Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9523 del 29/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/04/2011, (ud. 04/02/2011, dep. 29/04/2011), n.9523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via San

Tommaso d’Aquino 80, presso l’avv. Grassi Ludovico, rappresentato e

difeso giusta delega in atti dall’ avv. Gaetano Pittalà;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano,

n. 135/12/05 del 30/5-7/7/2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

4/2/2011 dal Relatore Cons. Dott. Francesco Tirelli;

Udito l’avv. Grassi per delega;

Sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Basile Tommaso, che ha concluso per la dichiarazione

d’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

La Corte, osserva quanto segue.

Con atto spedito a mezzo posta il 7/10/2006, l’Agenzia delle Entrate

ha proposto ricorso contro la sentenza in epigrafe indicata, di cui

ha chiesto la cassazione con ogni consequenziale statuizione.

L’intimato C.G. ha resistito con controricorso e la

controversia è stata decisa all’esito della pubblica udienza del

4/2/2011.

Fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso risulta pacificamente in fatto che in data 14/6/1995 C.G. cedeva alla srl SPIT il proprio esercizio commerciale di bar pasticceria per il prezzo dichiarato di L. 123.500.000, di cui L. 65.000.000 per avviamento, L. 53.937.000 per attrezzature e L. 4.563.000 per merci e rimanenze.

La società cessionaria non provvedeva, però, al pagamento delle cambiali emesse a copertura del debito ed il 29/1/1996 retrocedeva l’azienda al C., che la riacquistava al medesimo prezzo (meno il valore delle merci) ed in pari data la rivendeva, sempre per lo stesso importo, a tale S.G..

Il 6/11/2002, l’Ufficio di Milano (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate notificava al C. un avviso di accertamento con il quale aumentava il valore dell’avviamento a L. 76.774.701 e contestava al contribuente di non averlo inserito fra i redditi percepiti nell’anno 1996.

Il C. si rivolgeva alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che, però, non entrava nel merito del ricorso, ma si limitava a dichiararlo inammissibile per mancata allegazione dell’avviso impugnato.

Il contribuente si gravava allora alla Commissione Regionale, che accoglieva l’appello anche nel merito con la seguente motivazione:

“l’oggetto della controversia è costituito dalla limitata differenza della valutazione dell’avviamento, atteso il riscontro degli altri elementi denunciati.

In effetti, l’avviamento è stato denunciato con la dichiarazione dell’anno d’imposta 1995, da parte del contribuente, per l’importo di L. 65.000.000, con la originaria cessione dell’esercizio alla SPIT, avvenuta il 14/6/1995, e a cui è subentrato altro soggetto a seguito del mancato pagamento del prezzo pattuito, senza ulteriore differenza di valore alcuno, come rilevato dagli atti di retrocessicene e di nuova cessione avvenuti lo stesso giorno, 29/1/1996, per il medesimo importo. E’ noto come la valutazione dell’avviamento sia dipendente da un insieme di fattori: ubicazione, comportamento della clientela, capacità e qualità del titolare, del personale, dei locali, necessità di cedenti e cessionari, procedimenti di calcolo, tempi, tassi di redditività etc..

Considerata la limitata differenza fra l’avviamento denunciato di L. 65.000.000 e quello accertato di L. 74.000.000, del procedimento di calcolo applicato dall’Ufficio, limitato a 3 esercizi antecedenti il momento della cessione e riferiti a ubicazioni e situazioni oggettive diverse, la Commissione ritiene congruo il valore dichiarato”.

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato l’anzidetta statuizione, deducendo con il primo motivo la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54 e del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, in quanto non essendo seriamente ipotizzabile che nel gennaio del 1996 il C. avesse davvero eseguito qualche pagamento in favore della SPIT, da cui non aveva ricevuto nulla in precedenza, la Commissione Regionale avrebbe dovuto necessariamente ritenere che la pretesa retrocessione aveva, in realtà, integrato una semplice risoluzione consensuale e che, anche per questo, il C. non avrebbe potuto esimersi dal dichiarare la plusvalenza derivata dalla vendita al S. che, oltretutto, era stata l’unica a generare un effettivo incremento patrimoniale che, per quanto sopra detto, non era stato affatto eliso o compensato dal coevo atto di “retrocessione”.

Con il secondo motivo, l’Agenzia ha invece lamentato il difetto di motivazione su punto decisivo della controversia, perchè oltre a non aver compiuto alcuna verifica sulla plusvalenza effettivamente dichiarata nel 1995 e sui reali effetti giuridici ed economici della “retrocessione”, la Commissione Regionale aveva concluso per la congruità dell’avviamento indicato dalle parti sulla base della esiguità dello scarto fra quest’ultimo e quello accertato dall’Ufficio, attribuendo in tal modo valore decisivo ad una circostanza che, invece, risultava di per sè del tutto inidonea a dimostrare l’erroneità della stima erariale.

Così riassunte le doglianze della ricorrente, di cui l’intimato ha contestato la fondatezza, osserva il Collegio che in base al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 all’epoca vigente, secondo il quale i corrispettivi delle cessioni di aziende si consideravano conseguiti, al fini della determinazione del reddito d’impresa, alla data della stipulazione dell’atto, il C. era tenuto ad inserire nella denuncia del 1995 la plusvalenza derivatagli dalla prima cessione alla SPIT. Anche per il 1996 il C. era indubbiamente tenuto a dare contabilmente atto dell’azzeramento della precedente e della conclusione di una nuova cessione con il S. che, come accertato dai giudici di appello, hanno però rappresentato due operazioni uguali e contrarie, capaci di neutralizzarsi a vicenda per quel che riguardava l’ammontare delle imposte dovute dal contribuente cui, pertanto, non avrebbe potuto essere notificato alcun accertamento di maggiori redditi. La ricorrente ha peraltro obiettato che la plusvalenza dichiarata per il 1995 non corrispondeva a quella risultante dall’atto di cessione e che, comunque, la somma ricevuta nel 1996 per l’avviamento superava, sia pure di poco, quella indicata dalle parti.

La prima circostanza appare tuttavia ininfluente perchè la eventuale infedeltà della denuncia dei redditi conseguiti nel 1995 poteva semmai giustificare una rettifica della stessa, ma non di quella relativa al 1996.

La seconda circostanza è stata invece smentita dai giudici a quo, che hanno affermato la congruità del corrispettivo dichiarato con una motivazione ampia e coerente all’interno della quale l’esiguità dello scarto far i valori in contestazione ha rappresentato soltanto uno degli elementi di convincimento, che in quanto immune da vizi logici o giuridici non può formare oggetto di sindacato in questa sede.

Il ricorso è pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in complessivi 2.700,00 Euro, 200,00 dei quali per esborsi, oltre gli accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte, rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite, liquidando le stesse in complessivi 2.700,00 Euro, 200,00 dei quali per esborsi, oltre gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2011

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