Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 95 del 04/01/2011

Cassazione civile sez. II, 04/01/2011, (ud. 13/05/2010, dep. 04/01/2011), n.95

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.F. (OMISSIS), A.D.

(OMISSIS), A.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato MANZI LUIGI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato RUGGIERI PIETRO;

– ricorrenti –

contro

OPERA DIOCESANA PRESERVAZIONE FEDE in persona del legale

rappresentante pro tempore P.IVA (OMISSIS);

– intimato –

e sul ricorso n. 10232 del 2005 proposto da:

OPERA DIOCESANA PRESERVAZIONE FEDE P.IVA (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA P.L. DA PALESTRINA 47, presso lo studio

dell’avvocato GEREMIA RINALDO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VALLOSIO NICO;

-controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

A.F. (OMISSIS), A.D.

(OMISSIS), A.M. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1348/2004 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato Emanuele COGLITORE, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MANZI Luigi, e RUGGIERI Pietro, difensori dei

ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale ed il

rigetto del resto;

udito l’Avvocato Vincenzo SABIA, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato GEREMIA Rinaldo, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento delle

proprie difese depositate;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale ed il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 30 dicembre 1991, D. V.M.L., premesso di aver donato all’Opera Diocesana per la Preservazione della Fede, con offerta in data (OMISSIS), la cui accettazione, sempre per atto pubblico in forma solenne, le era pervenuta il 10 settembre 1985, un complesso immobiliare sito nel Comune di (OMISSIS), e che nell’atto era stato previsto che l’ente donatario destinasse stabilmente i beni donati alla Pax Christi Italiana, chiese che il Tribunale di Bologna dichiarasse la nullita’ del contratto sia per mancanza della causa tipica (non sussistendo l’arricchimento, assorbito dal vincolo posto a favore della Pax Christi), sia per illiceita’ del motivo – ai sensi dell’art. 788 cod. civ. – , derivante dal citato vincolo, equivalente ad un divieto di alienazione ex art. 1379 cod. civ. In subordine, richiese la risoluzione del contratto per inadempimento dell’onere, per non essere stato il bene destinato alle attivita’ della Pax Christi.

2. – Con sentenza depositata il 12 luglio 2000, il Tribunale di Bologna -dopo che, nel corso del giudizio, la donante era deceduta e le erano succeduti gli eredi F., M. e A.D. – rigetto’ le domande, ritenendo accertato che il negozio fosse qualificabile come contratto di donazione modale, e che la destinazione del bene non equivalesse a un divieto di alienazione.

Avverso tale decisione proposero appello i predetti eredi della D. V.M., cui resistette l’ente appellato.

3. – Con sentenza depositata il 16 novembre 2004, la Corte d’appello di Bologna rigetto’ il gravame.

Con riguardo al primo motivo di esso, con il quale gli appellanti deducevano la nullita’ del contratto di donazione ai sensi dell’art. 788 cod. civ., per illiceita’ del motivo, derivante dall’apposizione di un onere consistente nella imposizione di un vincolo di destinazione concretante una sostanziale violazione del principio, contenuto nell’art. 1379 cod. civ., che vieta di stabilire un divieto di alienare per un periodo non contenuto entro adeguati limiti cronologici, e senza che il divieto stesso corrisponda ad un apprezzabile interesse di una delle parti, la Corte di merito osservo’ che la donante, ispirata da profonde motivazioni religiose, aveva un apprezzabile interesse che il bene donato fosse posto a disposizione della Pax Christi, come anche la Opera Diocesana, dato il rapporto di osmosi esistente tra le due associazioni. Quanto alla durata della destinazione del bene alle esigenze della Pax Christi, secondo la Corte felsinea il carattere duraturo, e sostanzialmente privo di termine finale, impresso al vincolo in questione induceva a ravvisare nello stesso una limitazione del diritto di proprieta’ altrettanto incisiva dell’ordinario divieto di alienazione di cui all’art. 1379 cod. civ.: donde la nullita’ della pattuizione, rilevata, peraltro, solo incidenter tantum, attenendo l’oggetto della domanda alla nullita’ dell’intero contratto.

