Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9500 del 21/04/2010

Cassazione civile sez. II, 21/04/2010, (ud. 15/10/2009, dep. 21/04/2010), n.9500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CONDOMINIO VIA DELLA (OMISSIS) (OMISSIS), in persona

dell’Amministratore pro tempore G.M., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI 18, presso lo studio

dell’avvocato DI LELIO BARBARA, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROSSI FRANCO;

– ricorrente –

contro

SOGEF SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COLA DI RIENZO 52, presso lo studio dell’avvocato SAVINI EMANITELA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GASBARRI CESARE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3333/2003 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/07/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/10/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato MANGANO Paola, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato ROSSI Franco, difensore del ricorrente che ha chiesto

accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – La SO.GEF s.r.l. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Viterbo il Condominio di Via (OMISSIS), e, premesso di essere proprietaria di locali ad uso commerciale per accedere ai quali usufruiva di diritto di servitù di passaggio sulla strada privata che parte dalla predetta Via (OMISSIS), sulla quale godeva della medesima servitù il condominio convenuto, e che quest’ultimo aveva apposto all’inizio della strada una sbarra comandata elettronicamente limitando gravemente, in violazione del disposto dell’art. 1067 cod. civ., il diritto di passaggio in considerazione dell’utilizzo commerciale che l’attrice faceva degli immobili al cui. servizio era posta la servitù, chiese al Tribunale di ordinare la rimozione della sbarra e il trasferimento della stessa all’ingresso del corridoio del vano garages di pertinenza del condominio in modo da lasciare libera la strada di accesso ai locali commerciali di proprietà dell’attrice.

Il Condominio convenuto si costituì negando l’esistenza della servitù a favore dell’attrice e chiedendo dichiararsi il suo difetto di legittimazione attiva. Quindi spiegò in via riconvenzionale l’azione negatoria servitutis chiedendo in via subordinata che venisse inibito all’attrice l’uso della strada privata quale uscita di sicurezza per i locali in quanto aggravante la supposta servitù.

Con sentenza in data 7 marzo 2001, il Tribunale adito dichiarò che l’attrice era titolare della invocata servitù, ordinando al Condominio convenuto la rimozione della sbarra e la sua eventuale apposizione all’ingresso del corridoio del vano garages di pertinenza condominiale in modo da lasciare libera la strada di accesso ai locali della SO.GEF. destinati ad attività commerciale.

Avverso detta sentenza propose appello il Condominio, deducendone la erroneità nella parte in cui aveva posto a fondamento della propria decisione la circostanza che la strada privata di cui si trattava fosse l’unica via di accesso ai locali commerciali della SO.GEF. e sostenendo che l’apposizione della sbarra aveva la funzione di salvaguardare la proprietà dei condomini, mentre lo spostamento della stessa avrebbe consentito a terzi di parcheggiare lungo la rampa, rendendo difficoltoso l’accesso ai garages.

2. – Con sentenza depositata l’11 luglio 2003, la Corte d’appello di Roma respinse il gravame. Premesso che il Condominio appellante non aveva impugnato il capo della sentenza che aveva accertato la sussistenza della servitù di passaggio sulla strada privata a favore della s.r.l. SO.GEF, e che oggetto del contendere non poteva che essere la eliminazione della sbarra, rilevò il giudice di secondo grado che dalle carte processuali era emerso che il diritto di passaggio previsto a favore della SO.GEF. era della massima ampiezza possibile, e che, avuto riguardo all’uso commerciale che quest’ultima faceva dei locali di sua proprietà, l’apposizione della sbarra, indipendentemente dalla circostanza della esistenza o meno di altra possibilità di passaggio, limitava gravemente la possibilità di godimento da parte della stessa SO.GEF. della servitù di cui era titolare. Correttamente, dunque, il primo giudice aveva ordinato la rimozione della sbarra.

Quanto alla domanda di inibizione dell’uso della strada privata come uscita di sicurezza, spiegata in via riconvenzionale in primo grado, e reiterata con il gravame, la Corte capitolina osservò che la richiamata ampiezza del diritto di servitù di cui godeva la società le consentiva qualsiasi legittimo uso del passaggio, ivi compreso quello di adibirla ad uscita di sicurezza, la quale, tra l’altro, proprio per il suo carattere, avrebbe avuto un utilizzo saltuario e non avrebbe aggravato in alcun modo la servitù.

