Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9528 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. I, 22/05/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 22/05/2020), n.9528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1668/2019 proposto da:

H.M., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Maria Monica Bassan, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 6541/2018 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato

il 21/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/02/2020 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

H.M., nato in (OMISSIS), con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 impugnava dinanzi il Tribunale di Venezia, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale in tutte le sue forme.

Il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente – il quale aveva riferito di temere il rientro nel proprio Paese per le minacce degli zii che accampano pretese su un terreno del padre perchè presentava anomalie inspiegabili, atteso che il padre ed i fratelli vivrebbero ancora nel villaggio e lui aveva dichiarato di avere cessato le pretese sull’immobile e, comunque, il racconto era tale da non far emergere minacce concrete; ha quindi escluso la ricorrenza dei presupposti per le forme di protezione internazionale richieste.

Ha infine respinto la domanda di protezione umanitaria sulla considerazione che non risultava provata l’integrazione in Italia, ritendo, inoltre, assorbita in quanto priva di autonomo rilievo la domanda di asilo politico.

Il richiedente propone ricorso articolato in due mezzi; il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e la errata valutazione delle dichiarazioni del richiedente.

Il motivo è inammissibile perchè, lungi dal confrontarsi con la statuizione impugnata di non credibilità circa le ragioni della fuga, sollecita un sindacato di fatto conforme alla personali aspettative del ricorrente, inammissibile in sede di legittimità.

Nel caso di specie la motivazione senz’altro possiede i requisiti del minimo costituzionale ed il ricorrente, criticando le modalità dell’ascolto e la decisione assunta, non ha tuttavia indicato alcun fatto di cui sia stato omesso l’esame, di guisa che la censura non risponde nemmeno al modello legale del vizio motivazionale denunciato e si palesa del tutto generica (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Inoltre, la doglianza risulta essere assolutamente generica anche quanto alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione e, per conseguenza, priva di decisività non solo perchè l’approfondimento istruttorio vi è stato, essendo state raccolte in udienza le dichiarazioni del richiedente, ma anche perchè non viene indicato quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del ricorso (in tema, Cass. n. 2119 del 24/1/2019), nè la loro tempestiva deduzione dinanzi al giudice di merito.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell'”Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis”, lamentando la mancata valutazione della situazione del Paese di origine del richiedente, della condizione di vulnerabilità del ricorrente e la errata motivazione sulla mancanza di integrazione.

Il motivo è inammissibile.

Per quanto attiene al primo profilo, risulta inammissibile per difetto di specificità e per novità: invero il ricorrente non ha precisato se e in quali termini la situazione del paese di origine fosse stata dedotta, nel giudizio di merito, a fondamento della domanda di protezione umanitaria; quanto al secondo e terzo profilo la censura configura una pura e semplice critica di merito riguardante l’accertamento di fatto della insussistenza dell’integrazione, posto che il Tribunale ha correttamente evidenziato che, in assenza di integrazione sociale del ricorrente in Italia, non è possibile procedere al riconoscimento della protezione umanitaria (conf. Cass. n. 4455 del 23/2/2018).

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00=, oltre spese prenotate a debito;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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