Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9527 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. I, 04/04/2019, (ud. 18/12/2018, dep. 04/04/2019), n.9527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Su ricorso n.27859/2017 proposto da:

SO.CO.GE- Società Costruzioni Generali S.r.l., (P.IVA (OMISSIS)), in

persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Friggeri Attilio n. 55, presso l’avvocato

Russo Giuseppe Orazio, che la rappresenta e difende, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT SPA, Banking S.p.a. e UniCredit Banca S.p.a. (già Credito

Italiano S.p.a.), in persona del suo legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di San Valentino n.

21, presso l’avvocato Carbonetti Francesco, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Carbonetti Fabrizio, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Cassazione 18636/2017 in data

16/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2018 dal consigliere Dott. MARINA MELONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. De

Renzis Luisa, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

per il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Giuseppe Orazio Russo che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Fabrizio Carbonetti che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 3.10.2013 la Corte d’Appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’appello proposto da Unicredit Corporate Banking s.p.a. avverso la decisione di primo grado, ha provveduto a rideterminare il credito complessivamente spettante alla SO.CO.GE. s.r.l. in ragione del rapporto di conto corrente bancario intrattenuto con l’appellante nella complessiva somma di Euro 320.944,89, ritenendo, rispetto alla maggior somma di Euro 779.970,20 riconosciuta dal primo giudice in adesione alle risultanze della disposta consulenza tecnica d’ufficio, che ogni altra pretesa dovesse considerarsi prescritta.

La sentenza del giudice territoriale veniva impugnata davanti a questa Suprema Corte che respingeva il ricorso con condanna alle spese del ricorrente So.co.ge srl.

Avverso la sentenza della Suprema Corte ha proposto ricorso per revocazione la ricorrente So.co.ge srl affidato a cinque motivi e memoria. La Unicredit spa si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 richiamato dall’art. 391 bis c.p.c., per erronea supposizione da parte della sentenza impugnata dell’esistenza di un fatto ritenuto decisivo la cui verità è invece incontrastabilmente esclusa, fatto che non ha costituito punto controverso sul quale ebbe a pronunciare la sentenza; erronea supposizione da parte della sentenza impugnata dell’insussistenza di fatti decisivi la cui verità è invece positivamente stabilita in base agli atti e documenti di causa, fatti che non hanno costituito punti controversi sui quali ebbe a pronunciare la sentenza.

La ricorrente si duole in sostanza che la Suprema Corte, con la sentenza qui impugnata, nel rigettare il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce, ha dato per presupposto e ritenuto erroneamente che fin dal primo grado di giudizio la Banca convenuta avesse ritualmente e validamente formulato una eccezione di prescrizione rispetto alle pretese fatte valere dalla società So.Co.Ge srl, sulla base della quale è stato poi ridotto il credito vantato dalla società, mentre al contrario tale eccezione non poteva considerarsi esistente.

Infatti come espone la ricorrente nel corso del giudizio di merito erano state formulate dall’Istituto di Credito debitore tre diverse eccezioni di prescrizione, con differenti presupposti: la prima nella comparsa di risposta del Credito Italiano, assolutamente inammissibile perchè generica ed assolutamente indeterminata in quanto la Banca si era limitata, a livello di pura e semplice allegazione, a chiedere la prescrizione senza indicare nessun riferimento; la seconda formulata dall’Unicredit Corporate Banking spa (successore a titolo particolare del Credito Italiano) in appello, non già richiamando quella di primo grado, ma in modi e termini del tutto diversi con indicazione del dies a quo, da individuarsi nel (OMISSIS) data della operazione contestata, e per termine decennale previsto dalla legge ex artt. 2033,2935 e 2946 c.c.; infine la terza eccezione di prescrizione, assolutamente estranea alla parte appellante essendo invece propria della medesima Corte di Appello di Lecce che, nel decidere la controversa, aveva disposto una CTU ed applicato i principi della sentenza 2441/2010 delle Sezioni Unite di questa Corte secondo le quali occorreva distinguere ai fini del dies a quo del termine decennale di prescrizione i pagamenti o versamenti solutori dai versamenti ripristinatori.

Pertanto secondo la ricorrente, la sentenza revocanda si era fondata su un elemento di fatto, costituito dall’eccezione di prescrizione, assolutamente estraneo al giudizio. Secondo la ricorrente la prima eccezione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per genericità ed indeterminatezza, sebbene formalmente presente in atti; la seconda eccezione inammissibile per diversità e novità dalla prima e stante la diversità formale e sostanziale dall’eccezione formulata in primo grado, essendo del tutto nuova, non era consentita in grado di appello ex art. 345 c.c., comma 2; la terza poi, quella accolta dalla Corte di Appello, era allo stesso modo inammissibile in quanto nuova rispetto a quella formulata nell’atto di appello dalla Banca essendo diversi i presupposti su cui le stesse si fondano a proposito del dies aquo.