Quanto alla questione se la nullita’ della pattuizione si estendesse all’intera donazione, per effetto delle disposizioni contenute negli artt. 788 e 1419 cod. civ., rilevo’ la Corte che il richiamo degli appellanti alle predette disposizioni codicistiche non era condivisibile, vigendo in tema di donazione modale – qualificazione pacificamente riconosciuta al contratto in esame – una disposizione specifica, contenuta nell’art. 794 cod. civ. secondo cui l’onere illecito si considera non apposto, ma rende nulla la donazione se ne ha costituito il solo motivo determinante, comune alle parti.

Nella specie, la Corte ritenne che non ricorressero i presupposti per la declaratoria di nullita’ dell’intero contratto. Osservo’ al riguardo che non poteva escludersi nella specie che, almeno fino a quando le esigenze della Pax Christi non avessero richiesto la disponibilita’ in capo a quest’ultima dell’intero stabile donato, residuasse in capo alla donataria, proprietaria del bene, la facolta’ di utilizzarlo per le proprie esigenze. E dunque alla identita’ di fini di natura religiosa tra la donataria e la Pax Christi si associava un interesse di natura patrimoniale alla donazione proprio nei confronti dell’Opera Diocesana. La sproporzione, per eccesso, del peso economico e giuridico della donazione in favore dell’Opera Diocesana rispetto all’onere in esame escludeva che a quest’ultimo potesse attribuirsi quella incidenza richiesta dall’art. 794 cod. civ..

In definitiva, secondo la Corte territoriale, l’onere in esame, pur ponendo in essere una limitazione alla disponibilita’ del bene oggetto di donazione, aveva svolto una funzione accessoria rispetto alla volonta’ di beneficiare l’onerato con la diretta attribuzione in suo favore del medesimo bene.

Quanto alla deduzione della nullita’ del contratto per insussistenza della causa, in quanto il carattere preponderante dell’onere, e cioe’ la privazione per l’Opera Diocesana del potere di disporre del bene, avrebbe fatto venir totalmente meno quell’attribuzione a titolo di liberalita’ che costituisce la causa tipica della donazione, e che, in subordine, ci si trovasse in presenza di un contratto sinallagmatico, con la conseguenza che l’inadempimento avrebbe comportato la risoluzione del contratto, la Corte felsinea osservo’ che l’esame del tenore del contratto induceva ad affermare che fosse stato posto in essere un negozio di liberalita’, sia pure limitato, negli effetti, dall’apposizione del citato onere. Infatti, nessuna utilita’ era derivata alla D.V.M. in contrapposizione all’arricchimento dell’Opera Diocesana, mentre l’onere disposto costituiva un aspetto accessorio del negozio, e non assolveva la funzione di corrispettivo nei confronti della dante causa degli appellanti, che, quindi, aveva agito animata esclusivamente da spirito di liberalita’.

D’altra parte, l’acquisto del diritto di proprieta’ da parte dell’ente appellato, sia pure con le limitazioni sopra indicate, non consentiva di affermare che non ci fosse stata attribuzione in favore della donataria.

4. – Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso F., D. e A.M. sulla base di un unico, complesso motivo. Ha resistito con controricorso l’Opera Diocesana per la Preservazione della Fede, che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato. Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Deve, preliminarmente, procedersi alla riunione, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., del ricorso principale e di quello incidentale, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza.