3. – Per la cassazione di tale sentenza, ricorre il Condominio di Via della (OMISSIS), sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la So.GEF. s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo del ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Si lamenta la obliterazione da parte della Corte di merito delle doglianze avanzate con il gravame dal Condominio attuale ricorrente, ad avviso del quale la decisione di primo grado aveva, per un verso, ignorato la propria domanda riconvenzionale, per l’altro si era fondata esclusivamente su di una errata interpretazione delle risultanze della istruttoria, ed, in particolare, della c.t.u. argomentando in ordine all’accoglimento della richiesta della società attrice sulla base della sola circostanza, che sarebbe stata contraria al vero, che la SO.GEF. non disponesse di altro ingresso ai locali, e che quindi si rivelasse troppo penalizzante per la stessa la chiusura con la sbarra, attesa la utilizzazione commerciale dei locali. Il mezzo di gravame sarebbe stato totalmente ignorato, mentre la motivazione della sentenza di appello si sarebbe sostanziata nell’unico rilievo secondo il quale il diritto di passaggio così come costituito in capo all’attrice sarebbe di tale ampiezza da non consentire al proprietario di chiudere il proprio fondo.

2.1. – La censura è immeritevole di accoglimento.

2.2. – Il Condominio aveva spiegato, in via riconvenzionale, l’azione negatoria servitutis, ed aveva, poi, sempre in via riconvenzionale, chiesto, in subordine, che venisse dichiarato che la utilizzazione del passaggio come uscita di sicurezza costituiva aggravamento del modo di esercizio della servitù de qua, inibendola perchè illegittimo. Al riguardo, non è esatto che a tale domanda la Corte di merito non abbia fornito risposta, posto che essa ha, invece, osservato, quanto alla prima domanda, che il Condominio appellante non aveva impugnato il capo della sentenza che aveva accertato la sussistenza della servitù di passaggio sulla strada privata a favore della s.r.l. SO.GEF.; e, quanto alla seconda, ha rilevato che la particolare ampiezza del diritto di servitù di cui godeva la società SO.GEF. le consentiva qualsiasi legittimo uso del passaggio, ivi compreso quello di adibirla ad uscita di sicurezza, aggiungendo che quest’ultima, proprio per il suo carattere, avrebbe avuto un utilizzo saltuario e non avrebbe aggravato in alcun modo la servitù.

Le suesposte considerazioni valgono ad escludere il fondamento della doglianza relativa alla pretesa pretermissione da parte del giudice di secondo grado delle domande riconvenzionali proposte dal Condominio.

2.3. – Quanto alla ulteriore articolazione del motivo di ricorso, attinente alla insufficiente motivazione della sentenza di appello, che si sarebbe fondata sulla sola considerazione della particolare ampiezza del diritto di passaggio in capo alla SO.GEF., deve parimenti affermarsene la infondatezza, alla stregua della considerazione che il secondo giudice ha sottolineato che tale ampiezza risultava dai vari atti pubblici che interessavano la servitù medesima: pertanto, la decisione trova, nella parte qui in esame, una base argomentativa congrua e logica.

