Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9525 del 29/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/04/2011, (ud. 08/02/2011, dep. 29/04/2011), n.9525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

nei cui uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 è domiciliata;

– ricorrente –

contro

D.V.L., residente a (OMISSIS);

– intimato –

Avverso la sentenza n. 08/27/2005 della Commissione Tributaria

Regionale di Roma – Sezione n. 27, in data 27/01/2005, depositata il

10 febbraio 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio

dell’08 febbraio 2011 dal Relatore Dott. Consiglio dell’08 febbraio

2011 dal Relatore Dott. Antonino Di Blasi;

Sentito il Procuratore Generale, dott. Vincenzo Gambardella, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.V.L. impugnava in sede giurisdizionale la cartella di pagamento, relativa ad IRPEF dell’anno 1988, con la quale veniva richiesto il pagamento della somma di L. 5.515.000 a titolo di sanzione. L’adita CTP di Rieti accoglieva il ricorso, giusta decisione che, sull’appello dell’Agenzia Entrate, veniva confermata dai Giudici di Secondo Grado, con il provvedimento in questa sede impugnato.

Con ricorso, consegnato all’Ufficiale Giudiziario il 25.03.2006 Cron. N. 11808, notificato tramite posta il 27/30 marzo 2006, l’Agenzia Entrate ha chiesto la cassazione dell’impugnata decisione.

L’intimato non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’impugnata decisione ha rigettato l’appello dell’Agenzia Entrate e confermato l’operato dei Giudici di primo grado, ritenendo che, con la decisione 09.02.1999, resa in precedente diverso giudizio, non impugnata e passata in giudicato, la CTP di Rieti, nel riconoscere legittima la ripresa dei costi, in quanto non imputati all’anno di competenza, e nel dichiarare illegittimo l’accertamento sintetico ai fini Irpef ed Ilor, in quella sede impugnato, utilizzando, poi, l’espressione “annullando per il resto l’avviso di accertamento” abbia inteso includervi anche la sanzione irrogata.

L’Agenzia Entrate censura l’impugnata decisione per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 46, comma 4 e art. 51, nonchè art. 112 c.p.c., deducendo che la stessa sarebbe affetta dal vizio di ultrapetizione, tenuto conto che l’eccezione relativa alle sanzioni attinenti alla irregolare tenuta della contabilità non era oggetto del contendere, non risultando essere stata prospettata in sede di ricorso contro l’accertamento. Ritiene il Collegio che il ricorso dell’Agenzia vada rigettato per inammissibilità dei motivi. Un primo profilo di inammissibilità, della denunciata censura di ultrapetizione, è ricollegabile al fatto che la questione relativa all’interpretazione della portata del giudicato, e segnatamente se lo stesso riguardasse anche le sanzioni, era stata affrontata e decisa, come è pacifico e desumibile dallo stesso ricorso (Pag. 5, rigo 11 e seguenti) dalla sentenza dì primo grado.

Il vizio di ultrapetizione andava, dunque, denunciato con l’appello, non potendosi rimettere in discussione, in sede di legittimità, questioni trattate e decise in primo grado, se sulle stesse non sia stato proposto appello, (Cass. n. 2905/1996, n. 1102/1999, n. 13819/1999) mentre in questa sede la censura, – che non può che riguardare la sentenza di secondo grado,- avrebbe dovuta essere prospettata, ricorrendone i presupposti, sotto altri profili.

Infatti, dal principio per cui col ricorso in Cassazione si impugna la sentenza di appello, si evince la necessità di contestare un errore commesso nella sentenza di appello che ha sostituito integralmente quella di primo grado e che “costituisce l’unico oggetto del giudizio di legittimità” (Cass. n. 5714/1996, n. 5083/1998, n. 6163/1999, n. 5671/2000). La censura, inoltre, non sembra, sufficientemente specifica in relazione alla ratio decidendi.

Tenuto conto, infatti, che la decisione impugnata ha confermato quella di primo grado, nella considerazione che il giudicato dovesse interpretarsi nel senso di comprendere anche le sanzioni, non sussiste la denunciata violazione di norme sostanziali e, d’altronde, le doglianze non risultano idonee ad incrinare, sotto il profilo logico-formale, il tessuto argomentativo della decisione, sembrando, solo, sottese a sostenere una diversa interpretazione del giudicato, portato dalla precedente sentenza.

In buona sostanza, le doglianze formulate con il ricorso, risolvendosi nella richiesta di una diversa valutazione della portata della precedente decisione, passata in giudicato, rispetto a quella effettuata dal giudice di merito, non possono trovare ingresso in questa sede, ostandovi il condiviso e consolidato principio secondo cui in tema di accertamento dei fatti storici allegati dalle parti a sostegno delle rispettive pretese, i vizi deducibili con il ricorso per cassazione non possono consistere nella circostanza che la determinazione o la valutazione delle prove siano state eseguite dal giudice in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè a norma dell’art. 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale – e come tale insindacabile – del giudice di merito apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti con l’unico limite di supportare con adeguata e congrua motivazione l’esito del procedimento accertativo e valutativo seguito (Cass. n. 11462/04, n. 2090/04, n. 12446/2006).

Va, altresì, rilevato che i motivi dell’impugnazione dell’Agenzia, avuto riguardo alla ratio dell’impugnata sentenza, – secondo la quale, non sussistevano dubbi sul fatto che “la prima Commissione con la locuzione “annullando per il resto l’avviso di accertamento” -, risultano privi della necessaria specificità e conferenza (Cass. n. 20454/2005, n. 6225/2005, n. 5148/2003, n. 14075/2002).

Infatti, il ricorrente per cassazione “deve rappresentare i fatti, sostanziali e processuali, in modo da far intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla sentenza senza dover ricorrere al contenuto di altri atti del processo”(Cass. n. 15672/05; 19756/05, n. 20454/2005, SS.UU. 1513/1998) e, quindi, deve indicare specificamente le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, nonchè i vizi logici e giuridici della motivazione (Cass. n. 11462/2004, n. 2090/2004, n. 1170/2004, n. 842/2002).

Considerato che i motivi del ricorso non risultano formulati in coerenza ai richiamati principi, l’impugnazione va rigettata, per inammissibilità dei motivi.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2011

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