L’eccezione di prescrizione proposta in primo grado, reiterata in appello e poi applicata dalla Corte di Appello è unica e unitaria e secondo la sentenza impugnata ben può essere posta a fondamento della decisione in quanto ritualmente sollevata dalla parte e poi qualificata dal giudice che l’ha applicata secondo i principi della Corte.

Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 395, comma 1, n. 4 richiamato dall’art. 391 bis c.p.c., per erronea supposizione da parte della sentenza impugnata dell’esistenza di un fatto ritenuto decisivo la cui verità è invece incontrastabilmente esclusa, fatto che non ha costituito punto controverso sul quale ebbe a pronunciare la sentenza; erronea supposizione da parte della sentenza impugnata dell’insussistenza di fatti decisivi la cui verità è invece positivamente stabilita in base agli atti e documenti di causa, fatti che non hanno costituito punti controversi sui quali ebbe a pronunciare la sentenza.

La ricorrente si duole in sostanza che la Suprema Corte, con la sentenza qui impugnata, nel rigettare il ricorso avverso la sentenza del giudice territoriale Corte di Appello di Lecce, ha ritenuto perfettamente ammissibile la CTU disposta dal giudice di merito d’ufficio in quanto non costituente un mezzo di prova mentre, al contrario, la Corte di Appello non poteva d’ufficio ammettere la CTU ex art. 345 c.p.c., n. 3 proprio perchè la stessa era invece un mezzo di prova in quanto finalizzata a dimostrare un fatto che avrebbe dovuto essere provato dalla parte esonerandola così dall’onere probatorio a suo carico.

Con il quarto e quinto motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 richiamato dall’art. 391 bis c.p.c., per avere la Suprema Corte ritenuto insussistenti i fatti posti a base del quarto e quinto motivo di ricorso originario e cioè la violazione da parte del giudice di merito dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (quarto motivo originario), e la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per difetto assoluto di motivazione (quinto motivo originario).

Il ricorso proposto è inammissibile in relazione a tutti i motivi proposti.

Occorre premettere infatti che ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza/ non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice. Nè la disposizione citata, così letteralmente interpretata, viola gli art. 3 e 24 Cost., proprio perchè è regola generale dell’ordinamento, basata sul principio di certezza giuridica, che una volta che siano stati percorsi tutti i gradi e le fasi del processo, nei quali sono stati esaminati i fatti dedotti dalle parti e le ragioni poste a fondamento, e una volta, quindi, che siano stati esperiti tutti i possibili rimedi apprestati dalla legge, la decisione finale emessa in sede di legittimità è destinata a passare in giudicato, in senso sia formale che sostanziale, senza possibilità – a parte i casi eccezionali previsti dagli art. 395 e 404 c.p.c. – che la stessa sia rimessa in discussione. (sez. L, Sentenza n. 14840 del 16/11/2000; sez. 1, Sentenza n. 27094 del 15/12/2011).

Nel caso in esame tutti i motivi che hanno formato oggetto di domanda di revocazione, nessuno escluso, attengono a fatti controversi oggetto di discussione tra le parti in relazione ai quali la Corte di Cassazione nella sentenza impugnata ha già esaminato le questioni e le diverse prospettazioni delle parti individuando le norme di diritto applicabili e pronunciandosi con le sue valutazioni sulle tesi ritenute corrette.

In particolare sui primi due motivi la ricorrente nella sua prospettazione mira a frazionare l’eccezione di prescrizione avanzata già dal primo grado in differenti segmenti che invece la Suprema Corte nella sentenza impugnata ritiene che debbano tutti essere ricondotti unitariamente ad un’unica eccezione perfettamente esistente e valida.

Il terzo motivo attiene a questione già esaminata perchè esattamente la sentenza impugnata per revocazione ha ritenuto che la CTU non era “prova nuova” come tale vietata in appello dal disposto dell’art. 345 c.p.c., comma 3.

Anche gli ultimi due motivi sono stati già valutati e considerati nella sentenza censurata laddove la Corte ha ritenuto infondate le censure già puntualmente esaminate e respinte.

Pertanto il ricorso proposto altro non è che un tentativo di riproporre sotto forma di revocazione i motivi di ricorso già esaminati nella sentenza di merito e respinti dalla Corte.

Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile e condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Deve essere accolta la richiesta di ordinare la cancellazione delle espressioni sconvenienti ed offensive contenute nella memoria di parte ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Letto l’art. 89 c.p.c. ordina la cancellazione delle seguenti espressioni: “attese le bugie” in merito al ricorso della controparte a pagina 7 della memoria; “controparte ha detto bugie gravi: Pagina 11 della memoria; ” vi è in questa decisione la prova provata che le bugie ed i travisamenti di controparte hanno ingannato il giudice” a pagina 16 della memoria.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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