Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9527 del 30/04/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 9527 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA

sul ricorso 16552-2008 proposto da:
MANIGLIA ELENA, MANIGLIA GRAZIA, ROMANO ANNA MARIA,
ri4 vi A L (>

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI
187, presso lo studio dell’avvocato MAGNANOVUIOVANNI,
che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati
MAUCERI SALVATORE, ANDOLINA ITALO AUGUSTO;
– ricorrenti –

2014
666

contro

MANIGLIA EMANUELE, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA TUSCOLANA 339, presso lo studio dell’avvocato
CASSARA’ BRUNO, rappresentato e difeso dall’avvocato
I

Data pubblicazione: 30/04/2014

RUSSELLO GIACOMO;
– controri corrente nonchè contro

TOMMASI GIOVANNI, TOMMASI EMANUELA, TOMMASI NUNZIATA
MARIA, TOMMASI ROSARIO, TOMMASI EMILIA, LO BELLO

BELLO EMANUELA DECEDUTA E PER ESSA CI GNA ANTONIO
CIGNA GERARDO CIGNA SARA MAR IA CIGNA SALVATO, CIGNA
ANTONIO, CIGNA GERARDO, CIGNA SARA MARIA, CIGNA
SALVATORE MARIA, GIUDICE ROSA, ANTONUZZO CONSOLATA
MARIA, ANTONUZZO PIETRO ANTONIO, ANTONUZZO ROSANNA,
ANTONUZZO FORTUNATO, CURATELA FALL SCIASCIA PAOLO ,
GIORRANDELLO ORAZIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 80/2008 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 21/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/03/2014 dal Consigliere Dott. ANTONINO
SCALISI;
udito l’Avvocato MAGNANO DI SAN LIO Marcello con
delega depositata in udienza dell’Avvocato MAGNANO
Giovanni, difensore dei ricorrentiche ha insistito
sull’accoglimento degli atti depositati;
udito l’Avvocato CASSARA’ Bruno con delega depositata
in udienza dell’Avvocato RUSSELLO Giacomo, difensore
del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

GIUSEPPA, LO BELLO SALVATORE, LO BELLO MARIA, LO

,..

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

,

Svolgimento del processo

.

Maniglia Emanuele con atto di citazione del 1 aprile 1976 conveniva n
giudizio davanti al Tribunale di Caltanissetta il fratello Maniglia Francesco,
chiedendo che gli fosse riconosciuto il diritto al trasferimento in suo favore
della piena proprietà di meta degli appezzamenti di terreno acquistati dal

convenuto con atto in notaio Luigi Marino di Gela il 22 marzo 1976.
Conseguentemente la condanna del fratello Francesco a stipulare in favore
dell’attore l’atto pubblico di vendita della metà degli appezzamenti suddetto
assegnando un termine per la stipula con la dichiarazione che trascorso
infruttuosamente detto termine la sentenza avrebbe prodotto gli effetti del
contratto non concluso. A sostegno di questa richiesta Maniglia Emanuele
.

esponeva che Maniglia Francesco aveva stipulato contratto preliminare avente

_
ad oggetto i due appezzamenti di terreno di cui si è detto epperò con la
_

esplicita indicazione in calce al preliminare stesso che “la promessa
preliminare di vendita dove intendersi stipulata oltre che in mio favore anche
in favore di mio fratello Maniglia Emanuele”.
Si costituiva Maniglia Francesco il quale non contestava il diritto dell’attore
alla comproprietà del terreno e non contestava l’avvenuto pagamento da parte
del fratello della caparra di £. 8.000.000, tuttavia assumeva l’esistenza di una
società di fatto tra l’attore e il convenuto che riguardava anche il terreno m
contestazione. Chiedeva, altresì che la causa fosse riumta a quella che lo
stesso aveva instaurato contro Maniglia Emanuele ed altri che aveva per
oggetto anche il terreno in questione.
Sciascia Paolo e Maniglia Emanuele con atto di citazione dell’Il giugno 1976

conveniva in giudizio Maniglia Francesco e, premettendo che quest’ultimo
con atto pubblico in notaio Bcnintcndo di Gela aveva acqui stato
1

