Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9516 del 12/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/04/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 12/04/2021), n.9516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 28401 del ruolo generale dell’anno

2017, proposto da:

Stanleybet Malta Limited e Stanley International Betting Limited, in

persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dagli avvocati Roberto A. Jacchia, Antonella Terranova, Fabio

Ferraro e Daniela Agnello, elettivamente domiciliatosi presso lo

studio dei primi tre in Roma, alla via Vincenzo Bellini, n. 24;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sede staccata di Latina, depositata in data 27

aprile 2017, n. 2340/18/17;

sentita la relazione svolta dal consigliere Angelina-Maria Perrino

nella camera di consiglio del 19 gennaio 2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Emerge dalla sentenza impugnata che la Stanleybet Malta Limited, priva di concessione, facente parte della multinazionale Stanley, che fa capo alla Stanley International Betting Limited, svolge attività di allibraggio a quota fissa su eventi sportivi e non, internazionali e non, e che esercita in Italia l’attività di raccolta scommesse attraverso una rete di centri trasmissione dati, i quali raccolgono le scommesse e le somme, pagano le vincite e trattengono una provvigione come corrispettivo dei servizi, calcolata sul volume delle scommesse trasmesse al bookmaker. L’Agenzia delle dogane ha quindi indirizzato alla società un avviso di accertamento col quale ha recuperato per l’anno d’imposta 2007 l’imposta unica prevista dal D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, che il bookmaker ha impugnato, senza successo nè in primo, nè in secondo grado.

Il giudice d’appello ha anzitutto rimarcato la genericità della censura concernente la mancata notificazione del processo verbale di constatazione; ha soggiunto che la società non aveva alcuna necessità di ricevere atti e dati, a sostegno dell’avviso, che, per il tramite del centro trasmissione dati, erano già in suo possesso e ha evidenziato che il centro trasmissione dati rientra nell’ambito soggettivo di applicazione dell’imposta. Ha poi escluso che il centro trasmissione dati potesse vantare i presupposti di applicazione dell’esimente della sanzione, per mancanza di buona fede e ha sottolineato l’assenza di qualsivoglia profilo di discriminazione alla luce dell’art. 56 del TFUE.

Contro questa sentenza la Stanleybet Malta Limited e la Stanley International Betting Limited propongono ricorso per ottenerne la cassazione, che affidano a dodici motivi e illustrano con memoria corredata d’istanza di trattazione del giudizio in pubblica udienza, cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli risponde con controricorso, che parimenti illustra con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente, l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza va disattesa.

In adesione all’indirizzo espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., sez. un., 5 giugno 2018, n. 14437), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8093). In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sè, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo.

1.1.- Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella unionale (con la sentenza in causa C-788/18, relativa giustappunto alla Stanleybet Malta Limited); e i principi da quelle Corte stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito.

Così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480).

Nè la giurisprudenza penale di questa Corte richiamata nell’istanza di rimessione alla pubblica udienza è idonea a incrinare i principi in questione, per le ragioni di seguito esplicate.

1.2.- Infine, quanto al profilo delle esigenze difensive, che pure si affaccia nell’istanza ed è ribadito nella memoria illustrativa, va anzitutto nuovamente sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 della CEDU e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (in particolare, Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 80).

Ad ogni modo, queste esigenze sono anche in concreto presidiate, perchè le parti hanno illustrato la propria rispettiva posizione in esito alle pronunce della Corte costituzionale e della Corte di giustizia depositando osservazioni scritte.

2.- Nel merito, il primo motivo di ricorso, col quale parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12, degli artt. 24 e 97 Cost. e del principio di necessità del contraddittorio endoprocedimentale, là dove il giudice d’appello ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento nonostante non fosse stato preceduto dalla notificazione del processo verbale di constatazione, è infondato.

Non sussisteva alcuna necessità di notificare alla Stanleybet Malta Limited il processo verbale di constatazione, perchè non vi è stata nei suoi confronti alcuna attività di ispezione, accesso o verifica, che l’art. 12, comma 7, dello statuto dei diritti del contribuente assume come presupposto per l’emissione del processo verbale di constatazione e la conseguente applicazione del termine dilatorio (in termini, tra varie, Cass. 19 ottobre 2017, n. 24636).

2.1.- Irrilevanti sono poi le considerazioni relative alla necessità di rispettare il principio del contraddittorio in base al diritto unionale, poichè l’imposta della quale si discute non è armonizzata.

