Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9525 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. I, 04/04/2019, (ud. 27/11/2018, dep. 04/04/2019), n.9525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16752/2014 proposto da:

Unipolsai Assicurazioni S.p.a., già denominata Fondiaria Sai S.p.a.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Piazza Don Minzoni n. 9, presso lo studio

dell’avvocato Luponio Ennio, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Silimbani Maurizio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Poste Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Europa n. 175,

presso la Direzione Affari Legali di Poste Italiane, rappresentata e

difesa dagli avvocati Pollio Gaetano, Fabbri Paola, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15981/2013 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 17/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2018 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

che:

Milano Assicurazioni SPA (oggi Unipolsai Assicurazioni SPA, di seguito indicata come la società) conveniva Poste Italiane Spa (di seguito, Poste) dinanzi al Giudice di Pace di Milano, chiedendo il risarcimento del danno, pari ad Euro 1.200,00, oltre interessi e rivalutazione, per avere negoziato un assegno di traenza non trasferibile emesso da Banca Sai in favore di T.F. e posto all’incasso da V.M., con alterazione del nominativo del beneficiario. Il giudice adito aveva rigettato la domanda attorea, ritenendo insussistente la responsabilità di Poste.

La soccombente proponeva appello avverso detta sentenza, lamentando l’erronea valutazione della responsabilità dell’appellata e delle risultanze istruttorie.

Il Tribunale di Milano rigettava il gravame con la sentenza impugnata, confermando quanto già statuito in primo grado circa l’inconfigurabilità della responsabilità di Poste per avere consentito l’incasso dell’assegno a persona diversa dal beneficiario indicato nel titolo: in particolare, avendo rimarcato che nel caso di specie l’assegno era stato contraffatto prima di essere messo all’incasso mediante la sostituzione del nominativo del beneficiario, osservava che era stato provato che la contraffazione non era evidente, che non erano emerse difformità circa i caratteri usati per la individuazione del prenditore e che la filigrana del titolo non risultava alterata, nemmeno in corrispondenza del nome del prenditore.

Aggiungeva che anche le modalità dell’incasso non erano tali da far insorgere nella banca negoziatrice motivi di dubbio, essendo avvenuto mediante versamento su un libretto aperto circa due mesi prima: in proposito rimarcava che non era stato nè allegato, nè provato che il soggetto si fosse presentato con documenti contraffatti ovvero riportanti dati inesistenti. Conclusivamente escludeva la ricorrenza di responsabilità extracontrattuale e/o contrattuale di Poste e riteneva che la decisione adottata non si ponesse in contrasto con la sentenza Sez. U. n. 14712/2007 – che aveva richiamato la competenza del banchiere e l’obbligo di dare attuazione alle regole di circolazione dei titoli cartolari – perchè tale decisione era riferibile “all’ipotesi di pagamento a persona differente da quella indicata nel titolo posto all’incasso per erronea identificazione del presentatore e non già all’ipotesi, quale la presente, di pagamento a persona corrispondente al beneficiario apparente”.

La società propone ricorso per cassazione con due motivi, illustrati da memoria. Poste Italiane Spa resiste con controricorso corredato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Le questioni affrontate nel presente giudizio riguardano un assegno di traenza per indennizzo assicurativo emesso su disposizione della società assicurativa (Milano Assicurazioni, oggi Unipolsai) dalla banca trattaria (Banca SAI SPA) ed inviato da questa al beneficiario a mezzo posta ordinaria. L’assegno veniva pagato dalla negoziatrice Poste Italiane, previa identificazione, ad un soggetto che successivamente risultava non essere l’effettivo beneficiario del titolo, di guisa che la società assicuratrice, attrice nel giudizio risarcitorio, aveva dovuto emettere altro assegno a favore dell’assicurato.

1.2. Tale vicenda si inscrive nel tema concernente la natura della responsabilità della banca negoziatrice di assegno non trasferibile, affrontato nelle sentenze n. 12477 e 12478/2018 delle Sezioni Unite.