/6(

_

.

da parte dei coniugi Scaglione Giuseppe e Di Bartolo Clara un terreno sito in

_

Gela contrada Caposoprano. Tuttavia, il terreno predetto era stato acquistato
per il 37,50% da Maniglia Emanuele, per il 37,50 da Maniglia Francesco e per
il 25% da Scascia Paolo come risultava dalla scrittura privata registrata in
Gela il 18 novembre 1975 a firma di Maniglia Francesco. Ciò premesso, gli

Francesco alla predetta scrittura privata, che il terreno fosse dichiarato in
comproprietà delle parti e che fosse ordinata la divisione del terreno tra i
medesimi.
Si costituiva Maniglia Francesco e deduceva che già con proprio atto di
citazione dell’ 8 aprile 1976, egli aveva convenuto in giudizio gli attori,
_

chiedendo che fosse dichiarata la comproprietà del terreno e che la divisione

_
fosse esaminata nel contesto della complessiva situazione contabile oggetto
del procedimento avviato con l’atto di citazione appena richiamato
Le tre causa venivano riunite e ulteriormente riunite alle cause avviate con
atto di citazione del 1 giugno 1976 di Giorrandello Orazio e con atto di
citazione del 10 agosto 1976 di Lo Bello Carmelo, entrambi nei confronti di
Maniglia Francesco ed avente ad oggetto l’esecuzione specifica d concludere
il contratto.
Interrotto e riassunto più volte per la morte dì diverse parti in causa tra cui
anche Maniglia Francesco il processo veniva nmesso per competenza al
Tribunale di Gela il quale con sentenza del 2003 rigettava tutte le domande. Il
ribunale osservava: a) che l’asserita società di fatto avendo per oggetto beni
immobili doveva ritenersi nulla pei difetto di forala, b) elle noti sussisteva
nessmi mandato conferito in forma scritta, c) che non era stata mai prodotta

2

attori chiedevano che fosse dichiarata autentica la firma apposta da Maniglia

_
_
,.

,
_

ritualmente la dichiarazione a firma di Maniglia Francesco del 25 ottobre
1975 cui faceva riferimento l’atto di citazione dell’ 11 giugno 1976.
Avverso tale sentenza proponevano appello Maniglia Emanuele. Hanno
resistito all’appello Romano Anna Maria e Maniglia Elena eredi di Maniglia
Francesco.Gli altri eredi di Maniglia Francesco, né le altre parti appellate non

La Corte di Appello di Caltanissetta con sentenza n. 80 del 2008 riformava la
sentenza impugnata e per l’effetto: a) trasferiva a Maniglia Emanuele la metà
degli appezzamenti dei terreni acquistati da Maniglia Francesco con atto in
Notaio Marino del 22 marzo 1976, subordinando il trasferimento al
pagamento della somma di

e.

11.223,93; b) dichiarava il diritto di Maniglia

Emanuele ad una somma pari al 37,50% del ricavato della vendita del terreno
_

sito in Gela contrada Caposoprano; c) condannava, in solido, Romano Anna
Maria, Maniglia Elena, Maniglia Marco, Maniglia Grazia al pagamento delle
spese giudiziali del grado. Per il resto, confermava la sentenza di primo grado.
Secondo la corte nissena: a) Maniglia Francesco non ha mai contestato, anzi
ha espressamente dedotto di avere agito negli acquisti dei beni immobili non
nel proprio esclusivo interesse ma per conto della società di fatto esistente con
il fratello Emanuele. B) va tenuto conto che, ai sensi degli artt. 2257, 1706,
2260 cc., l’amministrazione della società semplice spetta, salva diversa
pattuizione, a ciascuno dei soci e pertanto considerato che i diritti e gli

obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato deve
ritenersi che l’amministratore abbia rispetto agli altri soci la figura giuridica
del iiiand atario

eX

cge. Pertanto, il -Mandatario in caso di acquisto di beni-

immobili è obbligato a trasferirli al mandante.
_

La cassazionc di questa sentenza è stata chiesta da Romano Anna Maria,
3

si costituivano.

