Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9524 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 12/04/2017, (ud. 22/02/2017, dep.12/04/2017),  n. 9524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7561-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.O.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 601/18/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata

il 18/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/02/2017 dal Consigliere Dott. MOCCI MAURO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., delibera di procedere con motivazione sintetica;

che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Catania. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione A.O. contro un avviso di accertamento IRPEF, per l’anno 1999;

che, nella decisione impugnata, la CTR ha affermato che la sentenza di primo grado sarebbe stata corretta, in quanto la multiattività del contribuente e la pluralità dei punti vendita, oltre che la particolarità delle condizioni riferite all’anno in questione (col trasferimento dell’attività altrove), avrebbe determinato un’evidente riduzione dell’avviamento commerciale, così da giustificare lo scostamento.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, col primo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4), si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2 nonchè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 2729 c.c. e art. 116 c.p.c.;

che, nella specie, mancherebbe del tutto la ratio decidendi, tale da consentire di constatare l’avvenuto esame delle singole questioni prospettate e la ricostruzione del procedimento logico seguito. In particolare, la CTR avrebbe mancato di considerare che il contribuente si sarebbe sottratto alla concreta verifica della sua posizione reddituale, per non aver risposto al questionario regolarmente notificatogli;

che, col secondo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione della L. n. 427 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, dell’art. 2729 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54: l’Ufficio avrebbe potuto motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di costituite il contraddittorio con il contribuente. E la CTR avrebbe omesso di valutare la particolarità del caso sottoposto al suo esame;

che l’intimato non ha resistito;

che i due motivi – scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione – non sono fondati;

che la ratio decidendi della sentenza impugnata è agevolmente rinvenibile laddove la CTR, dopo aver riportato i principi espressi da questa Suprema Corte, ha richiamato precisi elementi fattuali, quali la multiattività del contribuente, la pluralità dei punti vendita ed il trasferimento dei locali, tutti elementi ritenuti idonei a spiegare la riduzione dell’avviamento commerciale ed a giustificare lo scostamento rispetto agli studi di settore;

che, d’altronde, la CTR non ha disconosciuto la portata delle presunzioni semplici derivanti dall’applicazione degli studi di settore, ma ha contrapposto – del tutto legittimamente – una serie di elementi, idonei a sgretolare la consistenza di quelle presunzioni. E la mancata partecipazione del contribuente al contraddittorio regolarmente attivato dall’Ufficio determina soltanto la non necessità di quest’ultimo di offrire ulteriori dimostrazioni della pretesa, esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (Sez. 6 – 5, n. 10047 del 16/05/2016);

che, in ogni caso, l’esito del contraddittorio non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa (Sez. 6 – 5, n. 10047 del 16/05/2016; Sez. 5, n. 11633 del 15/052013);

che, in definitiva, i giudici d’appello hanno rettamente operato, valorizzando gli elementi portati a controprova dal contribuente, con un apprezzamento in fatto, che è insindacabile in sede di legittimità;

che al rigetto del ricorso non segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali, stante la mancata costituzione dell’intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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