3. – Con la seconda censura si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1067 cod. civ., che preclude al proprietario del fondo servente la possibilità di effettuare innovazioni che aggravino o diminuiscano la servitù, nonchè dell’art. 841 cod. civ., che consente al proprietario del fondo di chiuderlo in qualsiasi momento, e dell’art. 1064 cod. civ., che impone allo stesso, in caso di recinzione del fondo, di lasciare libero e comodo ingresso al titolare di servitù. Con la già richiamata affermazione secondo la quale la clausola con cui fu costituita la servitù di cui si tratta sarebbe di tale ampiezza da non consentire al proprietario di apporre la sbarra, la Corte capitolina avrebbe di fatto vanificato il diritto di cui all’invocato art. 841 cod. civ., in quanto nella specie l’esistenza della servitù precluderebbe la possibilità di chiudere il fondo, pur se con un dispositivo che consentirebbe a tutti gli aventi diritto di utilizzare il passaggio senza alcuna difficoltà, in ossequio al disposto dell’art. 1064 cod. civ., e senza arrecare al titolare del diritto di servitù alcuna diminuzione della utilitas conseguibile dall’area, che rimarrebbe accessibile pur con l’apposizione della sbarra. La Corte di merito avrebbe inoltre applicato in modo erroneo anche l’art. 1065 cod. civ., il quale vieta al titolare di una servitù di rendere più gravoso per il fondo servente l’esercizio del proprio diritto, stabilendo che egli ha diritto di usufruirne nei limiti del titolo e del possesso. Orbene, la sentenza impugnata, nell’esaminare la domanda riconvenzionale del Condominio, si sarebbe limitata ad affermare che non sussisteva alcun aggravamento a carico del fondo servente a seguito della utilizzazione dell’ingresso all’immobile di proprietà della SO.GEF. come uscita di sicurezza, ponendo sempre a base del proprio convincimento il contenuto, ritenuto amplissimo, della servitù come a suo tempo costituita. Tale affermazione integrerebbe gli estremi della violazione della norma invocata, poichè, attraverso la pretesa di una tale utilizzazione, la SO.GEF. impedirebbe l’apposizione di una semplice sbarra, la quale, oltre ad essere agevolmente apribile, consentirebbe un comodo accesso anche ad utenti di attività commerciali eventualmente intraprese nei locali della stessa SO.GEF., per la esistenza di un’apertura laterale costituita da un comodo corridoio per il passaggio pedonale. In definitiva, la utilizzazione come uscita di sicurezza e la conseguente pretesa di impedire l’apposizione della sbarra configurerebbero una intollerabile riduzione per il Condominio della possibilità di uso della sua proprietà, avendo, tra l’altro, solo i condomini diritto di parcheggio sulla rampa: diritto, codesto, il cui esercizio sarebbe totalmente precluso proprio in assenza della sbarra, essendo la rampa sistematicamente occupata da vetture di soggetti estranei al condominio. Si aggraverebbe, in tal modo, la servitù rispetto a ciò che il titolo avrebbe consentito e consentirebbe.

4.1. – La doglianza non può trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità.

4.2. – Essa, al di là della formale prospettazione della violazione di una serie di disposizioni codicistiche, si pone, in realtà, l’obiettivo di porre in discussione la interpretazione delle risultanze processuali quale emersa nel giudizio di merito. Ed infatti, attraverso il denunciato vulnus agli artt. 841, 1064, 1065, 1067 cod. civ., che si sarebbe perpetrato con il precludere al Condominio la possibilità di godere delle facoltà inerenti alla proprietà del fondo, chiudendolo, pur se con un dispositivo (la sbarra) che consenta agli aventi diritto di utilizzare il passaggio senza difficoltà, e che si sarebbe altresì sostanziato nell’aggravamento della servitù rispetto a quanto consentito dal titolo, si intende sostanzialmente revocare in dubbio la interpretazione che del contenuto e della portata del titolo medesimo è stata offerta nel giudizio di merito.

Orbene, la illustrata finalità cui è teso il motivo di ricorso in esame risulta inibita nella specie, in presenza di una compiuta, anche se stringata, ricostruzione dell’iter argomentativo – di cui si è dianzi dato conto – che ha condotto al proprio convincimento il giudice di secondo grado. Il quale, per un verso, ha fatto esplicito riferimento, condividendola, alla accurata disamina, da parte del Tribunale, dai “vari atti pubblici interessanti la servitù in esame”, inferendone la latitudine del diritto sussistente in capo alla SO.GEF., e la conseguente possibilità di adibire legittimamente il passaggio ad uscita di sicurezza, e, per l’altro, ha richiamato l’uso commerciale dei locali di proprietà della stessa società, in relazione al quale ha ragionevolmente opinato che l’apposizione della sbarra per cui è causa limita in misura elevata la possibilità di godimento della servitù di cui la SO.GEF. è titolare.

5. -Il ricorso deve, conclusivamente, essere rigettato. Le spese del giudizio – che si liquidano come da dispositivo – seguono la soccombenza, e devono, quindi, essere poste a carico del ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1700,00, di cui Euro 1500,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2010

 

 

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