doppio grado di merito, si è sicuramente – siccome correttamente ha opinato il tribunale – al cospetto di un’ipotesi di reciproca soccombenza.

11.1. Più esattamente è vero che M.L.D. ha offerto banco iudicis ad F.A. la somma di Euro 1.500,00.

E tuttavia F.A. con l’actio monitoria inizialmente esperita aveva domandato la corresponsione dell’importo di Euro 3.720,28 (cfr. ricorso, pag. 2) e con l’appello incidentale aveva domandato la condanna dell’appellante principale al pagamento della residua somma di Euro 2.277,97 (cfr. sentenza d’appello, pag. 2).

E’ innegabile quindi che sia in primo grado sia in secondo grado F.A. ha agito per il riconoscimento di un complessivo importo superiore a quello che all’esito del doppio grado gli è stato riconosciuto.

Cosicchè a nulla vale che il ricorrente adduca che “la liquidazione definitiva operata dal giudice di prime cure e confermata, seppur parzialmente dal giudice di merito, è maggiore della somma offerta banco iudicis dalla Sig.ra M. nel corso del giudizio di primo grado” (così ricorso, pag. 6).

12. Nel delineato quadro di reciproca soccombenza – del resto lo stesso ricorrente riferisce che “ha dovuto adire la giustizia e attendere la sentenza di primo grado che gli ha finalmente riconosciuto il suo diritto, anche se rideterminato nel quantum debeatur” (così ricorso, pag. 7) – soccorre evidentemente l’insegnamento di questo Giudice del diritto.

Ovvero l’insegnamento per cui la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Cass. 31.1.2014, n. 2149; cfr. altresì Cass. 24.1.2013, n. 1703, secondo cui, in tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell’una o dell’altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l’oggetto della lite nel suo complesso).

13. Non vi è margine per far luogo in questa sede alla condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Non sussiste infatti, anche ai fini di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3, il presupposto della colpa grave (cfr. Cass. sez. un. 20.4.2018, n. 9912, secondo cui la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui alla medesima norma, primi due commi, non richiede la domanda di parte nè la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicchè possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sè, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese infondatezza dei motivi di impugnazione).

Propriamente è da escludere che la proposizione dell’esperito ricorso per cassazione si sia risolta in una iniziativa pretestuosa.

14. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente, F.A., va condannato a rimborsare alla controricorrente, M.L.D., le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

15. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; rigetta l’istanza ex art. 96 c.p.c.; condanna il ricorrente, F.A., a rimborsare alla controricorrente, M.L.D., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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