Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9517 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 12/04/2017, (ud. 09/03/2017, dep.12/04/2017),  n. 9517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13939-2014 proposto da:

G.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DOMENICO

CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato MARCO TORTORELLA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MADDALENA MACCARONE e

NICOLA GHINELLI;

– ricorrente –

contro

GA.NA., rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLO

BIBI e ANTONIO MERCONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 612/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 09/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2017 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO;

uditi gli Avvocati Maccarone, Ghinelli e Bibi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 9 maggio 2002 G.N. conveniva davanti al Tribunale di Perugia Ga.Na., per sentirlo condannare ad eseguire il contratto preliminare fra loro stipulato, ex art. 2932 c.c., con conseguente risarcimento del danno.

Si costituiva il convenuto, che chiedeva il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno.

Nel corso del giudizio le parti stipulavano il contratto definitivo, che veniva depositato all’udienza di precisazione delle conclusioni. Il giudizio, pertanto, continuava solo per i profili risarcitori.

Il Tribunale di Perugia, con sentenza n. 362/2010, dichiarava cessata la materia del contendere con riferimento alla conclusione del definitivo e condannava il convenuto a risarcire i danni nella misura di Euro 2.000,00, determinata in via equitativa, disponendo la compensazione delle spese di lite. G.N., con atto di citazione notificato il 29 giugno 2010, proponeva appello.

La Corte di Appello di Perugia, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 612/2013, depositata il 09/12/2013, rigettava l’appello e condannava G.N. a rifondere le spese legali del grado di giudizio.

G.N. ha proposto ricorso per cassazione contro la sopraindicata sentenza, articolandolo su tre motivi.

Ga.Na. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo G.N. contesta l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., da parte della Corte di Perugia in ordine ai motivi di appello relativi alla compensazione delle spese di lite di primo grado ed alla richiesta di risarcimento del danno per lite temeraria.

La doglianza è infondata.

La Corte d’Appello ha affermato che, quanto al motivo di impugnazione sulla compensazione delle spese, il Ga. era certamente inadempiente rispetto alla domanda di esecuzione del preliminare al momento di proposizione della domanda, avendo tuttavia poi adempiuto a tale obbligo in corso di causa con la stipula del definitivo, mentre la restante domanda risarcitoria del G. per danni pari ad Euro 52.000,00 era del tutto sproporzionata e sprovvista di prova. Essendosi il Ga. dovuto difendere dall’eccessiva pretesa del G., per la Corte d’Appello erano quindi da rigettare anche i motivi d’appello sulla quantificazione dei danni e sulla domanda di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..

E’ perciò infondata la censura del vizio di omessa pronuncia, la quale suppone che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, laddove, nel caso in esame, la decisione impugnata ha motivato la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, di tal che il ricorrente doveva dolersi eventualmente della argomentazione adottata dalla Corte d’Appello, e non della mancata risposta sui suoi motivi di gravame. L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra, infatti, un difetto di attività del giudice di secondo grado, denunciabile in sede di legittimità come violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ma tale censura è insussistente allorchè, come nel caso in esame, il giudice del merito abbia comunque preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo che il ricorrente, piuttosto, assume giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa. (cfr. indicativamente Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20311 del 04/10/2011).

Con il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 92 c.p.c. e 1226 c.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, quale la richiesta di risarcimento del danno, in quanto la Corte di Perugia non avrebbe tenuto conto, ai fini della statuizione sulle spese, che egli era stato costretto ad agire in giudizio a causa della condotta inadempiente del resistente, a nulla rilevando la successiva stipula del definitivo, dovuta al fatto che, dopo la statuizione sulle richieste istruttorie ad opera del giudice di primo grado, il Ga. aveva percepito che l’esito del giudizio sarebbe stato per lui sfavorevole. Inoltre, ad avviso di G., la Corte di Appello di Perugia, nel decidere in ordine all’impugnazione concernente la valutazione equitativa del danno, non avrebbe considerato i numerosi elementi probatori presenti agli atti e il fatto che l’inadempimento in questione era durato per oltre cinque anni.

Anche il secondo ed il terzo motivo sono infondati.