_
_
Maniglia Elena, Maniglia Marco, Maniglia Grazia con ricorso affidato a sei
motivi, illustrati con memoria. Maniglia Emanuele ha resistito con
controricorso, illustrato con memoria. Gli eredi di Catalano Concetta
(Tommasi Giovanna, Emanuela, Nunziata Maria, Rosario, Emilia), gli eredi
di Lo Bello Carmelo (Lo Bello Giuseppa, Salvatore, Maria, e Lo Bello

Emanuela deceduta il 29 aprile 2002, nonché gli eredi di Antonum Fortunato
( Gudice Rosa, Antonuzzo Consolata Maria, Pietro Antonio, Rosanna) la
curatela di Sciascia Paolo, Giorrandello Orazio, intimati non hanno svolto
attività giudiziale.
Motivi della decisione
1.= Romano Anna Maria, Maniglia Elena, Marco e Grazia lamentano:
A) Con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cpc.,
.
in relazione al disposto dell’art. 360, primo comma nn. 3 e 4 cpc., per omesso
accertamento della novità e per omessa pronuncia della conseguente
inammissibilità della radicale modificazione, in appello, della domande
originariamente

proposte da Maniglia Emanuele (in relazione all’atto di

citazione originario del 1° aprile 1976 , cui consegui il processo distinto n.
271 del 1976 RG.). Secondo i ricorrenti la Corte di Caltanissetta sarebbe
incorsa nel vizio di cui all’art. 345 cpc., in quanto avrebbe omesso di
sanzionare con l’inammissibilità le domande nuove proposte in appello da
Maniglia Emanuele. In particolare , secondo i ricorrenti, Maniglia Emanuele,
con l’atto di citazione del 1 aprile 1976 aveva chiesto che venisse accertato il
suo diritto al trasferimento in piena proprietà e in ragione della metà degli
k
appezzameliti di terreno acquistati dal fiatello in viitù della dichialazione

scritta cuntenuta nel preliminare del 26 settembre 1975. Successivamente, con
la comparsa eonclusionc

Maniglia Emanuele aveva chiarito d. non avere
4

_
proposto un’azione di rivendica, ma un’azione personale nei confronti del
Fratello Francesco ai sensi della norma di cui all’art. 1706 cc., nella parte in
cui prevede che il mandatario è obbligato a trasferire al mandante i beni
immobili acquistati a suo nome e in caso di inadempimento si sarebbero
dovuto osservare le norme relative all’esecuzione in forma specifica

dell’obbligo di contrarre. Con l’atto di appello notificato il 27 settembre 2004
Maniglia Emanuele ha asserito che Maniglia Francesco avrebbe effettuato
l’acquisto del terreno de quo per conto della società di fatto verbalmente
costituita per quel singolo affare con il fratello Emanuele per cui era obbligato
a trasferire la comproprietà dell’immobile all’altro socio. Ora, secondo i
ricorrenti la nuova progettazione, confliggente con l’accertata nullità della
_

società di fatto da parte del Giudice di primo grado, avrebbe dovuto essere
ritenuta dalla Corte nissena inammissibile perché relativa a domanda
totalmente nuova.
Pertanto, dica la Corte Suprema, concludono i ricorrenti, se costituisce
radicale immutazione della causa petendi e, pertanto, della domanda nuova
inammissibile in appello, giusta il disposto dell’art. 345, primo comma, cpc.,
chiedere per la prima volta in sede di appello che un bene immobile del quale
sia stato invano invocato in primo grado il trasferimento in proprietà in forza
di un mandato verbale, venga invece trasferito in dipendenza del mandato ex
lege spettante al socio amministratore di una società di fatto.
B) Con il secondo mo ivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cpc.,
nonché degli artt. 214, 215, e 292 cpc., in relazione al disposto dell’art. 360,
primo collima un. 3 e 4 epe., per omesso ;lecci taniento della novità e per

.-

omessa

pronuncia

della

conseguente

inammissibilità

della

radicale

modificazione delle domande originariamente proposte dal Manigli a
5

/4

1

_

,

Emanuele e per omesso accertamento della inutilizzabilità ella scrittura del 25

.

