Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9497 del 09/04/2021
Cassazione civile sez. VI, 09/04/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 09/04/2021), n.9497
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12007-2020 proposto da:
H.W.W.U., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato MARTINO BENZONI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. R.G. 4291/2017 del TRIBUNALE di TRIESTE,
depositato il 30/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 12/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA
ALDO ANGELO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1.- H.W.W.U., proveniente dalla terra del Pakistan, ha presentato ricorso avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Gorizia, di diniego di riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria), come pure di quello di riconoscimento della protezione umanitaria.
Con provvedimento depositato in data 30 marzo 2020, il Tribunale di Trieste ha respinto il ricorso.
2.- Il decreto ha reputato non credibile, in particolare, la narrazione dei fatti esposta dal richiedente.
“La storia dell’importante politico che avrebbe ordinato di uccidere il W. facendolo passare per un pericoloso terrorista è, oltre che priva di un riscontro documentale, contraddistinta da un tessuto narrativo assolutamente esile e stentato”. La credibilità propria della persona di W. – si aggiunge – è “poi fatalmente compromessa dalla dichiarazione fornita agli inquirenti italiani dal cittadino pakistano M.A., nell’ambito di una indagine volta a identificare gli autori del pestaggio subito dal richiedente a Udine nel dicembre 2016, organizzato a detta del W. da uno zio della defunta moglie, residente in Arabia Saudita”: i messaggi vocali analizzati dagli investigatori, contenuti sul telefono esibito dal W. e collegati al profilo facebook del richiedente contengono sì delle espressioni altamente offensive, minacciose e di rivendicazione della paternità dell’aggressione perpetrata a Udine, ma al tempo stesso non recano cenno alcuno che consenta di affermare l’esistenza del collegamento (asserito dal W.) fra tale violenza e la vicenda personale narrata dal richiedente asilo”.
Per altro verso, la “furia omicida che nei familiari della giovane sarebbe insorta per effetto della fuga organizzata dai nubendi” appare una “reazione del tutto spropositata e incoerente rispetto al contesto ambientale”.
3.- “Tutto ciò impedisce” – ritiene il Tribunale – di “considerare veritiera, e dunque provata in tutti i suoi elementi, la storia allegata dal ricorrente W.”: l’inattendibilità della stessa non può essere “neutralizzata dalla documentazione versata in atti, in particolare dal certificato di morte (per causa violenta: murder) della moglie, nonchè di uno zio del W.”. “Si tratta”, del resto, “di documenti non legalizzati, della cui autenticità il Collegio ritiene di dovere dubitare”.
4.- Con riferimento specifico all’ipotesi di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, il Tribunale ha poi rilevato che “dai più recenti rapporti EASO (ottobre 2019) risulta in Punjab, sebbene permangano violenze legate ad attacchi di natura terroristica, la situazione negli ultimi anni registra un tendenziale miglioramento”.
5.- “Il mancato superamento del vaglio attendibilità di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, preclude la possibilità di apprezzare nel racconto effettuato dal richiedente W. la sussistenza dei presupposti della protezione umanitaria”.
6.- Avverso il decreto H.W.W.U. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su cinque motivi.
Non ha svolto difese l’intimato Ministero.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
7. Il ricorrente censura la decisione del Tribunale giuliano:
(i) col primo motivo, per omesso esame di fatto decisivo per l’esito del giudizio, come riguardante la “genuinità dei documenti “certificato di matrimonio”, “certificato di morte della moglie” e “certificato di morte dello zio””;
(ii) col secondo motivo; (ii) col secondo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per pori la condotta del Tribunale “in contrasto con i criteri legali di valutazione della prova ove, a fronte della documentazione fornita dal ricorrente, non può assumersi apoditticamente l’inattendibilità dello stesso sulla scorta di un mero giudizio persona e astratto;
(iii) col terzo motivo per violazione di norma di diritto, per vare il Tribunale considerato ingiustificato il timore del dichiarante di subire trattamenti inumai e degradanti, quali in particolare connessi alla “previsione di sanzioni penali per il reato c.d. Zina (l’avere consumato rapporti intimi in mancanza di legame coniugale)”, alle “vendette di sangue familiari”, facenti parte del “codice consuetudinario” locale, nonchè alla prosecuzione della persecuzione del ricorrente ancora in Italia, secondo i riscontri portati in proposito dalle indagini svolte dall’Autorità inquirente in Italia;
(iv) col quarto motivo, per la natura meramente apparente della motivazione svolta dal tribunale in punto di inattendibilità della persona del ricorrente”;
(v) col quinto motivo, con riferimento alla protezione umanitaria, per avere il tribunale compiuto “violazione dell’obbligo di congruità dell’esame e di cooperazione istruttoria, violazione dell’obbligo di congruità della motivazione, erronea interpretazione delle disposizioni di legge”.
8.- Il Collegio ritiene inammissibile il ricorso.
Quanto al primo motivo, si rileva che le ragioni addotte dal Tribunale in punto di inattendibilità della persona del richiedente risultano essere molteplici e non già limitate al tema della autenticità della documentazione prodotta dal richiedente. Pure si sottolinea, in proposito, il carattere di criminalità meramente comune – non politica – del pestaggio subito dal ricorrente sul territorio italiano. La stessa valutazione è sostanzialmente da ripetere in relazione al terzo motivo di ricorso.
Il secondo motivo si manifesta del tutto generico, risolvendosi nella mera allegazione del carattere solo “soggettivo” della motivazione svolta dal Tribunale.
Per il quarto motivo, il Collegio rileva che – posto quanto già osservato in relazione al primo e al terzo motivo – la motivazione addotta dal Tribunale in punto di inattendibilità della persona del richiedente non può essere considerata solo apparente.
Per il quinto motivo, il Collegio osserva che lo stesso si risolve senza residui nella mera affermazione generale (e, dunque, pure generica) che i presupposti per la umanitaria con coincidono con quelli previsti per la protezione internazionale.
9.- Non vi è luogo per provvedere alle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 12 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021