Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9527 del 12/04/2017

Cassazione civile, sez. VI, 12/04/2017, (ud. 13/03/2017, dep.12/04/2017),  n. 9527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mario – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Z.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Monte Santo 2,

presso l’avv. Simona Carloni, rappresentato e difeso dall’avv.

Roberta Bandelli, giusta procura speciale in calce al ricorso che

dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo ai

fax nn. (OMISSIS) e (OMISSIS) e agli indirizzi p.e.c.

roberta.bandelli.pecavvocatigorizia.eu e

simonacarloni.ordineavvocatiroma.org;

– ricorrente –

nei confronti di:

V.A., elettivamente domiciliata in Roma via G.

Pisanelli 4, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Gigli (fax n.

(OMISSIS), p.e.c. giuseppegigli.ordineavvocatiroma.org), giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 565/15 della Corte di appello di Trieste,

emessa il 22 aprile 2015 e depositata il 15 settembre 2015, n. R.G.

728/2014.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. V.A. ha adito il Tribunale di Trieste per sentir dichiarare la separazione personale, con addebito, dal coniuge Z.M. e l’imposizione a quest’ultimo dell’obbligo di contribuire al mantenimento delle figlie N. e S., nate rispettivamente nel 1991 e nel 1993 e non ancora autosufficienti economicamente. Ha chiesto altresì il riconoscimento in suo favore di un assegno di mantenimento e la condanna dello Z. al risarcimento del danno causato dal suo comportamento contrario al dovere di fedeltà coniugale.

2. Il Tribunale di Trieste, dopo aver pronunciato la separazione personale dei coniugi, con sentenza n. 723/2014, ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento danni, ha respinto la domanda di assegno della V., ha addebitato la separazione allo Z. cui ha imposto l’obbligo di contribuire al mantenimento di ciascuna figlia con un assegno mensile di 500 Euro e con l’accollo del 75% delle spese straordinarie.

3. La Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 565/2015, ha parzialmente accolto l’appello della V. e ha rideterminato in 550 euro per ciascuna il contributo al mantenimento delle figlie, ha imposto allo Z. un assegno di mantenimento in favore della V. di 250 Euro mensili, ha disposto che le spese straordinarie venissero regolamentate in base al protocollo approvato dal Tribunale di Trieste in data 27 novembre 2014 che ha richiamato in motivazione.

4. Ricorre per cassazione Z.M. che si affida a due motivi di impugnazione: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c., commi 1 e 2; b) omesso esame di fatti decisivi (capacità di lavoro e condizioni patrimoniali delle parti).

5. Si difende con controricorso V.A..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che:

6. Il ricorso è inammissibile perchè consiste nella perorazione di una rivalutazione del merito della controversia che investe fatti e circostanze già esplicitamente considerate e valutate dai giudici dell’appello. Inoltre esso si fonda in parte su censure che non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata.

7. In effetti la Corte di appello non ha affatto basato il riconoscimento e la determinazione dell’assegno di mantenimento su una automatica conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ma piuttosto sul criterio sancito con numerosissime pronunce da questa Corte della sua conservazione tendenziale. Pur ritenendo elevato il livello di vita dei coniugi Z. e V. la Corte distrettuale è pervenuta a una modesta quantificazione dell’assegno in considerazione della produzione di reddito da parte della V., sia pure in misura largamente inferiore allo Z., e delle sue consistenze patrimoniali. Quanto alle ulteriori capacità lavorative della V., liberate dal non doversi più dedicare all’accudimento delle figlie ormai da tempo maggiorenni, la Corte distrettuale ha rimarcato che l’impiego part – time della V. deriva da un accordo dei coniugi sin dal momento della nascita della seconda figlia e ha consentito allo Z. di potersi dedicare ampiamente alla sua remunerativa attività professionale. Inoltre ha rilevato che nell’ultimo periodo la V. ha incrementato il proprio orario di lavoro e si è dovuta comunque dedicare all’assistenza della madre.

8. Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 2.600, di cui 100 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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