Queste, risolvendo il contrasto giurisprudenziale formatosi tra l’indirizzo che riconosceva alla disposizione della L. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2 – applicabile anche all’assegno circolare in virtù del richiamo contenuto nel successivo art. 86 della stessa legge e per cui colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso risponde del pagamento – carattere derogatorio sia della disciplina di circolazione del titolo di credito a legittimazione variabile, sia della disciplina ordinaria della responsabilità per inadempimento ex art. 1189 c.c., nel caso di pagamento al creditore apparente (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3133 del 07/10/1958; id. Sez. 1, Sentenza n. 1098 del 09/02/1999; id. Sez. 1, Sentenza n. 3654 del 12/03/2003; id. Sez. 1, Sentenza n. 18543 del 25/08/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 7949 del 31/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 22816 del 10/11/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 18183 del 25/08/2014 ed id. Sez. 1, Sentenza n. 3405 del 22/02/2016; id. Sez. 1, Sentenza n. 14777 del 19/07/2016; id. Corte Sez. 6-3, Ordinanza n. 4381 del 21/02/2017) ed il diverso filone giurisprudenziale, secondo cui la disciplina della responsabilità per l’inadempimento della banca negoziatrice o girataria per l’incasso non diverge da quella comune ex artt. 1176,1189 e 1218 c.c. (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 2360 del 09/07/1968; id. Sez. 1, Sentenza n. 3317 del 05/07/1978; id. Sez. 1, Sentenza n. 686 del 25/01/1983; id. Sez. 1, Sentenza n. 9888 del 11/10/1997; id. Sez. 1, Sentenza n. 1377 del 26/01/2016), hanno ritenuto di condividere le soluzioni espresse da quest’ultimo orientamento in quanto ritenuto maggiormente conforme alla natura di tipo contrattuale della responsabilità della banca, affermando il seguente principio: ” Ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2″.

1.3. In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che la responsabilità della banca negoziatrice ex art. 43 legge assegni è di natura contrattuale “da contatto”, in ragione dell’obbligo professionale di protezione operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione; ne hanno tratto la conseguenza che la responsabilità della banca negoziatrice da contatto qualificato – inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. – non è oggettiva e cioè non ricorre “a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore”.

Su tale premessa hanno ricordato infatti che – come da principio consolidato di legittimità – in detta ipotesi si applica il regime probatorio di cui all’art. 1218 c.c.: è perciò consentito all’obbligato di fornire la prova liberatoria che il dedotto inadempimento non gli è imputabile, ovvero non è dovuto a suo fatto e colpa, con la precisazione che la banca negoziatrice – essendo tenuta ad osservare nell’adempimento la diligenza di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, in ragione della sua qualità di operatore professionale risponde del danno anche in ipotesi di “colpa lieve”, ove non abbia fornito la prova liberatoria di avere assolto la propria obbligazione con la diligenza dovuta.

Hanno infine evidenziato la specificità della previsione di cui all’art. 43, comma 2, della legge assegni, giacchè la clausola di intrasferibilità ha la funzione, oltre che di assicurare il pagamento del beneficiario, di impedire la circolazione del titolo, di guisa che la sanzione di responsabilità cartolare (conseguente al pagamento a soggetto non legittimato) non va confusa con la responsabilità civile derivante dall’errata identificazione dell’effettivo prenditore, osservando che in questi sensi l’art. 43, si pone in rapporto di specialità rispetto alle norme di diritto comune sia in tema di obbligazioni – art. 1189 c.c., comma 1 (pagamento al creditore apparente) -, sia rispetto a quella riferita ai titoli a legittimazione variabile – art. 1992 c.c., comma 2 (adempimento della prestazione) – che circoscrivono entrambe detta responsabilità alle ipotesi di dolo o colpa grave.