Nel sistema del regolamento delle spese processuali previgente alla sostituzione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, ad opera della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, applicabile, per effetto della proroga disposta dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 – quater, convertito, con modif., nella L. 23 febbraio 2006, n. 51, ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 1 marzo 2006 (fra cui non rientra, quindi, quello in esame, introdotto con atto di citazione notificato il 9 maggio 2002), trova applicazione il principio secondo il quale l’avvenuta compensazione delle spese è sindacabile, in sede di legittimità, nei soli casi di violazione di legge, come nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le stesse siano state poste a carico della parte totalmente vittoriosa. Il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi”, nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), doveva, quindi, soltanto trovare un adeguato supporto motivazionale, ma, a tal fine, non era necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso fossero chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito). Ne consegue che doveva ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contenessero in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come – a titolo meramente esemplificativo – nel caso in cui si desse atto, nella motivazione del provvedimento, di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e la pretesa azionata in giudizio (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 20598 del 30/07/2008). La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra, quindi, nei poteri discrezionali del giudice di merito, soprattutto quando vi sia una soccombenza reciproca, la quale si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (art. 92 c.p.c., comma 2) sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi, quale quella in esame, di accoglimento parziale della domanda proposta dall’attore, tanto allorchè quest’ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento.

La Corte d’Appello di Perugia ha perciò espressamente e congruamente indicato la ragionevolezza della compensazione delle spese disposta dal primo giudice, motivandola con l’eccessiva pretesa del G., il quale aveva proseguito il giudizio “avanzando una richiesta di risarcimento assolutamente sproporzionata al danno”, così impedendo ogni possibile definizione stragiudiziale della vertenza.

Anche quanto alla parziale cessazione della materia del contendere, conseguente alla sopravvenuta conclusione del contratto definitivo, va evidenziato come spetti comunque al giudice del merito di deliberare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie, e che è sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei. Il richiamato principio, secondo cui il sindacato di legittimità in materia di spese giudiziali trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza, ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, vale, invero, sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale (Cass. Sez. 1, 27/09/2002, n. 14023). Quando, pertanto, un giudizio sia stato definito con sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere comprensiva, è ammissibile il ricorso per cassazione sul capo della decisione concernente le spese del giudizio soltanto se il suo oggetto sia limitato alla verifica della correttezza dell’attribuzione della qualità di soccombente, attraverso il riscontro dell’astratta fondatezza delle ragioni delle difese spiegate dal ricorrente per cassazione (Cass. Sez. 3, 14/07/2003, n. 10998).

La liquidazione, invece, delle spese d’appello in danno dell’appellante, quale conseguenza dell’integrale rigetto dell’impugnazione, discende dal principio di causalità, per cui è soccombente, in rapporto al disputatum, la parte che, azionando una pretesa accertata come (in tutto o in parte) infondata o resistendo ad una pretesa fondata, abbia dato causa non solo al processo, ma anche alla sua protrazione.

Per ciò che concerne la doglianza relativa alla pronuncia concernente l’entità del risarcimento del danno, è innanzitutto da escludere l’ammissibilità della censura formulata alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove il fatto storico del quale si lamenta l’omesso esame sarebbe la richiesta risarcitoria. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile nel caso in esame, il vizio specifico denunciabile per cassazione è relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Il sindacato di legittimità sulla motivazione è, quindi, tuttora consentito intorno ai “fatti”, ai dati materiali, agli episodi fenomenici rilevanti ed alle loro ricadute in termini di diritto, aventi portata idonea a determinare direttamente l’esito del giudizio, mentre il ricorrente col suo terzo motivo intende inammissibilmente sollecitare questa Corte a verificare se sussistessero gli elementi presuntivi utili alla maggiore quantificazione del danno in via equitativa.

Peraltro, occorre pure evidenziare che l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno equitativamente non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (Cass., Sez. 1, n. 5090 del 15 marzo 2016).

La Corte di Perugia, nel respingere il motivo di appello in questione, ha chiarito, con una motivazione logica che, quindi, non può essere sindacata nella presente sede, che la richiesta risarcitoria del ricorrente, pari ad Euro 52.000,00, non poteva essere accolta, non avendo il G. dato prova delle richieste di locazione dell’immobile oggetto del contendere. Pertanto, secondo la Corte di Appello, bene aveva fatto il Tribunale di Perugia a liquidare il danno in una misura minimale pari ad Euro 2.000.00.

Consegue il rigetto del ricorso.

L’esito della lite, tenuto comunque conto della domanda risarcitoria limitatamente accolta e della cessazione parziale della materia del contendere determinatasi in corso di causa, giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione di cui al ricorso R.G. 411/2015, integralmente rigettato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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