2. – L’unico motivo del ricorso principale si articola in un triplice ordine di censure, rubricate nel modo seguente:

Violazione e/o falsa ed erronea applicazione degli artt. 788 e 794 cod. civ., e di ogni altra norma o principio che regolano le conseguenze di una clausola contrattuale nulla nel contratto ed il motivo illecito che ha determinato il donante alla liberalita’ (art. 360 c.p.c., n. 3); violazione, erroneo e/o falsa interpretazione ed applicazione degli artt. 788, 794 e 1345 cod. civ., nonche’ dell’art. 793 cod. civ. e comunque delle norme e dei principi che regolano nel contratto di donazione l’onere illecito in correlazione al motivo illecito e la comune volonta’ dei contraenti; nonche’ degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. in tema di interpretazione della volonta’ dei contraenti e del complessivo contenuto del contratto (art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti.

La Corte di merito avrebbe fondato il proprio convincimento su di una interpretazione errata dell’art. 788 cod. civ., escludendone l’applicabilita’ nella specie, cosi’ come quella dell’art. 1419 cod. civ., che contiene il principio generale, in tema di contratti, cui si ricollega, per quanto concerne la donazione, l’art. 788 cod. civ..

I ricorrenti contestano l’affermazione della Corte secondo la quale il modo assumerebbe un carattere speciale, con conseguente esclusione della configurabilita’ della fattispecie di cui al richiamato art. 788 cod. civ..

Il motivo, riferibile alla donante, e l’onere, riferibile alla donataria, consisterebbero nello stesso fatto, esaminato da due posizioni speculari.

L’art. 788 – rilevano i ricorrenti – e’ norma parallela all’art. 626 cod. civ. in tema di disposizioni testamentarie: ma poiche’ la donazione e’ un contratto, essa, a differenza del testamento, e’ soggetta al disposto dell’art. 1345 cod. civ., che prevede l’illiceita’ del contratto in presenza di un motivo illecito comune ad entrambe le parti. Di cio’ la Corte avrebbe dovuto tenere conto, cosi’ come avrebbe dovuto considerare che il riferimento della determinazione del motivo alla figura del donante, previsto dall’art. 788 cod. civ., non conduce ad una classificazione del motivo illecito diversa da quella contemplata per i contratti in generale. Se, avuto riguardo alla peculiarita’ della donazione, la volonta’ del donante assume rilevanza giuridica determinante nel negozio, tuttavia, per la bilateralita’ del rapporto, e’ comunque presente anche la volonta’ del donatario. Sarebbe, dunque, illogico ritenere che la disposizione dell’art. 788 cod. civ. deroghi al disposto dell’art. 1345 cod. civ., che e’ norma di carattere generale, che disciplina tutti i contratti, ivi compresi quelli che presentino la gratuita’ della prestazione. In definitiva, il motivo illecito e l’onere illecito sarebbero fondati su principi analoghi: la differenziazione suggerita dalla Corte territoriale, che ha sottolineato, nel caso dell’onere, la necessita’ di una comune volonta’ delle parti, assente, a suo avviso, nel caso del motivo illecito previsto dall’art. 788 cod. civ., sarebbe errata.

L’onere illecito previsto, assieme all’onere impossibile, dall’art. 794 cod. civ. produce – osservano ancora i ricorrenti – le medesime conseguenze giuridiche del motivo illecito di cui all’art. 788 cod. civ., poiche’ esso rappresenta oggettivamente il motivo che ha indotto il donante a compiere l’atto di liberalita’: sicche’, anche a voler ritenere applicabile, nella specie, l’art. 794, anziche’ l’art. 788 cod. civ., le conseguenze non muterebbero, rappresentando l’onere imposto alla donataria il solo motivo che aveva indotto la donante all’atto di liberalita’. Per altro verso, la Corte avrebbe errato nel non considerare che l’onere imposto dalla donatrice aveva impedito alla donataria l’arricchimento patrimoniale che costituisce la finalita’ primaria dell’atto di liberalita’, riservandolo, invece, a Pax Christi, con il conferimento in uso stabile alla stessa del bene:

