Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9514 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 12/04/2017, (ud. 07/02/2017, dep.12/04/2017),  n. 9514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDI Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1083/2013 proposto da:

ASP AGRIGENTO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL SUO COMMISSARIO

STRAORDINARIO LEGALE RAPP.TE P.T., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 87 ST IELO, per l’avvocato MARCELLA

PERITORE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

C.R., (OMISSIS), G.N. (OMISSIS),

C.C. (OMISSIS), C.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dagli avv.ti ANGELA BLANDO, GIUSEPPA LO

SARDO;

– controricorrenti –

e contro

CU.GI.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1379/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 11/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Palermo con sentenza depositata il 4 ottobre 2012 rigettò l’impugnazione proposta dall’Azienda sanitaria provinciale di Agrigento e, pertanto, confermò la statuizione di primo grado emessa dal Tribunale di Agrigento, Sezione Distaccata di Canicattì, in data 21 giugno 2006 e depositata il 3 luglio dello stesso anno. Sentenza con la quale il Tribunale aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell’Azienda sanitaria provinciale in relazione alla domanda di scioglimento di comunione dalla predetta azienda proposta nei confronti di G.N., P.C., Cu.Gi. e C.C., C.R., C.M., quest’ultima anche nella qualità di erede di G.R.. Allo stesso tempo il Giudice aveva rigettato la domanda di usucapione avanzata dalla G., Pi.Ca., C.C., C.R. e C.M..

2. L’Azienda sanitaria provinciale di Agrigento ricorre avverso la determinazione d’appello, prospettando unitaria, articolate censura.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente deduce violazione degli artt. 112 e 167 c.p.c., e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè violazione di norme sul procedimento (art. 360, n. 4 in relazione agli art. 112 c.p.c., e art. 2697 c.c.); nonchè, infine, violazione degli artt. 473 e 487 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

L’ASP, dopo aver premesso di aver esercitato l’azione di scioglimento della comunione ereditaria costituita dei beni provenienti dall’eredità di R.E. in favore dell’ospedale (OMISSIS); che i convenuti avevano eccepito il difetto di legittimazione attiva, deducendo non essere stata dimostrata l’accettazione con beneficio d’inventario, nelle forme e nei termini di legge imposti per le persone giuridiche dall’art. 473 c.c.; che in corso di causa l’Azienda sanitaria provinciale aveva prodotto l’atto di accettazione con il beneficio d’inventario dell’eredità di R.E., da parte dell’ospedale (OMISSIS); che, in ogni caso, per effetto della riforma operata dalla L. n. 127 del 1997, art. 13, con effetto retroattivo, non era più richiesta l’autorizzazione governativa quale condizione per l’accettazione, deduce che la mancanza di prova circa la redazione dell’inventario, era stata posta a base della decisione, a prescindere da qualsiasi allegazione di parte, in violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il decidente fondato la sentenza sopra una circostanza di fatto non addotta da alcuna delle parti.

Peraltro, la Corte palermitana aveva condiviso un orientamento di legittimità secondo il quale l’accettazione con beneficio d’inventario costituisce una fattispecie a formazione progressiva e, pertanto, la mancata redazione dell’inventario, piuttosto che procurare la perdita del diritto già acquisito, impedirebbe l’acquisizione del predetto diritto a cagione del mancato completamento della fattispecie. Al predetto orientamento la ricorrente ne contrappone altro, più tradizionale, “secondo il quale la mancata redazione dell’inventario costituisce una causa di decadenza dal diritto di accettare l’eredità, che deve essere allegata e provata dalla parte interessata. Parallelamente, trattandosi di fatto estintivo e non di elemento costitutivo della fattispecie, l’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario assolve all’onere probatorio posto suo carico documentando la propria accettazione e non anche la tempestiva redazione dell’inventario”.

Al contrario di quanto deciso sussistevano, a parere della ricorrente, tutti gli elementi della fattispecie complessa che conduce all’acquisto della qualità di erede beneficiato: era stata prodotta la nota di trascrizione e affermata l’accettazione nelle forme e nei termini di legge. Costituiva onere della controparte, ai sensi dell’art. 2967 c.c., provare che l’accettazione beneficiata non aveva raggiunto il suo scopo. Trattavasi di un’eccezione in senso stretto, che, pertanto non avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio. Ove, “come nel caso di specie, la valorizzazione ex officio di una circostanza di fatto non afferente ad una eccezione rilevabile d’ufficio, finisce per tradursi in una lesione del contraddittorio, poichè la parte non è posta in condizione di adottare le opportune scelte processuali, sotto il profilo assertivo e probatorio”. Prosegue la ricorrente che “se il rilievo circa la mancata produzione dell’inventario fosse stato formulato dai convenuti nei termini assegnati in primo grado ex art. 183 c.p.c., l’AUSL sarebbe stata posta in condizione di effettuare la produzione nei termini; ciò che non era più possibile, ovviamente, dopo la decisione di primo grado”.

2.1. La doglianza è infondata.

L’idea che il mancato assolvimento all’onere di redigere l’inventario costituisca motivo di decadenza dalla già acquisita soggettiva posizione di erede trova radici in valutazioni interpretative assai remote (n. 329 del 1977, Rv. 383874; n. 11084 del 1993, Rv. 484254; n. 3842 del 1995, Rv. 491585) e da tempo a ragione abbandonate.

L’art. 484 cod. civ.,nel prevedere che l’accettazione con beneficio d’inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sono elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti; infatti, sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune configurazione in termini di adempimenti necessari, sia la mancata previsione di una distinta disciplina dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l’attribuzione all’uno dell’autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell’altro. (Sez. 2, n. 16739 del 09/08/2005 – Rv. 584307 -; ma già, n. 11030 del 2003 – Rv. 565061 -).

Di recente si è ulteriormente chiarito che l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario integra una eccezione in senso lato, in quanto il legislatore non ne ha espressamente escluso la rilevabilità d’ufficio e tale condizione non corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo, ma rileva quale fatto da solo sufficiente ad impedire la confusione del patrimonio dell’erede con quello del defunto (S.U., ord. n. 10531, 7/5/2013, Rv. 626195).

E’ appena il caso di soggiungere che nel caso di accettazione con beneficio d’inventario, liberamente scelta dalla persona fisica, il mancato assolvimento dell’onere di far luogo all’inventario nei termini e modi di legge produce l’effetto, escluso il perfezionamento della procedura di legge, dell’accettazione pura e semplice; nel mentre nel caso che l’accettazione con beneficio d’inventario costituisce l’unico modo di accettazione previsto dalla legge, come nel caso in esame, il mancato perfezionamento del modulo legale non può che importare il non conseguimento dello agognato status di erede.

3. Le spese legali seguono la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo in favore dei controricorrenti, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività svolte.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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