Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9514 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/05/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 22/05/2020), n.9514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29368-2018 proposto da:

V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLA

RICCIOTTI 9, presso lo studio dell’avvocato RANIERI RODA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VITTORIO LANDOLFI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 477/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA, depositata l’08/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. D’AQUINO

FILIPPO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il contribuente ha impugnato un avviso di accertamento per IRPEF relativo all’anno di imposta 2006 effettuato a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4;

la CTP di Massa Carrara ha dichiarato inammissibile per tardività il ricorso e la CTR della Toscana, con sentenza in data 8 marzo 2018, ha confermato la sentenza di primo grado osservando che il ricorrente si è limitato a riproporre la questione della tempestività del ricorso, richiamandosi a Corte Cost. 14 gennaio 2010, n. 3, nella parte in cui afferma che la L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 4, dando un termine massimo di dieci giorni per il ritiro del piego, elimina in radice l’ingiusta erosione del termine per svolgere le successive attività difensive;

propone ricorso per cassazione il contribuente affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo del ricorso si denuncia nullità della sentenza per inesistenza di motivazione, violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 111 Cost., comma 6, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; osserva il ricorrente di avere dedotto in grado di appello che la presunzione di notificazione in caso di notificazione per compiuta giacenza a termini della L. 20 novembre 1980, n. 890, art. 8, sussiste a condizione che il destinatario fosse a conoscenza dell’avviso; ripropone le doglianze sottoposte al giudice di appello, secondo le quali l’avviso del tentativo di notifica e di deposito della raccomandata non sarebbe stato effettuato nella data indicata sulla ricevuta A/R (28.11.2011) ma in data successiva, per cui il ricorrente non sarebbe stato posto tempestivamente a conoscenza dell’avvenuto deposito, nonchè secondo le quali l’avviso medesimo sarebbe privo dei requisiti richiesti dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 1, nonchè (infine) secondo le quali il termine decorrerebbe dalla data di conoscibilità dell’atto;

con il secondo motivo si deduce nullità della sentenza, violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., nonchè omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti nella parte in cui la sentenza impugnata ha osservato che il contribuente avrebbe riproposto unicamente le questioni sulla tempestività del ricorso, deducendo il ricorrente di avere indicato nell’atto di appello che si sarebbe richiamato, in caso di accoglimento dell’appello, alle originarie deduzioni di primo grado;

va preliminarmente dichiarato il difetto di legittimazione del Ministero delle Finanze, per non essere parte nei precedenti gradi di giudizio, nonchè stante la legittimazione attribuita alle Agenzie Fiscali ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, comma 1 (Cass., Sez. V, 26 febbraio 2019, n. 5556);

il primo motivo è infondato, posto che a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che possono essere esaminate e si convertono, all’evidenza, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con conseguente nullità della sentenza – di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940); ne consegue che la fattispecie della motivazione apparente, che ricorre nel caso in cui non possa considerarsi assolto l’obbligo di motivazione imposto costituzionalmente al giudice, presuppone che la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (Cass., VI, 25 settembre 2018, n. 22598);

nel caso di specie il minimo costituzionale imposto al giudice, come rileva il controricorrente, è stato assolto, posto che il giudice di appello ha ritenuto di confermare il giudizio di tardività del ricorso richiamandosi al principio di notificazione dell’atto a termini della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4 (“sulla legittimità di tale procedimento ha avuto modo di pronunciarsi, seppur incidentalmente, anche la Corte costituzionale con sentenza n. 3/2010, nella quale si legge testualmente: “infatti la L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, dando un termine (massimo) di dieci giorni per il ritiro del piego, l’ingiusta erosione del termine (massimo) di dieci giorni per il ritiro del piego, elimina in radice l’ingiusta erosione del termine per svolgere le successive attività difensive (…) lascia un tempo congruo al destinatario per ritirare l’atto; mentre per l’altro, non rende troppo onerosa la notifica per il mittente che, comunque, potrà dare per notificato l’atto decorso il termine di dieci giorni”);

con riferimento a tale statuizione, che afferma indefettibilmente la notificazione dell’atto al decimo giorno di compiuta giacenza, non è stata formulata una censura per violazione o falsa applicazione di legge;

nè possono prendersi in esame le questioni in fatto dedotte dal ricorrente secondo le indicazioni dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il motivo di ricorso non è redatto nelle forme dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, trattandosi di “doppia conforme” (dovendosi indicare anche le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse: Cass., Sez. I, 22 dicembre 2016, n. 26774); del resto, tale indicazione delle diverse ragioni di fatto è esclusa dal fatto che dalla sentenza impugnata risulta che in grado di appello sono state riproposte le doglianze proposte dal ricorrente nel giudizio di primo grado;

il primo motivo va, pertanto, rigettato per cui, essendosi consolidato l’accertamento in punto tardività del ricorso, l’esame del secondo motivo è assorbito;

il ricorso va, pertanto, rigettato; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, dichiara assorbito il secondo, condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sesta Sezione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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