cio’ dimostrerebbe l’assorbente rilevanza del motivo nella costituzione dell’onere. Sul punto la Corte si sarebbe contraddetta nell’assegnare giusta rilevanza al vincolo di destinazione, agli effetti dell’art. 1379 cod. civ., sminuendola, poi, nel passaggio in cui ha affrontato il tema della natura dell’onere, con il ritenerne la funzione accessoria rispetto alla volonta’ della donante. Infatti, dopo aver ravvisato nel carattere duraturo, privo di qualsiasi termine finale, impresso al vincolo in esame, una limitazione del diritto di proprieta’ altrettanto incisiva dell’ordinario divieto di alienazione, essa, sulla base del rilievo che l’avverbio stabilmente, adottato nel contratto in riferimento alla destinazione dei beni donati alla Pax Christi, non equivarrebbe ad una destinazione in via esclusiva, aveva espresso il convincimento che non poteva escludersi che, quanto meno fino a quando le esigenze della beneficiaria non avessero richiesto la disponibilita’, in capo a quest’ultima, dell’intero stabile donato, residuasse in capo alla donataria la facolta’ di sfruttarlo, quanto meno, parzialmente, per le proprie esigenze.

Ancora, del tutto immotivatamente la Corte di merito avrebbe ritenuto che l’onere non escludesse la possibilita’ di iniziative comuni, nell’ambito dello sfruttamento del bene donato, fra Opera e Pax Christi, in contrasto con il contenuto dell’atto di donazione, che individuava l’utilizzo del complesso esclusivamente nello svolgimento delle attivita’ di pertinenza di Pax Christi. Sarebbe, inoltre, incoerente con il rilievo espresso nella decisione impugnata in merito al carattere durevole del vincolo di destinazione di cui si tratta l’affermazione del giudice di secondo grado in merito alla sproporzione per eccesso che, a suo dire, il peso economico e giuridico della donazione presenterebbe rispetto all’onere in esame, laddove il vincolo di destinazione avrebbe prodotto, in realta’, un azzeramento del valore patrimoniale del bene per la impossibilita’ di cederlo a terzi.

Infine, sarebbe censurabile l’affermazione della Corte secondo la quale la mancata previsione, nell’atto di donazione, della facolta’, a favore della donante, di risolvere il contratto per inadempimento dell’onere ex art. 793 cod. civ., qualora si versasse nell’ipotesi regolata dall’art. 788 cod. civ., renderebbe comunque il vincolo non determinante. Il giudice di secondo grado avrebbe, infatti, desunto da un comportamento della donante, che corrispondeva ad una soggettiva manifestazione di fiducia nei confronti dell’onerata, la valutazione della intensita’ di un vincolo che, invece, poggia su ragioni oggettive e di comparazione dell’interesse alla stipulazione dell’atto con quello alla imposizione dell’onere. L’affermazione della Corte sarebbe in contrasto con i principi dettati dagli artt. 788 e 793 cod. civ. e comunque illogica ed immotivata, in contrasto con le norme dettate in tema di interpretazione del contratto e di indagine della effettiva volonta’ delle parti e del complessivo contenuto della clausola. Sarebbe, del resto, erroneo desumere elementi per valutare l’intensita’ del vincolo dalla mancata previsione nel contratto della facolta’ del donante di agire per inadempimento, laddove questa e’ rivolta semplicemente a regolare la fase esecutiva del contratto, consentendone la risoluzione nel caso in cui l’onere risulti inadempiuto.

3.1. – La doglianza, nella sua complessa articolazione, risulta immeritevole di accoglimento.

Appare, anzitutto, necessaria una premessa: i ricorrenti hanno incentrato le proprie censure, come da essi stessi riconosciuto, sul primo punto della controversia sul quale si era pronunciata la Corte di merito, con esclusione dei punti residui – sui quali si e’ formato, ormai, il giudicato – aventi ad oggetto la natura stessa del contratto, dubitandosi della configurabilita’, nella specie, della causa della donazione, l’arricchimento, cioe’, del donatario per spirito di liberalita’.