Va quindi applicato il principio fissato dalle sezioni unite di questa Corte (con sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823), secondo il quale, differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto.

Con questa pronuncia le sezioni unite hanno esaurientemente e convincentemente esaminato tutti i profili d’interferenza col diritto unionale, sicchè la richiesta di rinvio pregiudiziale sul punto alla Corte di giustizia va disattesa.

Il motivo va quindi rigettato.

3.- Il secondo motivo di ricorso, col quale parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 anche in relazione all’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, là dove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto l’avviso di accertamento adeguatamente motivato, è poi inammissibile sia per carenza di autosufficienza, sia perchè non è congruente col contenuto della decisione.

3.1.- Anzitutto, dell’avviso non è riprodotto il contenuto, di modo che questa Corte non è posta in grado di delibare la fondatezza della censura. Inoltre, non si censura la statuizione contenuta in sentenza secondo la quale gli atti e i dati dei quali la ricorrente lamenta la mancata allegazione erano in realtà già in suo possesso in virtù del rapporto col centro di trasmissione dati.

4.- Col settimo motivo di ricorso, da esaminare prima dei restanti, perchè prodromico rispetto a questi, parte ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4 perchè il giudice d’appello non ha esaminato la censura di violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione allo svolgimento del rapporto contrattuale col centro trasmissione dati nel periodo accertato.

Benchè in effetti nella sentenza impugnata non vi sia traccia in questione, il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

4.1.- Di là dalla mancanza della trascrizione dell’avviso di accertamento nella parte in cui si assume lo svolgimento dell’attività di ricevitoria nel periodo in questione e del ricorso di primo grado nella parte in cui si contestano tali elementi (considerato che avviso di accertamento e ricorso di primo grado risultano allegati al ricorso per cassazione), generici sono i riferimenti alle ulteriori contestazioni svolte in appello della documentazione all’uopo prodotta dall’Agenzia, della quale non si sunteggia il contenuto, e agli stessi report settimanali sui quali parte ricorrente punta a proprio favore; infine, si riporta soltanto per brevi stralci la sentenza di merito riguardante il centro trasmissione dati, la quale peraltro non risulta divenuta cosa giudicata.

5.- Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo motivo di ricorso, che vanno esaminati insieme, perchè concernono tutti la soggettività e i presupposti dell’imposta unica sulle scommesse, di là dall’inammissibilità dei profili riferiti alla soggettività passiva del centro trasmissione dati, che non è in giudizio, sono complessivamente infondati.

Col terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 come interpretato dall’art. 1, comma 66, lett. b), della legge di stabilità per il 2011, là dove il giudice d’appello ha ritenuto il centro di trasmissione dati soggetto passivo del tributo;

– col quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, e degli artt. 1326,1327 e 1336 c.c.;

– col quinto motivo si fa leva sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, e art. 36, comma 2, nn. 2 e 4, nonchè dell’art. 112 c.p.c., perchè il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare che l’intento perseguito dal legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a) volto ad equiparare ai fini fiscali le scommesse concluse in regime di concessioni a quelle concluse con soggetti che della concessione siano privi, non potrebbe essere realizzato mediante l’assoggettamento al tributo dei centri trasmissione dati;

– col sesto motivo si punta sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 56 del TFUE e dei principi unionali di parità di trattamento e di non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 come interpretato dall’art. 1, comma 66, della legge di stabilità per il 2011, nonchè sulla violazione del principio di legittimo affidamento;

– col decimo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 Cost. in riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3, e art. 1, comma 66, lett. b), della legge di stabilità per il 2011, laddove si è ritenuto il centro trasmissione dati soggetto passivo dell’imposta unica;

– con l’undicesimo motivo si censura la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 112 e art. 36 per il mancato esame della denuncia di violazione e falsa applicazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza delle leggi, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64 e comma 66, lett. b);

– col dodicesimo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del principio dell’equo processo stabilito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 117 Cost., comma 1, sempre con riguardo alle norme in questione.

5.1.- Sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “…debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”.

Sicchè il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sè, ma alla prestazione di un servizio, che è, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio.

6.- E queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo applicabile, che è così articolato:

– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1 volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; il suddetto D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3 intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”;

– a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, “(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorchè la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3 si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorchè in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– il D.M. economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16 prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica.

