Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9512 del 09/04/2021
Cassazione civile sez. II, 09/04/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 09/04/2021), n.9512
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 23259 – 2019 R.G. proposto da:
D.O., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con
indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Reggio Emilia, alla via Cecati
n. 11/7, presso lo studio dell’avvocato Elisabetta Strumia, che lo
rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro
pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello
Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,
domicilia per legge;
– contricorrente –
avverso la sentenza n. 238/2019 della Corte d’Appello di Bologna;
udita la relazione nella camera di consiglio del 17 novembre 2020,
del consigliere Dott. Luigi Abete.
Fatto
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. D.O., cittadino del (OMISSIS), formulava istanza di protezione internazionale.
Esponeva che aveva tentato unitamente ad alcuni amici di introdurre illegalmente dello zucchero in territorio (OMISSIS); che la polizia doganale aveva arrestato taluni dei suoi amici; che, temendo di essere a sua volta arrestato ed incarcerato, si era determinato ad abbandonare il proprio paese d’origine; che aveva dapprima raggiunto il Mali, poi la Libia, ove era rimasto per circa quattro anni, e dalla Libia si era imbarcato per l’Italia.
2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.
3. Con ordinanza in data 1.8.2017 il Tribunale di Bologna respingeva il ricorso con cui D.O., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ulteriore subordine il riconoscimento della protezione umanitaria.
4. D.O. proponeva appello.
Non si costituiva il Ministero dell’Interno.
5. Con sentenza n. 238/2019 la Corte di Bologna rigettava il gravame.
Evidenziava la corte che il primo motivo d’appello, concernente il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b) per nulla censurava la decisione di primo grado, nella parte in cui era ancorata alla mancata comparizione all’udienza del richiedente asilo.
Evidenziava poi – e tra l’altro – che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, viepiù in considerazione della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni dell’appellante.
6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.O.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.
Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.
7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10 e 13 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.
Deduce che ha errato la corte di merito a reputare inattendibili le sue lineari, coerenti e plausibili dichiarazioni e a non avvalersi dei poteri istruttori di cooperazione officiosa, onde acquisire informazioni aggiornate sulla situazione sociopolitica esistente in (OMISSIS) ed assumere in tal guisa riscontri esterni a conferma delle sue affermazioni.
8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c).
Deduce che la corte distrettuale non ha valutato la sussistenza della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
Deduce in particolare che nella regione (OMISSIS) del (OMISSIS) si trascinano gli effetti un conflitto trentennale di matrice indipendentista.
9. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 28 del 2008, art. 32, comma 3.
Deduce che ha errato la corte territoriale a negare la protezione umanitaria.
Deduce in particolare che la condizione di estrema povertà e la situazione di generale insicurezza in cui versa il suo paese d’origine, lo porrebbero in una situazione di elevata vulnerabilità, qualora fosse rimpatriato.
10. Con il quarto motivo (erroneamente indicato con il n. 3) il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 28 del 2008, art. 32, comma 3; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa motivazione, la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4.
Deduce che la motivazione dell’impugnata sentenza è meramente apparente sia nella parte in cui reputa inattendibili le sue dichiarazioni sia nella parte in cui nega la protezione umanitaria.
11. I rilievi postulati dalla delibazione dei motivi di ricorso tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea dei mezzi tutti di impugnazione, che comunque sono destituiti di fondamento e vanno respinti.
12. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).
13. Su tale scorta si rappresenta quanto segue.
Il giudizio di appello ha avuto inizio nel corso del 2017.
Il secondo dictum ha integralmente confermato il primo dictum.
Conseguentemente si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – previsione alla cui stregua, appunto, le doglianze concernenti la valutazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente sostanzialmente si qualificano – la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860; cfr. altresì Cass. 22.12.2016, n. 26774).
14. In ogni caso si rappresenta ulteriormente quanto segue.
E’ da escludere recisamente – nel solco, appunto, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte bolognese ha ancorato il riscontro di inattendibilità delle dichiarazioni dell’appellante.
In particolare, con riferimento al presunto vizio, veicolato dal quarto motivo, di motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte emiliana ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.
Ossia ha precisato che le dichiarazioni dell’appellante erano generiche, lacunose, per nulla circostanziate pur in ordine all’evento cardine della narrazione.
15. Si tenga conto che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare – tendenzialmente – tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).
Su tale scorta del tutto legittimo è il mancato esercizio, da parte della corte d’appello, dei poteri istruttori officiosi, del tutto legittimo è il disconoscimento della protezione, segnatamente, sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b) (cui è riferimento nella rubrica del secondo motivo).
16. Va debitamente rimarcato che l’impugnata statuizione non contiene alcun riferimento specificamente alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c) oggetto del secondo motivo di ricorso.
E ciò quantunque nei passaggi iniziali della statuizione d’appello si legga, in verità, che il tribunale, in prime cure, si era “occupato” della “sussidiaria” ex lett. c), all’uopo denegandola (cfr sentenza d’appello, pag. 3).
17. In questi termini inevitabile è il riferimento all’insegnamento di questa Corte secondo cui, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto (è il caso della “sussidiaria” ex lett. c): cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064) – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di “autosufficienza” del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (cfr. Cass. (ord.) 13.12.2019, n. 32804).
Ovviamente il ricorrente ha poi, a rigore, l’onere di denunciare una omissione di pronuncia non già – come nella specie – un error in iudicando.
18. In dipendenza del mancato assolvimento degli oneri suindicati e dunque della novità della surriferita quaestio esplica valenza l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. 25.10.2017, n. 25319; Cass. 13.9.2007, n. 19164).
19. In ordine all’invocata protezione umanitaria questa Corte spiega senza dubbio che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).
20. E però non può non darsi atto che la corte distrettuale ha specificato che l’appellante non aveva fornito descrizione di alcun elemento utile perchè potesse ritenersi che, qualora rimpatriato, si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità; che segnatamente l’appellante non aveva offerto alcun elemento idoneo a comprovare l’attività svolta in Italia, sicchè risultava preclusa la stessa possibilità di una valutazione comparativa.
In questi termini si rimarca quanto segue.
Da in canto, del tutto ingiustificata è la denuncia di motivazione “apparente” veicolata dal quarto motivo pur con riferimento alla protezione umanitaria, siccome, evidentemente, la corte territoriale ha anche in parte qua enunciato il proprio iter argomentativo.
D’altro canto, è innegabile che specificamente le ragioni di censura veicolate dal terzo motivo di ricorso non si correlano puntualmente alla ratio decidendi in parte qua dell’impugnato dictum.
21. A nulla vale, da ultimo, far leva, ai fini della “umanitaria”, sulla situazione di generale insicurezza in cui versa il suo paese d’origine, situazione suscettibile di acquisire rilievo, semmai, ai fini della sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).
Questa Corte spiega che, allo scopo del riconoscimento della protezione umanitaria, è necessario che chi invochi tale forma di tutela, alleghi in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione cosiddetta “maggiore” (cfr. Cass. (ord.) 7.8.2019, n. 21123; Cass. (ord.) 31.3.2020, n. 7622, secondo cui le domande di protezione internazionale, di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria si fondano su differenti “causae petendi”, così che è onere del richiedente allegare fatti specifici e diversi a seconda della forma di protezione invocata).
Nè rileva tout court la situazione di povertà in cui versa il (OMISSIS).
22. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
23. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, D.O., a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021