Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9494 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 22/05/2020), n.9494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35335-2018 proposto da:

T.F. IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso

lo studio dell’avvocato LAURO MASSIMO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 3841/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE de LAZIO, depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

ANTONIO FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza in data 7 giugno 2018 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla T.F. Immobiliare s.r.l. avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente contro l’avviso di accertamento relativo ad IRES, IRAP ed IVA per l’anno 2010. Osservava la CTR – per quanto ancora rileva in questa sede – che il recupero a tassazione di costi per Euro 127.162,00 era legittimo, non avendo la società contribuente ottemperato all’onere della prova, in quanto la documentazione prodotta in giudizio era generica ed inidonea a dimostrare quanto dalla stessa dedotto.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 7 dicembre 2018, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’Agenzia delle entrate ha depositato mero atto di costituzione.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di esaminare e decidere sulla richiesta di annullamento del provvedimento impugnato per violazione delle norme sulla motivazione degli atti tributari, segnatamente della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1.

Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

La ricorrente, invero, non ha riportato in ricorso, come invece richiesto dal principio di autosufficienza, i passaggi degli atti processuali in cui avrebbe fatto valere il vizio di motivazione dell’atto impugnato.

In ogni caso, la censura è priva di fondamento.

Va ribadito che:

– “Non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi – anche con pronuncia implicita – rigettata perchè indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico giuridico, decisa e rigettata dal giudice” (Cass. n. 17580 del 2014);

– “Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (Cass. 29191 del 2017; in senso conforme, Cass. n. 16170 del 2019, in motivazione).

Nella specie, la CTR ha valutato la fondatezza della pretesa tributaria, configurandosi così una statuizione implicita di rigetto della censura afferente il difetto di motivazione dell’atto impugnato, indissolubilmente avvinta alla domanda concernente il merito della pretesa fiscale.

Con il secondo motivo la società contribuente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio. Sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe del tutto apparente, non consentendo di dedurre quale è il processo logico attraverso cui è stato ritenuto corretto il recupero a tassazione di costi per Euro 127.162,00.

Il motivo si palesa, anzitutto, inammissibile, in quanto evoca un vizio di motivazione strutturato sulla base della previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, là dove, nella specie, si prospetta in realtà la nullità della sentenza per un vizio di ordine processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4

La censura è comunque infondata.

Va rammentato che:

– “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., n. 22232/2016; Cass. n. 4964/2017, in motivazione);

– “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U., n. 8053/2014).

La motivazione della sentenza impugnata non rientra nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali; non concretizzando, dunque, un chiaro esempio di “motivazione apparente” ossia del tutto mancante, si pone sicuramente al di sopra del “minimo costituzionale”. La CTR, invero, ha valutato la documentazione prodotta dalla società contribuente, reputandola generica e inidonea a dimostrare l’infondatezza del recupero a tassazione dei costi, concludendo quindi nel senso che la società contribuente non aveva ottemperato all’onere della prova sulla stessa gravante.

Il ricorso va dunque rigettato.

Stante l’assenza di attività difensiva dell’intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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