6.1.- L’intera disciplina dei tributi sui giochi risponde d’altronde a un impianto sistematico coerente.

Così è in materia di prelievo erariale unico, in relazione al quale il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 39, comma 13, primo periodo, conv. con L. 24 novembre 2003, n. 326, disponeva che “Agli apparecchi e congegni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, art. 110, comma 6, collegati in rete, si applica un prelievo erariale unico fissato in misura del 13,5 per cento delle somme giocate” e, dunque, ancorava il presupposto dell’imposizione all’utilizzazione degli apparecchi e congegni per il gioco lecito (“agli apparecchi… si applica un prelievo”).

Al riguardo, anche la Corte costituzionale aveva sottolineato (con la sentenza 19 ottobre 2006, n. 334) il parallelismo con “l’imposta sugli intrattenimenti, dal D.P.R. n. 640 del 1972, art. 1 e dal punto 6 della tariffa allegata allo stesso D.P.R.”: la norma, come modificata dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60, art. 1 prevedeva che “Sono soggetti all’imposta gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività indicati nella tariffa allegata al presente decreto, che si svolgono nel territorio dello Stato”, di modo che, richiamando lo “svolgimento” dei giochi e delle altre attività, si direttamente si riferiva al concreto esercizio del gioco.

Analogamente, in materia di iva, il D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 10, comma 1, n. 6 prevede un regime di esenzione nel caso della raccolta delle scommesse, ancora con riguardo, dunque, alla prestazione del servizio di gioco.

E’ chiara, d’altra parte, la ratio di una simile impostazione: lo Stato ha interesse, sia fiscale, sia extrafiscale, che le attività di gioco che si realizzano sul proprio territorio – ossia, nel luogo dove si trova fisicamente lo scommettitore e comunque esse siano svolte – siano soggette al proprio ordinamento.

7.- Ad ogni modo, il quadro normativo dell’imposta unica sulle scommesse è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, e comunque fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati dalla ricorrente con la memoria illustrativa.

7.1.- La Corte costituzionale (con la sentenza 23 gennaio 2018, n. 27) ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010.

La L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, tuttavia, ha sottolineato, ha sciolto ogni dubbio.

Anzitutto, il legislatore ha chiarito, in generale, che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio: anche il bookmaker privo di concessione gestisce le scommesse, realizzando in tal modo il presupposto impositivo, e comunque assume il rischio proprio dei contratti di scommessa.

8.- Inoltre, il legislatore ha stabilito (in un punto della motivazione la Corte costituzionale specifica che “…11 legislatore ha così esplicitato….”) che anche le ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione, svolgono un’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione e, per conseguenza, sono obbligate al versamento del tributo e delle relative sanzioni.

L’attività consiste nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Il titolare della ricevitoria, dunque, benchè non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, comunque assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonchè del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.

8.1.- La stessa giurisprudenza penale citata in memoria dai contribuenti (ossia Cass. 9 luglio-9 settembre 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza del ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “…raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite -…”.

Il rilievo autonomo dei ruoli di bookmaker e ricevitore si riverbera d’altronde anche sul piano civilistico, nella relazione con lo scommettitore: sia pure con riguardo al gioco del lotto, si è chiarito che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731).

9.- Non si attaglia quindi al rapporto tra bookmaker e ricevitore, diversamente da quanto sostenuto in ricorso e in memoria, lo schema della solidarietà dipendente, che ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (in termini, da ultimo, Cass. n. 26480/20, cit.).

Entrambi i soggetti, difatti, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione.

10.- Non è quindi irragionevole, ha sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker).

11.- La scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, inoltre, ha aggiunto quella Corte, non viola il principio di capacità contributiva, se il rapporto tra il bookmaker e il titolare della ricevitoria che agisce per suo conto sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al ricevitore per il servizio prestato. Ciò perchè attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera.

11.1.- Per conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perchè l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010.

12.- In conclusione, per tutti i periodi d’imposta quanto al bookmaker, in relazione al quale non si configura alcun vulnus di capacità contributiva, e, in relazione al ricevitore, per i periodi d’imposta a decorrere dal 2011, la censura complessiva è infondata.