1.4. Tanto rammentato, vanno ora esaminati i motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 43, comma 2, ove è stabilito l’obbligo, di colui che paga a soggetto diverso dal prenditore, di ripetere il pagamento a favore del legittimato) e, dell’art. 1218 c.c., in relazione alla responsabilità contrattuale della banca per il pagamento dell’assegno non trasferibile a soggetto non legittimato(e si invoca l’applicazione dei principi espressi da Cass. Sez. U. n. 14712/2007. La censura è riferita all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Secondo la ricorrente la circostanza della contraffazione del titolo e della sua rilevabilità o meno ictu oculi non era decisiva per la valutazione della responsabilità di Poste quale banca negoziatrice, rimanendo questa comunque ancorata al principio sancito dall’art. 43 della legge assegni, posto che sia nel caso di contraffazione del titolo con apposizione di un nominativo diverso da quello del prenditore effettivo a favore del quale il titolo era stato emesso, sia nel caso di incasso da parte di un soggetto – diverso dal prenditore – ma suo omonimo e dotato di documenti non autentici, l’accadimento in contestazione andava sempre individuato nel pagamento a soggetto non legittimato e diverso dall’effettivo beneficiario.

In proposito invoca una responsabilità contrattuale oggettiva ex lege fondata sulla violazione dell’art. 43 cit..

2.2. Il primo motivo è infondato alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite, prima ricordati ai par. 1.2. e ss.

3.1. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, circa la diligenza dovuta dal banchiere nel caso di specie a fine dell’effetto liberatorio del debitore inadempiente; la contraddittorietà ed inesistenza della motivazione dovuta alla carente e mancata specificazione del concetto di diligenza professionale, limitata dal tribunale alla solo percepibilità della contraffazione ictu oculi o al tatto, senza ricorrere ad una CTU e senza usare un “prudente apprezzamento” nella valutazione delle prove ex art. 116 c.p.c.. La censura è riferita all’artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

La ricorrente, dopo avere ricondotto il thema decidendum nell’ambito della responsabilità contrattuale della banca negoziatrice, lamenta, da parte del Tribunale, l’erronea applicazione dei principi in tema di onere della prova, gravante sul creditore per quanto attiene alla prova dell’inadempimento, del danno e del nesso causale, e su Poste, per quanto attiene alla prova liberatoria, con la precisazione che, trattandosi nella prospettazione proposta, di responsabilità oggettiva, nemmeno la diligenza specifica di cui all’art. 1176, comma 2, poteva esonerare Poste; con un ulteriore snodo argomentativo osserva che, anche a voler applicare l’art. 1176 c.c., comma 2, la diligenza specifica richiesta al banchiere non avrebbe mai potuto essere integrata da una “non negligenza”, come quella riconosciuta dal Tribunale sulla scorta della ritenuta non rilevabilità della contraffazione.

Quindi, sul piano motivazionale, la ricorrente contesta la valutazione compiuta dal Tribunale circa la qualità della contraffazione, oltre che la mancata considerazione delle modalità con cui la V., apparente beneficiaria, aveva incassato non solo l’assegno in questione, ma anche molti altri – sempre di piccolo importo per risarcimento danni in un ristretto arco temporale – che avrebbero dovuto mettere sull’avviso della possibile illegittimità del suo operato.

3.2. Anche questo motivo è infondato in ragione dei principi espressi dalle Sezioni Unite.

Le decisioni prima ricordate hanno valorizzato appunto il criterio della diligenza del bonus argentarius, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, nella valutazione della responsabilità della banca negoziatrice ai sensi dell’art. 43 legge ass..

Orbene, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’applicazione di detto criterio porta a concludere che “Nel caso di pagamento da parte di una banca di un assegno con sottoscrizione apocrifa, l’ente creditizio può essere ritenuto responsabile non a fronte della mera alterazione del titolo, ma solo nei casi in cui tale alterazione sia rilevabile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, nè è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo” (Cass. n. 16178/2018, cfr. anche n. 1377/2016 e, più risalente, Cass. n. 4642/1989).

Le ulteriori considerazioni della ricorrente, che valorizza altri indizi della truffa (desunti, per es., dal comportamento della accipiens), involgono considerazioni di merito estranee al giudizio di legittimità.

4.1. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte di Cassazione:

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500,00, oltre ad Euro 200,00, per esborsi, alle spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed agli accessori;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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