ottobre 1975, siccome non ritualmente prodotta né notificata ai contumaci e
disconosciuta dalle eredi costituite e dal Maniglia Francesco (in relazione
all’atto di citazione originario dell’il giugno 1976 , cui consegui il processo
distinto n. 576 RG.). Secondo i ricorrenti la Corte di Caltanissetta sarebbe

incorsa nel vizio di cui all’art. 345 cpc., in quanto avrebbe omesso di
sanzionare con l’inammissibilità le domande nuove proposte in appello da
Maniglia Emanuele. In particolare , secondo i ricorrenti, Maniglia Emanuele,
e Sciascia con l’atto di citazione originario avevano dedotto che l’immobile
acquistato da Maniglia Francesco con atto del 25 ottobre 1975 dovesse essere
loro riferito pro quota in dipendenza delle risultanze della dichiarazione
_

sottoscritta da Maniglia Francesco il 25 ottobre 1975. Successivamente,
Maniglia Emanuele con l’atto di appello ha affermato l’esistenza di una

società di fatto con il fratello e con lo Sciascia e aveva sostenuto che
Francesco avrebbe agito anche in tale frangente quale mandatario ex lege
nella sua veste di socio amministratore. Ora, secondo i ricorrente, la
progettazione indicato nell’atto d’ appello sarebbe del tutto confliggente con
l’accertata nullità da parte del Giudice di primo grado, della società di fatto,
ma avrebbe integrato, altresì, una inammissibile modificazione della causa
petendi e, pertanto, una domanda assolutamente nuova.

Pertanto, anche per questa ipotesi i ncorrenti riformulano il quesito di diritto
già formulato con il primo motivo, aggiungendo l’ulteriore quesito di diritto
contrassegnato con la lettera bb) In ipotesi di produzione di scrittura privata
non liCOnosciula nell a sottoscrizione né iiotifi euta ul

.-

CUll

WTIc/Ce il giud ice

deve-espungere dal processo la suddetta.
1.1.— Entrambi i motivi vanno esaminati congiuntamente dato che, mutatis
6

A

mutandis, propongono la stessa questione di diritto e, cioè, se, nel caso in

_

esame, l’asserita mutata prospettiva della causa petendi abbia comportato un
mutamento della domanda originaria inammissibile, in appello, ai sensi
dell’art. 345 cpc. Entrambi i motivi sono infondati.
E’ appena il caso di evidenziare che Emanuele Maniglia in entrambi i gradi di

giudizio ha chiesto di essere riconosciuto e dichiarato comproprietario dei
terreni acquistati dal fratello Maniglia Francesco in un caso per una quota pari
al 50% e, in altro caso, per una quota pari al 37,50%. Tale domanda veniva
fondata in primo grado sulla base di due scritture rispettivamente del 26
settembre 1975 e del 25 ottobre 1975 a firma di Maniglia Francesco e nel
giudizio di appello richiamando le norme sulla società di fatto ed, in

particolare, quelle sul socio amministratore, mandatario ex lege, alla luce pur
sempre delle due scritture già richiamate. In buona sostanza, Maniglia

Emanuele chiedeva di essere riconosciuto comproprietario dei terreni
acquistati dal fratello Francesco perché quest’ultimo aveva agito (aveva
acquistato i beni) in qualità di mandatario, anche nell’interesse del fratello,
ritenendo che quella qualità (di mandatario) risultasse dalle due scritture già
indicate o, in particolare, specificando con l’atto di appello, dall’essere
Maniglia Francesco, socio amministratore della società di fatto esistente tra
gli stessi fratelli e, dunque, dall’essere mandatario ex lege. Pertanto, è
evidente elle Maniglia Emanuele non ha mutato, in fase di appello, la causa
petendi, ma ha semplicemente identificato una più corretta qualificazione
giuridica della domanda.
E’ sufficiente,
ffi
in questa sede, ribadire che Si lia ‘mutati° libelli” quando si
avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo
l processo un ” ctitum” diverso e più ampio oppure una “causa pctcndi”
7

