Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9513 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. II, 09/04/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 09/04/2021), n.9513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 23236 – 2019 R.G. proposto da:

B.K., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Roma, alla via degli Ottavi,

n. 9, presso lo studio dell’avvocato Massimiliano Scaringella, che

disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Fabio Loscerbo, lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 317/2019 della Corte d’Appello di Bologna;

udita la relazione nella camera di consiglio del 17 novembre 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. B.K., cittadino del (OMISSIS), formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che era giunto in Italia poichè persone senza scrupoli gli avevano promesso un lavoro a fronte del pagamento di una ingente somma di denaro.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con ordinanza in data 19.2.2017 il Tribunale di Bologna respingeva il ricorso proposto da B.K. avverso il provvedimento della commissione.

4. B.K. proponeva appello.

Resisteva il Ministero dell’Interno.

5. Con sentenza n. 317/2019 la Corte di Bologna rigettava il gravame.

Evidenziava la corte che il motivo di gravame, con cui l’appellante aveva censurato il primo dictum per omesso esame delle dichiarazioni rese dinanzi alla commissione territoriale, era destituito di fondamento; che invero l’appellante non era comparso dinanzi alla commissione, sicchè non si aveva riscontro di sue dichiarazioni rese in quella sede.

Evidenziava in ogni caso che le dichiarazioni dell’appellante non erano credibili, siccome vaghe, incongrue, per nulla circostanziate.

Evidenziava quindi che non sussistevano i presupposti, segnatamente, per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava in particolare che, in caso di rimpatrio, l’appellante non si sarebbe ritrovato in condizioni di vulnerabilità nè rivestivano valenza al riguardo le sue precarie condizioni economiche; che, d’altra parte, non era possibile attendere al debito giudizio comparativo, siccome non erano note le condizioni del richiedente nel paese d’origine; che comunque i lavori stagionali svolti erano inidonei a dar conto di una adeguata integrazione nel tessuto socioeconomico italiano.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso B.K.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Deduce che ha errato la corte di merito a reputare inattendibili le sue dichiarazioni e a non avvalersi dei suoi poteri istruttori officiosi.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17.

Deduce che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, il giudice deve valutare tutte le circostanze del caso concreto e non deve fondarsi esclusivamente sulla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni all’uopo rese.

9. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce che l’impugnata sentenza non reca puntuale specificazione della disciplina legislativa applicata ai fini dell’operato riscontro di inattendibilità delle sue dichiarazioni.

10. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce che in tema di protezione umanitaria la motivazione è del tutto “apparente”, viepiù a fronte degli elementi di valutazione a tal riguardo addotti.

Deduce che il riconoscimento della protezione umanitaria prescinde dal riscontro di attendibilità delle dichiarazioni rese.

11. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione di legge; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce che ha errato la corte distrettuale a disconoscere la protezione umanitaria; che in ipotesi di rimpatrio i suoi diritti fondamentali, ovvero il diritto alla salute, all’alimentazione, subirebbero una significativa menomazione.

12. I rilievi postulati dalla delibazione dei motivi tutti di ricorso tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea dei mezzi di impugnazione, che comunque sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, siccome la Corte di Bologna ha statuito in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

13. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

14. Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Il giudizio di appello ha avuto inizio nel corso del 2017.

Il secondo dictum ha integralmente confermato il primo dictum.

Conseguentemente si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860; cfr. altresì Cass. 22.12.2016, n. 26774).

15. In ogni caso si rappresenta ulteriormente quanto segue.

E’ da escludere recisamente – nel solco, appunto, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 alla cui stregua le doglianze afferenti alla valutazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente sostanzialmente si qualificano – che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte territoriale ha ancorato il riscontro di inattendibilità delle dichiarazioni dell’appellante.

Peraltro la corte bolognese ha specificato (cfr. pag. 3) che unicamente in grado d’appello, e dunque tardivamente, B.K. aveva allegato di provenire da un villaggio molto povero, molto distante da (OMISSIS).

16. Al contempo, l’iter motivazionale che sorregge l’impugnata statuizione risulta ineccepibile sul piano della correttezza giuridica.

17. Si rimarca in primo luogo che, nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare – tendenzialmente – tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Su tale scorta del tutto legittimo è il mancato esercizio, da parte della corte d’appello, dei poteri istruttori officiosi.

Cosicchè l’appellante non ha motivo per addurre che la corte distrettuale “avrebbe dovuto esercitare il potere/dovere istruttorio per l’acquisizione di aggiornate informazioni sul paese di provenienza” (così ricorso, pag. 7).

18. Si rimarca in secondo luogo che, alla luce dei surriferiti rilievi, del tutto ingiustificata è la deduzione secondo cui la corte territoriale avrebbe dovuto valutare tutti gli elementi del caso concreto (cfr. ricorso, pag. 7).

19. Si rimarca in terzo luogo che, alla luce dei surriferiti rilievi, del tutto pretestuosa è la prospettazione secondo cui non sarebbe dato “comprendere quale sia la legislazione richiamata allorquando il giudice di appello ritiene che la mancanza di credibilità impedisca il riconoscimento dello status di rifugiato così come anche della protezione sussidiaria” (così ricorso, pag. 8), sicchè risulterebbe menomata la possibilità per il ricorrente di contraddire.

20. Si rimarca infine che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – al di là dell’ipotesi del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, insussistente nel caso de quo – non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

21. Privo di fondamento è l’assunto secondo cui la motivazione in punto di “umanitaria” è del tutto “apparente”.

Si è premesso che la corte emiliana ha, in parte qua, indicato gli elementi cui ha correlato il proprio convincimento ed in pari tempo ha fatto luogo ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16762; Cass. 24.2.1995, n. 2114).

E si è anticipato che il giudizio di inattendibilità si riflette pur sul terreno della protezione umanitaria.

22. Al contempo devesi dar atto che le censure in tema di “umanitaria” non si correlano puntualmente alla ratio decidendi.

La Corte di Bologna ha specificato, tra l’altro, che non era possibile attendere al debito giudizio comparativo, siccome non erano note le condizioni del richiedente nel paese d’origine a motivo dell’inattendibilità delle sue dichiarazioni.

23. Comunque il quarto ed il quinto motivo di ricorso recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, pur in parte qua, la corte d’appello ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

24. Ebbene, in quest’ottica, non può che osservarsi quanto segue.

Opera parimenti la preclusione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5.

Alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” si configura, anche in parte qua, nelle motivazioni dell’impugnato dictum.

D’altronde il ricorrente sollecita questa Corte a rivalutare le risultanze di causa, ossia che è integrato in Italia, parla perfettamente l’italiano e non ha in (OMISSIS) alcun legame familiare (cfr. ricorso, pag. 16).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

25. In dipendenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

26. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente, B.K., a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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