Sicchè sono infondati:

– il terzo motivo di ricorso, col quale si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa, l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, in base alle considerazioni che precedono in ordine all’accezione di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27/18, confermata dalla giurisprudenza civile e penale di questa Corte, e comunque per l’irrilevanza della censura in rapporto al bookmaker;

– il quarto motivo, perchè è in Italia che lo scommettitore effettua la puntata e ha conoscenza dell’accettazione della scommessa da parte del banco per il tramite della ricevuta di gioco che, appunto, documenta l’accettazione;

– il quinto motivo, col quale s’insiste sulla carenza di soggettività passiva del ricevitore;

– il decimo motivo, là dove si sostiene che sia compatibile col principio di capacità contributiva soltanto un meccanismo d’imposizione che consenta di far gravare sui soli scommettitori l’onere del tributo, giacchè è, invece, il meccanismo di traslazione dell’imposta tra bookmaker e ricevitore a garantire l’osservanza del principio in questione;

– l’undicesimo motivo, col quale si fa leva sui principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi, già esaminati da Corte Cost. n. 27/18. Non può, in questo ambito, trovare fondamento l’ulteriore profilo di censura relativo all’irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo l’imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato: la base imponibile, si sostiene, viene determinata senza considerare il movimento netto reale, poichè quelle scommesse sono escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che si sarebbero dovute applicare per legge. La censura è inammissibile per difetto di specificità, posto che parte ricorrente postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata. In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, parte ricorrente non deduce, nè allega alcunchè in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata;

– il dodicesimo motivo di ricorso, col quale si prospetta l’incompatibilità dell’interpretazione retroattiva della norma interpretativa contenuta nella legge di stabilità per il 2011 con i principi dell’equo processo stabiliti dall’art. 6 della CEDU. La compatibilità costituzionale dell’effetto retroattivo della legge in relazione all’art. 6 Cedu s’incentra sul rispetto del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge; sicchè occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale (tra varie, Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 176). Laddove nel caso in esame sussiste il motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze, giacchè, come si anticipava sub 7.1., la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27/18, ha appunto riconosciuto alla L. n. 220 del 2010 la funzione di risolvere l’incertezza inerente all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3.

13.- Quanto agli ulteriori profili della censura, che riguardano le prospettate frizioni col diritto dell’Unione, l’infondatezza emerge dalla giurisprudenza unionale.

Poichè, lo si è già rimarcato, l’imposta di cui si discute non ha natura armonizzata, i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 del TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17).

Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonchè di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: sicchè, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07).

Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64 i propri obiettivi, tra i quali si colloca “…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.

13.1.- La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).

14.- In questo contesto la normativa italiana, si anticipava, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale.

La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri.

L’imposta unica si applica difatti a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18), di modo che “…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale” (punto 24).

14.1.- Anzi, come ha sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso e ribadita in memoria si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…”.

15.- Nè v’è l’incongruenza, segnalata in memoria, tra i punti 17, 26 e 28 della sentenza resa dalla Corte di giustizia nella causa C788/18, cit..

Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma col punto 24 si specifica, in concreto, che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”.

16.- Quanto al centro trasmissione dati, col punto 26 ci si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b).

Ma ciò non toglie, si aggiunge col punto 28, che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.

La statuizione non è affatto oscura, come si deduce in memoria. La diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero, tenuto conto, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia, degli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, tra i quali si colloca, come si è visto, oltre alle azioni di tutela sopra richiamate, anche quella di recupero di base imponibile e gettito, a fronte dei fenomeni di elusione e di evasione fiscale.

In questo contesto, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.; coerente, nella giurisprudenza interna, Cass., sez. un., 29 maggio 2019, n. 14697, punto 10).

Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria e di pregiudizio della libertà di prestazione di servizi.

17.- Risulta quindi infondato anche il sesto motivo di ricorso, col quale si prospettano le questioni di parità di trattamento e non discriminazione già risolte dalla Corte di giustizia, e si denuncia la violazione del principio di legittimo affidamento.

Quanto a quest’ultimo principio, in particolare, se ne prospetta la violazione in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, “improvvisamente e imprevedibilmente”, la responsabilità delle ricevitorie dei bookmaker privi di concessione.

17.1.- Nessun legittimo affidamento è, invece, configurabile, proprio perchè la Corte costituzionale ha stabilito che con la disposizione interpretativa in questione “il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata”.

18.- In questo quadro, la giurisprudenza penale di questa Corte citata in memoria, già dinanzi richiamata, è irrilevante.