A

_
fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un
fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga un nuovo tema
d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di
disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del
processo; si ha, invece, semplice “emendatio” quando si incida sulla “causa

petendi”, sicché risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione
giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul “petitum”, nel senso di
ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo
soddisfacimento della pretesa fatta valere (Cass. . n.7524/2005).
D’altra parte, come ha avuto modo di chiarire la Corte di appello nissena: a)
con la comparsa di risposta del 4 maggio 1976 Maniglia Francesco, in ordine
_

all’atto di citazione dell’I aprile 1976, affermava “(…) il convenuto Maniglia
Francesco non ha mai negato il diritto all’attore (Maniglia Emanuele) alla

comproprietà del terreno per cui è causa (

. ). Il terreno unitamente ad

altri acquistati sia da Maniglia Francesco che da Maniglia Emanuele, avrebbe
dovuto costituire il patrimonio comune di una società di fatto creata tra
Maniglia Francesco e Maniglia Emanuele il 3 gennaio 1975. b) A sua volta,
con la comparsa di risposta del 10 settembre 1976, in ordine alla domanda
avanzata con l’atto di citazione dell’ l l giugno 1976, lo stesso Maniglia
Francesco affermava: ” (….) con atto di citazione notificato il 5 aprile 1976
Maniglia Francesco aveva già convenuto in giudizio dmnanzi a questo
Tribunale gli odierni attori chiedendo tra l’altro che il terreno per cui oggi è

causa venisse dichiarato proprietà comune con gli attori nella proporzione del
anue,
le e il 25% a
37,50% a Maniglia Francesco, 37.50% a Maniglia Emanuele,
Sciascia Paolo. Un tale riconoscimento e la conseguente divisione, però,
impone l’esame di tutta la si azione con abile della società”. Francesco
8

k

Maniglia, dunque, non ha mai contestato, anzi, ha espressamente dedotto di

–.

avere agito negli acquisti dei beni immobili in contesa non nel proprio
esclusivo interesse ma per conto della società di fatto esistente con il fratello
Emanuele.
1.1.a) Infondato è il secondo motivo anche nella parte in cui i ricorrenti

lamentano che la Corte di merito non abbia ritenuto la non utilizzabilità della
scrittura del 25 ottobre 1975 in quanto non ritualmente prodotta e non
notificata ai contumaci

e disconosciuta dagli eredi costituiti, perché come

afferma la Corte nissena (pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata) “Quel che
rileva è che le due singole compravendita di cui si discute sono state (per
espresso riconoscimento del socio) portate a termine per conto della società di
_

fatto con il fratello Emanuele”. Appare di tutta evidenza, pertanto, che il
contenuto di quella scrittura era stata riconosciuta da Maniglia Francesco,
richiamandola a fondamento della propria difesa con la comparsa di
costituzione del 10 settembre 1976 affermando ” con atto di citazione
Maniglia Francesco aveva già convenuto in giudizio innanzi questo Tribunale
gli odierni attori chiedendo tra l’altro che il terreno per cui è causa venisse
dichiarato proprietà comune con gli attori, nella proporzione del 37,50% A
Maniglia Francesco , il 37,50% a Maniglia Emanuele e il 25% a Sciascia
Paolo. D’altra parte, è sufficiente evidenziare che con riguardo agli atti

pubblici e alle scritture private depositate presso pubblici ufficiali, sebbene a
norma degli articoli 2714 e 2715 cod. civ. facciano piena prova in giudizio
soltanto le copie spedite nelle forme di legge, tuttavia, il giudice di merito può
attribuite rilevanza probatotia, con Ulla valutazione 111511KlaCabile in sede di
.

legittimità se immune da vizi logici, anche alle copie informi esibite dalle
parti quando riconosca h corrispondono all’originalc.
9

