Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9493 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/05/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 22/05/2020), n.9493

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1661-2014 proposto da:

CO.RO., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE ENRICO RIZZO;

– ricorrente –

contro

C.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DE ROSA, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 846/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/06/2013, R.G.N. 53/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2020 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA DE ROSA.

Fatto

FATTI DI CAUSA:

1. La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Paola che aveva determinato nella misura del 50% la quota di pensione di reversibilità da corrispondersi a C.M.A., coniuge divorziato di Ca.Gi., deceduto nel (OMISSIS) e coniugato in seconde nozze con Co.Ro..

La Corte ha rilevato che la ripartizione della pensione riversibilità tra il coniuge divorziato, titolare di assegno divorzile, e il coniuge superstite, era regolata dalla L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale, salvo i necessari correttivi ispirati ad equità; che nella specie la C. era stata sposata per circa 14 anni e godeva di assegno divorzile di Lire 200.000 per sè ed i figli e la Co. per 26 anni; che la C. era titolare di trattamento pensionistico di Euro 402,00 mentre la Co. godeva di redditi imponibili per Euro 55.000,00, ed era titolare di quote di immobili lasciati in eredità dal Ca..

La Corte ha rilevato che non era necessario dimostrare la reale percezione dell’assegno divorzile; che la mancanza di nuove nozze era provata da documentazione e comunque era stata contestata solo in appello.

Secondo la Corte era equa la determinazione della quota nella misura del 50% correggendo, in tal modo, il criterio prioritario della durata del vincolo; che infatti, dalla documentazione emergeva una netta sproporzione delle rispettive condizioni economiche; che circa la misura esigua dell’assegno divorzile di sole Lire 200.000 doveva tenersi conto che era stato adottato nel 1978 e che la quota di pensione netta, come determinata dal tribunale, risultava di Euro 700,00, non sproporzionata rispetto all’assegno divorzile essendo la somma di Lire 200.000, pari a circa Euro 718,00 attuali.

2.Avverso la sentenza ricorre la Co. con due motivi. Resiste la C. con controricorso e poi memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. In via prioritaria questa Corte rileva d’ufficio il difetto di contraddittorio attesa la mancata partecipazione al giudizio dell’Inps.

4. Va condiviso, infatti, e data continuità al principio affermato da questa Corte secondo cui “la controversia tra l'”ex” coniuge e il coniuge superstite per l’accertamento della ripartizione – ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art6. 13 – del trattamento di reversibilità deve necessariamente svolgersi in contraddittorio con l’ente erogatore atteso che, essendo il coniuge divorziato, al pari di quello superstite, titolare di un autonomo diritto di natura previdenziale, l’accertamento concerne i presupposti affinchè l’ente assuma un’obbligazione autonoma, anche se nell’ambito di una erogazione già dovuta, nei confronti di un ulteriore soggetto (cfr Cass. 15111/2005, n 25220/2009, n 8266/2020).

5. Si è, in particolare, sostenuto (cfr Cass. n 15111 citata) che “Come affermato dalle S.U. di questa Corte con sentenza n. 159 del 1998, in presenza di un coniuge superstite avente i requisiti per fruire della pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di reversibilità dell’ex coniuge deceduto non costituisce soltanto un diritto vantato nei confronti del coniuge superstite (avente, in quanto tale, natura e funzione del precedente assegno di divorzio), ma costituisce un autonomo diritto di natura previdenziale che l’ordinamento attribuisce al coniuge superstite, con la sola peculiarità che tale diritto è limitato quantitativamente dell’omologo diritto spettante al coniuge superstite.

Pertanto, essendo il coniuge divorziato titolare, al pari di quello superstite, di un proprio autonomo diritto di natura previdenziale, anche la controversia instaurata al limitato fine di ottenere l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tale diritto deve svolgersi in contraddittorio con l’ente erogatore, giacchè pure se si controverte solo in ordine alla spettanza pro quota di un trattamento di reversibilità (già riconosciuto e del quale non viene in discussione l’ammontare complessivo), la lite non può mai configurarsi solo come una questione tra ex coniuge e coniuge superstite, non essendo indifferente per l’ente erogatore che si accerti la sussistenza dei presupposti di un diritto previdenziale azionatale nei suoi confronti, e, quindi, la sussistenza dei presupposti perchè esso ente assuma, nei confronti di un ulteriore soggetto, un’obbligazione previdenziale autonoma, ancorchè nell’ambito di una erogazione già dovuta (ma ad un unico soggetto), non foss’altro perchè le vicende e caratteristiche soggettive dei diversi titolari di autonomi diritti previdenziali, sia pure riferiti ad un unico trattamento di reversibilità, potrebbero diversamente incidere sull’estinzione delle relative obbligazioni”.

6. Ciò premesso deve essere, altresì, ribadito che il difetto del contraddittorio è rilevabile in ogni stato e grado del processo e dunque anche in questa sede di legittimità, con il solo limite del giudicato (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 26388/2008 e 9394/2017) e che,ove in sede di legittimità, emerga una violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata dal giudice di primo grado nè da quello d’appello (che avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice, ai fini dell’integrazione del contraddittorio), deve disporsi l’annullamento delle pronunce emesse a contraddittorio non integro, con rinvio della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3. (Cass., Sez. U, n. 3678/2009; n. 5063/2010, n. 18127 del 2013, n. 12547 del 2015).

7. Per le considerazioni che precedono, in applicazione dei principi già affermati da questa Corte, provvedendo sul ricorso in esame, deve essere dichiarata la nullità dell’intero processo e in applicazione dell’art. 383 c.p.c., comma 3, vanno cassate entrambe le sentenze di merito e la causa va rinviata al primo giudice anche per le spese.

P.Q.M.

Provvedendo sul ricorso nei sensi di cui in motivazione; dichiara la nullità dell’intero processo; cassa le sentenze di merito e rinvia la causa al primo giudice anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 marzo 2020 e il 12 maggio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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