Essa si riferisce difatti alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, che questa Corte ha escluso, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione Europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni: e ciò perchè in tal caso rileva la non conformità agli artt. 49 e 56 del TFUE del regime concessorio interno. Difatti, ha sottolineato questa Corte con la sentenza in questione, “In forza dei principi affermati dalla Corte di giustizia…, il mancato rispetto della disciplina amministrativa che non sia conforme al diritto dell’Unione Europea non può comportare l’applicazione di sanzioni penali”.

18.1.- Ma il fatto che non si risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, previsto e punito dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, commi 1 e 4-bis, nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse.

19.- Non si ravvisa quindi necessità alcuna di promuovere dinanzi alla Corte di giustizia le questioni sollecitate in memoria che, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, là dove s’insiste sulla discriminazione e sulla pretesa contraddizione con la giurisprudenza unionale pregressa, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia in precedenza riconosciuto la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati.

Quella Corte, invece, “…pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte giust., in causa C375/17, cit., punto 67). Il che appunto esclude la contraddizione sulla quale si fa leva in memoria.

In definitiva i motivi in questione vanno rigettati.

20.- Inammissibile è poi l’ottavo motivo di ricorso, col quale si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, là dove il giudice d’appello non ha esaminato la censura di violazione o falsa applicazione del paragrafo 3.2. del n. 3, lett. b), comma 1, del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4 in relazione alla dedotta errata applicazione dell’aliquota d’imposta.

Benchè non vi sia traccia della questione nella sentenza impugnata, la censura va dichiarata inammissibile, per difetto di specificità.

20.1.- Il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4 prevede particolari meccanismi di calcolo per giungere alla quantificazione del prelievo erariale e distingue allo scopo i concorsi pronostici dalle scommesse (su eventi diversi dalle corse dei cavalli e sulle corse dei cavalli), nonchè, nell’ambito di queste, le scommesse a quota fissa e le quelle a totalizzatore.

Per le scommesse a quota fissa (diverse da quelle sui cavalli), oggetto della pretesa in oggetto, la base imponibile è costituita dalla somma giocata per ogni scommessa sulla quale è applicata un’aliquota d’imposta che varia a seconda del movimento netto avutosi nei dodici mesi precedenti e del numero di eventi pronosticati.

In mancanza d’indicazione del dettaglio delle scommesse, correttamente l’Ufficio, a norma del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 24, comma 10, conv., con modificazioni, con L. 15 luglio 2011, n. 111, “…determina induttivamente la base imponibile utilizzando la raccolta media della provincia, ove è ubicato il punto di gioco, dei periodi oggetto di accertamento, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale. Ai fini della determinazione dell’imposta unica l’ufficio applica, nei casi di cui al presente comma, l’aliquota massima prevista per ciascuna tipologia di scommessa dal D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 4”. Inoltre, in base al precedente comma 8, “…l’Ufficio dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, anche sulla base dei fatti, atti e delle violazioni constatate dalla Guardia di finanza o rilevate da altri organi di Polizia, procede alla rettifica e all’accertamento delle basi imponibili e delle imposte rilevanti ai fini dei singoli giochi, anche utilizzando metodologie induttive di accertamento per presunzioni semplici”.

Nel caso in esame, dunque, la ricorrente non ha allegato di aver fornito elementi utili ad evitare la determinazione in via induttiva.

21.- Col nono motivo di ricorso la ricorrente lamenta poi la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il giudice d’appello avrebbe pronunciato ultra petita sulla mancata applicazione dell’esimente dell’obiettiva incertezza in relazione alle sanzioni e deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 5, comma 1.

Il motivo è inammissibile per carenza d’interesse ad agire.

La stessa parte ricorrente riconosce di non aver proposto alcuna censura relativa alle sanzioni con l’appello proposto contro la sentenza di primo grado, che aveva escluso l’applicazione dell’esimente.

Si è quindi determinato il giudicato interno sul punto, che la pronuncia impugnata non ha scalfito.

21.1.- Di recente, d’altronde, la Corte costituzionale ha chiarito che anche la declaratoria d’illegittimità costituzionale non può produrre effetti su rapporti sanzionatori esauriti in virtù di giudicato interno (Corte Cost. 28 luglio 2020, n. 171).

22.- Il ricorso va quindi respinto.

Si compensano le spese, in mancanza di precedenti nella giurisprudenza di questa Corte.

Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2021

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