)74

7

_

2.= Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa
applicazione dell’art 2909 cc. e degli artt. 342 e 346 cpc., in relazione al
disposto dell’art. 360, primo comma nn. 3 e 4 cpc., Violazione del giudicato
interno formatosi sull’accertamento della nullità della società di fatto operato
dal giudici di primo grado. Secondo i ricorrenti Maniglia Emanuele ha

affermato che il Giudice di primo grado sarebbe incorso in errore nel rigettare
la di lui domanda di trasferimento coattivo non già o non tanto per aver
pronunciato la nullità dell’accertata società di fatto ma per non avere accertate
l’esistenza di una società di fatto per il singolo affare e la qualità dell’asserito
mandatario ex lege di Maniglia Francesco. Pertanto, sempre secondo i
ricorrenti non avendo mosso alcuna doglianza avverso la evidenziata nullità
_

della società di fatto la relativa statuizione ne ha comportato il passaggio in
giudicato.
Pertanto, concludono i ricorrenti, ai sensi degli artt. 342 e 346 cpc., i capi
della sentenza di primo grado non specificamente appellati costituiscono
giudicato interno, cui il giudice di appello deve uniformarsi, incorrendo, in
difetto, in violazione dell’art. 2902 cc.
2.1.= Il motivo è infondato.
Come ha avuto modo di evidenziare la Corte nissena (pag. 8 della sentenza
impugnata) “quanto alla causa iscritta al n. 271/76 l’appellante denuncia
l’errore del primo giudice per non aver n-tenuto ‘, in forza della dichiarazione
unilaterale a firma di Maniglia Francesco che tra i fratelli Maniglia Francesco
ed Emanuele si fosse verbalmente costituita una società di fatto (…) quanto
alla causa isciilla al n. 502/76 (….) l’appelltuile denuncia che erioneamente il

primo giudice aveva rigettato la richiesta di riconoscimento delle quote di
proprictà dcgli attori sul tcrrcno in contcstazionc, attcso chc anchc p r qucsto
10

k

singolo affare risultava incontestabile l’esistenza di una società di fatto tra
gli attori Maniglia Emanuele e Sciascia

Paolo e Maniglia Francesco”.

Pertanto, appare di tutta evidenza che Maniglia Emanuele in appello ha
censurato il capo della sentenza di primo grado laddove aveva negato validità
ed efficacia alla società di fatto corrente tra i fratelli Maniglia per mancanza

della forma scritta avendo per oggetto la compravendita di beni immobili,
proprio sostenendo che il fratello Francesco era obbligato a trasferirgli la
quota di proprietà dei beni d cui si dice proprio perché aveva agito quale socio
amministratore della società di fatto intercorrente tra gli stessi ed assumendo
rispetto agli altri soci la veste di mandatario ex lege.
Per altro, anche in questa ipotesi, va tenuto presente che il giudicato interno
.

può formarsi solo su di un capo autonomo di sentenza che risolva una

_
questione avente una propria individualità e autonomia, così da integrare una

decisione del tutto indipendente: Epperò, tale autonomia, come nel caso in
esame, non sussiste quando si tratti di una mera argomentazione, ossia della
semplice esposizione di un’astratta tesi giuridica, pur se essa serva a risolvere
questioni strumentali rispetto all’attribuzione del bene controverso, in quanto
le suddette argomentazioni, anche se accettate o non impugnate dal
soccombente, non vincolano il giudice d’appello che, nel riesaminare la
decisione impugnata, deve individuare autonomamente laportata delle norme,

anche convenzionali, applicabili (Cass. . 19679 del 23/12/2003).
3.= Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa
applicazione degli artt.

,

,

,

,

,

e

cc., in

ielazione all’alt. 360, primo
primo collima, fin. 3 e 5, omessa insufficiente e
contraddittoria motivaziolie circa un fatto controverso e decisivo per

il

giudizio in punto all’acccrtamcnto di distinte , valide società di fatto per
11

À1

singoli affari). Secondo i ricorrenti la Corte di Caltanissetta avrebbe omesso

_

di accertare se anche le società di fatto costituite tra i farteli Maniglia in
occasione delle compravendita in contesa non fossero nulle per mancanza di
forma dato che anch’esse avevano ad oggetto beni immobili. Piuttosto
ritengono i ricorrenti, la Corte di merito avrebbe dovuto pronunciare la nullità

ai sensi degli artt. 1350, 1352 e 2251 cc., e non avrebbe potuto diffondersi sui
poteri di amministrazione della società semplice (art. 2257 cc) e nonché sulla
regolamentazione dei loro diritti ed obblighi (art. 2260 cc), e sulla natura di
mandatario ex lege del socio amministratore operante e di mandanti degli altri
soci (art. 1706 cc), perché, comunque, la Corte di merito si sarebbe dovuta
fermare alla nullità.
.

