Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9508 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. II, 09/04/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 09/04/2021), n.9508

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio (da remoto) – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello (da remoto) – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27039/2019 proposto da:

A.V., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANDREA MAESTRI, ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio del primo, in

RAVENNA, VIA MEUCCI 7;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 sono

domiciliati;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2296/2019 della CORTE d’APPELLO di BOLOGNA,

pubblicata in data 6/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.V. proponeva appello avverso l’ordinanza del 19.4.2018 con la quale il Tribunale di Bologna aveva rigettato il ricorso avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.

All’udienza del 20.6.2017, il ricorrente aveva riferito di essere cittadino (OMISSIS); di essere figlio della seconda moglie del padre e che alla morte di quest’ultimo vi erano state discussioni tra le due mogli e i rispettivi figli, in quanto la madre dell’istante e le di lui sorelle erano state escluse dall’eredità; che la famiglia della prima moglie aveva fatto un rito voodoo contro la madre del richiedente, causandole un infarto, in seguito al quale era stata ricoverata in ospedale; che egli partiva per la Libia per sfuggire ai riti contro la propria famiglia e per cercare un lavoro che gli consentisse di curare la madre.

Con sentenza n. 2296/2019, depositata in data 6.8.2019, la Corte d’Appello di Bologna rigettava l’appello, condividendo la valutazione di inattendibilità della narrazione già espressa dal Tribunale, tenuto conto della genericità e contraddittorietà della stessa. Essendo la credibilità delle dichiarazioni indefettibile presupposto comune a tutte le forme di protezione, ne conseguiva che il difetto di credibilità, accertato dal Tribunale con motivazione non adeguatamente censurata, era motivo assorbente e comportava il rigetto dell’appello. Ne conseguiva l’impossibilità di ritenere sussistente e fondato il timore espresso dal ricorrente di subire persecuzioni in caso di rimpatrio o di essere esposto a un danno grave, risultando indimostrati i presupposti richiesti dalla legge per il riconoscimento della protezione internazionale e di quella sussidiaria nelle accezioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art. 14, lett. a) e b); quanto alla situazione socio politica della regione di provenienza ((OMISSIS)), rilevante ai fini della protezione sussidiaria di cui alla lett. c) della suddetta disposizione, dalle fonti internazionali risultava che in essa non fosse sussistente una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato. Nè veniva accolta la domanda di concessione della protezione umanitaria in quanto il ricorrente, che era giovane, non in cattiva salute, con capacità lavorativa che gli aveva consentito di lavorare come commesso in un negozio di alimentari nel proprio Paese, non presentava profili di vulnerabilità per cui potesse dirsi che, in caso di rimpatrio, si sarebbe trovato ad affrontare condizioni di vita inadeguate.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione A.V. sulla base di due motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9”, giacchè la Corte distrettuale, basandosi esclusivamente sul giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni, aveva eluso il proprio obbligo di cooperazione istruttoria officiosa; con contestuale vizio di motivazione in ordine alla mancata considerazione della credibilità delle dichiarazioni del ricorrente e l’omessa attivazione dei doveri informativi officiosi, là dove il ricorrente sottolineava di aver provveduto a fornire all’autorità amministrativa e al Tribunale ogni elemento utile in suo possesso e che le dichiarazioni rese erano attendibili, precise e concordanti.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito (peraltro in termini generali) che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

1.3. – Va inoltre rilevato che la valutazione, in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.). Laddove, giova altresì rilevare che il dovere di cooperazione istruttoria, attenuante del principio dispositivo, e che consiste nel dovere (e non facoltà) del giudice di attivarsi per acquisire “informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove, occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 cit.), non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile. In difetti di tale attendibilità, non sorge quel dovere, poichè l’una è condizione dell’altro (Cass., n. 3340/2019; Cass., n. 16925/2018). Nella specie, non soltanto il giudice di merito ha ritenuto, con apprezzamento di fatto ad esso riservato, che la narrazione della.

1.4. – Ciò posto, questa Corte rileva come parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda, ora, una nuova valutazione del giudizio di credibilità del richiedente (apodittica e disancorata rispetto alla singola fattispecie esaminata), proponendo censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che (come detto) possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nè è possibile pretendere l’attivazione dei poteri istruttori officiosi del tribunale per l’acquisizione di ulteriori informazioni sulla situazione sociopolitica della Nigeria, in presenza di una valutazione giudiziale negativa della credibilità del richiedente, valutazione quest’ultima che rende superflua ogni ulteriore approfondimento istruttorio in ordine al reclamato status di rifugiato.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'”Omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5) in riferimento ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”, osservando che il difetto di credibilità in ordine alla protezione internazionale non esclude che debba adeguatamente motivarsi in ordine alla protezione umanitaria (Cass. n. 5085/2018).

2.1. – Il motivo non è ammissibile.

2.2. – Nella fattispecie, i giudici del merito non avrebbero svolto alcuna indagine sulle diverse condizioni poste a base della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non potendo il rigetto di tale ultima forma di protezione essere frutto di un automatismo conseguente al rigetto delle due principali.

Il mezzo prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo, in riferimento al riconoscimento della protezione umanitaria, nell’assunto che questa non possa essere negata per difetto di credibilità del ricorrente, dovendosi comunque verificare l’esistenza di profili di vulnerabilità, anche alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni di vita in Italia e nel Paese di origine.

2.3. – La censura è dunque inammissibile perchè generica, avendo il tribunale motivato il diniego della protezione umanitaria sull’assenza di “alcuna condizione seria e grave di vulnerabilità”, trattandosi di un giovane senza problemi di salute, che ha i propri familiari in (OMISSIS) e in Italia ha semplicemente frequentato alcuni corsi (senza aver ancora imparato la lingua italiana) e lavorato per soli due mesi.

Pertanto, la motivazione del Tribunale risulta in linea con la giurisprudenza di questa Corte che, ai fini della protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass., sez. un., n. 29459 del 2019) – richiede “il riscontro di “seri motivi” diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. n. 23778 del 2019; Cass. n. 1040 del 2020), escludendo che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari possa essere riconosciuto solo in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza, ovvero considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass., sez. un., n. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455 del 8018, Cass. 630 del 2020).

Nè, d’altra parte, considerare insufficiente l’attuale percorso posto in essere dal ricorrente (conoscenza della lingua italiana, corsi di formazione e di volontariato; attività lavorative) svilisce gli sforzi compiuti per costruirsi un futuro in un Paese straniero; laddove un eventuale rimpatrio farebbe precipitare il ricorrente in una condizione di estrema vulnerabilità idonea a compromettere l’esercizio dei diritti fondamentali.

3. – Pertanto l’ricorso è inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno poichè il controricorso non possiede i requisiti previsti dall’art. 370 c.p.c. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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