3.2.- Sgomberato, quindi, il campo da ogni dubbio in ordine alla possibile incidenza dell’intento della donante di destinare i beni in questione alle attivita’ religiose, formative ed assistenziali della Pax Christi sulla stessa funzione dell’atto di arricchimento della donataria, non risulta nemmeno dirimente, nella presente sede, l’esame della questione, sollevata dai ricorrenti, relativa alla asserita applicabilita’, nella specie (in difformita’ da quanto sostenuto dalla Corte di merito), dell’art. 788, e, quindi, per un profilo piu’ generale, dell’art. 1419 cod. civ., con conseguente travolgimento dell’intero atto di donazione per effetto della illiceita’ dell’unico motivo determinante dello stesso, costituito dalla destinazione sine die dei beni donati al predetto scopo, in contrasto con il divieto di alienazione di cui all’art. 1379 cod. civ..

Infatti, come sottolineato dagli stessi ricorrenti, quand’anche si pervenisse alla conclusione, accolta nella sentenza impugnata, della applicabilita’, nella specie, trattandosi di donazione modale, della disciplina dettata dall’art. 794 cod. civ., il risultato pratico non cambierebbe, in quanto, per giungere alla caducazione dell’intero contratto occorrerebbe pur sempre giungere alla conclusione che l’onere imposto alla donataria abbia rappresentato il solo motivo determinante dell’atto di liberalita’.

3.3. – Al riguardo, risulta corretta, sul piano giuridico e su quello logico, la conclusione cui e’ pervenuta la Corte felsinea nell’escludere la nullita’ dell’intero contratto, attraverso una indagine, ad essa riservata – e che nella presente sede potrebbe essere rivisitata solo a condizione che si evidenziassero nel percorso argomentativo del giudice di secondo grado lacune logiche e motivazionali ovvero errori di diritto – , in ordine al carattere non determinante, ai fini della realizzazione del contratto, all’onere posto a carico del donatario.

La Corte di merito ha, infatti, lumeggiato, in particolare, la sproporzione, per eccesso, del peso economico e giuridico della liberalita’ rispetto all’onere, rilevando la sussistenza di un interesse di natura patrimoniale alla donazione nei confronti proprio dell’Opera Diocesana, la cui presenza nella vita culturale e religiosa del Paese – secondo il convincimento espresso dalla Corte di merito – poneva il contenuto dell’atto di liberalita’ al riparo da eventuali rischi circa la mancata crescita e la non sopravvivenza dell’allora neonata Pax Christi Italiana.

Del resto, la sentenza impugnata ha posto in rilievo la sinergia in cui operavano la donataria e la beneficiarla dell’onere, con la conseguenza che quest’ultimo non escludeva la possibilita’ di iniziative comuni quanto allo sfruttamento del bene in questione.

Infine, la valorizzazione semantica dell’avverbio stabilmente, che appare nell’atto con riferimento alla destinazione del bene, ha indotto la Corte di merito, attraverso la diversificazione del relativo concetto rispetto a quello di destinazione esclusiva, ad affermare plausibilmente la possibilita’ che, in attesa della effettiva utilizzazione del bene da parte della stessa Pax Christi, almeno parzialmente esso potesse essere utilizzato dalla donataria, che ne era comunque la effettiva proprietaria.

A fronte di una tale esauriente e corretta motivazione del convincimento della funzione accessoria svolta dall’onere di cui si tratta rispetto alla volonta’ di beneficiare l’Opera Diocesana con l’attribuzione ad essa del bene, la ulteriore argomentazione sulla quale si incentrano le critiche dei ricorrenti, relativa alla mancata previsione della facolta’ della donante di risolvere il contratto per inadempimento dell’onere, assume un carattere superfluo ed ultroneo.

4. – Resta assorbito dal rigetto del ricorso principale l’esame di quello incidentale, che risulta proposto in via condizionata.

5. – Conclusivamente, il ricorso principale deve essere rigettato, con assorbimento di quello incidentale. In considerazione della peculiarita’ della controversia e delle questioni in essa affrontate, le spese del presente giudizio devono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011

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