Pertanto, concludono i ricorrenti, deve essere pronunciata la nullità, per
difetto di forma, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1350, 1351 e 2252

_

cc. di società di fatto avente ad oggetto esclusivo la compravendita di
immobili, se non stipulata in forma scritta, con la conseguenza che il socio
amministratore di una siffatta società non può rivestire la qualità di
mandatario ex lege ai sensi dell’art. 2260 cc.
3.1.= Anche questo motivo è infondato.
La Corte nissena ha avuto modo di premettere che ai fini della risoluzione
delle questiom prospettate occorreva stabilire se Maniglia Francesco

nell’acquistare i due immobili in contestazione aveva agito nel proprio
esclusivo interesse personale oppure per conto della società di fatto esistente
con il fratello Emanuele. E, secondo la Corte di merito, in ragione delle
ammissioni di Maniglia Francesco, nonché delle dichiaraLioni contenute nelle
due scritture- rispettivamente del 26 settembre 1975 e del 25 ottobre 1975 a

firma di Maniglia Francesco non vi cra dubbio chc lc due compravcndit
12

A

contese erano state poste in essere per conto della società di fatto esistente tra
i fratelli Maniglia. Appare, pertanto, corretta ed esaustiva l’affermazione della
Corte nissena, secondo cui la ritenuta nullità dell’intero rapporto societario tra
i due fratelli Maniglia per difetto di forma (afferendo tale statuizione ai
complessivi rapporti nascenti dalla ben più articolata serie di compravendite),

non costituiva preclusione dato che era sufficiente aver accertato che le due
singole compravendite in contesa, per stessa ammissione di Maniglia
Francesco, erano state portate a termine, per conto della società di fatto.
Tuttavia, e comunque, a

norma dell’art.2332 cod. civ. – che costituisce

un’applicazione del principio della tutela dell’affidamento dei terzi – la
dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo di una società, e dunque, la nullità
della società, non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della
società stessa. In conseguenza di detta dichiarazione, che ha effetto solo ‘ex

nunc’, operando in modo analogo ad una causa di scioglimento, si ritiene che
il soggetto abbia avuto, per il passato, vita regolare e per effetto della
dichiarata nullità, la società, da organizzazione di esercizio, si trasforma in
organizzazione di liquidazione.
Ed, infine, appare opportuno osservare che il contratto costitutivo di società in
nome collettivo, che non abbia per oggetto il conferimento di beni immobili,
può essere concluso anche oralmente, essendo il documento scritto richiesto
solo in funzione dell’eventuale iscrizione della socíeta nel registro delle

imprese (art. 2296 cod. civ.). Tale documento è, pertanto, superfluo per le
società irregolari, alle quali si applica, in forza del rinvio di cui all’art. 2293
cod. civ.,

la

disposizione del pteeedente zat. 2251, secondo il quale il contralto

di società (personali) non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste
dalla natura dci bcni conferiti Cass. n. 4569 dcl 1992).
13

A/

4.= Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa
applicazione degli artt. 112 e 342 cpc., e dell’art. 1932 cc., in relazione all’art.
360, primo comma, mi. 3 e 4 cpc. (In punto all’accertamento erratamente
operato dalla Corte territoriale, del diritto del Maniglia Emanuele a conseguire
il 37,50% del ricavato della vendita di Caposoprano). Secondo i ricorrenti

posto: che Maniglia Emanuele in seno all’atto di appello e con le conclusioni
definitive aveva chiesto: a) di ritenere e dichiarare che la firma apposta in
calce alla scrittura privata del 25 ottobre 19975 era autentica; b) ritenere e
dichiarare che il terreno di cui si dice sito in contrada Caposoprano
apparteneva indiviso ai fratelli Maniglia e a Sciascia Palo. Pertanto, posto che
il bene nelle more del giudizio era stato venduto a terzi, la Corte di merito non
avrebbe potuto, come ha fatto, dichiarare il diritto di Maniglia Emanuele sul
ricavato della vendita dell’immobile pari alla quota del 37,50% corrispondete
alla quota di proprietà indivisa sull’immobile compravenduto, perché tale

