Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9506 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 22/05/2020), n.9506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34815-2018 proposto da:

A.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato VITO BRANCA;

– ricorrente –

contro

AGINZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE

(OMISSIS), in persona dei Direttori pro tempore, elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1655/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di SIRACUSA, depositata

il 16/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. D’AQUINO

FILIPPO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La contribuente ha impugnato un avviso di accertamento relativo a redditi dell’anno di imposta 2009 per mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, derivanti dall’esercizio della professione di farmacista in forma di impresa familiare, unitamente al fratello della contribuente, chiedendo che il reddito fosse imputato tra i due rispettivi partecipanti dell’impresa familiare;

la CTP di Siracusa ha rigettato il ricorso e la CTR della Sicilia, Sezione Staccata di Siracusa, con sentenza in data 16 aprile 2018, ha rigettato l’appello, evidenziando che la questione attiene alla ripartizione degli utili di una impresa familiare, per la cui ripartizione tra i partecipanti occorre l’indicazione nominativa dei familiari, delle quote attribuite ai singoli familiari, nonchè l’attestazione nella dichiarazione annuale di ciascun partecipante che ha lavorato per l’impresa familiare;

propone ricorso per cassazione parte contribuente, ulteriormente illustrato da memoria, affidato a un unico motivo, cui resiste con controricorso l’Ufficio intimato;

la proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, comma 4, (TUIR) e dell’art. 230-bis c.c., avendo la sentenza di appello omesso di verificare la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 5 cit., avendo il ricorrente allegato nei precedenti gradi di merito l’indicazione nominativa dei familiari partecipanti all’impresa familiare, l’indicazione delle quote attribuite ai singoli familiari e l’attestazione di ciascun partecipante all’ente in questione di avere lavorato per l’impresa familiare, impresa con la quale collabora il terzo collaboratore I.A., fratello della ricorrente;

in particolare, lamenta la ricorrente come fosse documentalmente provata l’indicazione nominativa dei familiari partecipanti all’impresa familiare, l’indicazione delle quote attribuite ai singoli familiari, nonchè l’attestazione di ciascun partecipante all’ente di aver lavorato per l’impresa familiare; elementi in ordine ai quali la CTR avrebbe omesso ogni valutazione;

le censure, avuto riguardo quanto dedotto in memoria dalla contribuente, risultano inammissibili sotto molteplici profili;

in primo luogo, esse si risolvono in argomenti di fatto, la cui valutazione compete al giudice del merito, valutazione che non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile alla fattispecie perchè la sentenza gravata è stata depositata dopo l’11 settembre 2012 – risultante dalla modifica cui al D.L. 22 giugno 2012 n. 83;

le doglianze sono, altresì, inammissibili con riguardo alla documentazione indicata nel ricorso in cassazione (e ad essa allegata) – scrittura privata del 19.04.2004, processo verbale di constatazione del 6.7.2011 – non avendo la ricorrente in alcun modo dimostrato di avere già prodotto la menzionata documentazione innanzi ai giudici di merito;

il motivo è, in ogni caso, infondato nel merito, posto che la sentenza impugnata si è uniformata al costante orientamento di questa Corte, secondo cui in tema di imposte sui redditi, i proventi derivanti dall’esercizio di un’impresa familiare vanno imputati ai singoli partecipanti a condizione che sussistano i presupposti giuridici indicato dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 4, per la qualifica di questi ultimi come collaboratori familiari, ossia l’indicazione nominativa dei familiari partecipanti all’attività di impresa, le quote loro attribuite nonchè l’attestazione, nella dichiarazione annuale di ciascuno dei partecipanti, di aver lavorato per l’impresa familiare (Cass., Sez. VI, 28 marzo 2017, n. 7995; Cass., Sez. V, 31 gennaio 2017, n. 2472, Cass., Sez. V, 17 novembre 2010, n. 23170);

avendo pacificamente la contribuente omesso di presentare la dichiarazione dei redditi per l’anno 2009, non è possibile fare applicazione dell’imputazione tra i partecipanti dell’impresa familiare, benchè indicati, mancando in tesi (stante la mancanza della dichiarazione dei redditi) l’indicazione imposta dall’art. 5, comma 4, lett. c) “che ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione dei redditi, di aver prestato la sua attività dell’impresa di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente”;

la produzione di documentazione effettuata dalla ricorrente per la prima volta in questa sede va dichiarata, in ogni caso, inammissibile atteso che nel giudizio di legittimità è preclusa la possibilità di allegare nuovi documenti diretti a corroborare le censure prospettate nel ricorso poichè, in tal modo, si verrebbe a violare la disciplina di cui all’art. 372 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 10819);

il ricorso va respinto, con spese regolate dal principio della soccombenza; sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sesta Sezione, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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