decisione non era fondata su alcuna domanda di Emanuele Maniglia. E’
evidente, sempre, secondo i ricorrenti che la Corte di Caltanissetta, avendo
attribuito un bene diverso da quello richiesto, sia incorsa in palese vizio di
extrapetizione comportante la nullità della pronuncia.
Ciò posto, i ricorrenti concludono, formulando il seguente quesito di diritto:
incorre in vizio di extrapetizione il giudice che, investito di una domanda di
esecuzione specifica dell’obbligo di concludere

un contratto e, verificata

l’impossibilità di accoglimento per la sopravvenuta alienazione del bene a
trasferirsi, accerti ex officio il diritto dell’attore a conseguire il ricavato della
vendita.

1

4. . Il motivo ‘ infondato.

Y

L

La scntcnza impugnata non prcscnta un vizio di cxtrapctizionc perch ‘
14

Emanuele Maniglia, oltre alla domanda diretta al riconoscimento della
comproprietà dell’immobile in contestazione, aveva chiesto anche la divisione
giudiziale dell’immobile tra i comproprietari, così come si legge a pag. 4 della
sentenza impugnata: “ordinare la divisione giudiziale dell’immobile suddetto
tra i comproprietari nelle indicate porzioni”. Pertanto, riconosciuto, a

Emanuele Maniglia, il diritto di comproprietà sull’immobile di cui si dice,
considerato che il bene, per le vicende descritte dalla stessa sentenza
impugnata era stato validamente venduto a terzi (ed in forza dell’attenuto
ordine di cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale relativa al
riconoscimento del diritto di proprietà), libero da iscrizioni e trascrizioni e
che, in conseguenza a ciò, Maniglia Emanuele, aveva avviato procedimento
per sequestro conservativo delle somme costituenti il ricavato di tale vendita,
_

la domanda di divisione di cui si è appena detto, non poteva che convertirsi de
plano nella domanda di divisione del ricavato della vendita. Sicché appare
corretta e corrispondente a quanto chiesto, la decisione della Corte nissena di
dichiarare il diritto dell’odierno appellante (cioè di Emanuele Maniglia) sul
ricavato della vendita dell’immobile in ragione del 37,5% corrispondente alla
quota di proprietà indivisa sull’immobile compravenduto. Con la opportuna
specificazione che Maniglia Emanuele “è tenuto a rimborsare in ragione della
sua quota, tutte le spese conseguenziali all’atto pubblico sostenute dal
compratore Maniglia Francesco in occasione del rogito Benintende di Gela
del 25 ottobre 1975(..)”.
5.= Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa
applicazione dell’alt. 91 cpc., in relazione all’alt. 360, pia° coinnia, n. 4 cpc.
(in punto
un di regolamento delle spese di lite). Secondo i ricorrenti. Secondo i
ricorrenti la Corte di merito avrebbe condannato le appellate alle sp ese di lite,

.
15

k

.
,
n ragione del principio di soccombenza, non avvedendosi che unico

.
..

soccOmente era il sig-. Maniglia Emanuele.
Pertanto, concludono i ricorrenti, il Giudice deve condannare la parte
soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra, tranne che sussistono

5.1.= Anche questo motivo è infondato atteso che la Corte di Caltanissetta nel
liquidare le spese giudiziali del grado ha correttamente applicato il principio
della soccombenza d cui all’art. 91 cpc. Emerge dagli atti che Maniglia
Emanuele, come più volte si è detto, ha chiesto la riforma della sentenza di
primo grado e la Corte di merito ha parzialmente riformato la sentenza di che
trattasi.
,
.

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio della
soccombenza ex art. 91 cpc., condannati in solido al pagamento delle spese
del presente giudizio di cassazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a vantaggio dei
controricorrenti alle spese del presente giudizio che liquida in

e. 5.700,00 di

cui €. 200,00 per esborsi.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte Suprema di Cassazione il 12 marzo 2014
\

giusti motivi che vanno esplicitamente indicati in motivazione.

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