Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 949 del 20/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 20/01/2010), n.949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1917-2007 proposto da:

C.C., T.L., S.V.,

CA.DO., tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato

PELLICANO’ ANTONINO, che li rappresenta e difende, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, giusta delega in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 9/2006 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 13/01/2006 r.g.n. 781/01 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2009 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito l’Avvocato PELLICANO’ ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. C.C., T.L., S.V. e Ca.Do., con distinti ricorsi, inerenti procedimenti poi riuniti, convenivano dinanzi al Giudice del Lavoro di Palmi l’INPS, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, per ottenerne la condanna al pagamento, in favore di ciascuno di essi, delle somme costituenti l’adeguamento dell’indennità di disoccupazione agricola corrisposta, per gli anni che indicavano, nella misura di L. 800 giornaliere, con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle stesse dalla domanda amministrativa all’effettivo soddisfo.

L’INPS non si costituiva, restando contumace.

L’adito Giudice del Lavoro, poi, in parziale accoglimento della domanda attorea, condannava l’Istituto previdenziale convenuto al pagamento, in favore di ciascuno di essi, delle somme richieste (in ordine agli anni 1989 e 1992 per la C. ed agli anni dal 1989 al 1992 per gli altri ricorrenti) e di metà delle spese di lite (liquidate nell’intero in ragione di L. 1.200.000, di cui L. 700.000 per onorario e L. 500.000 per diritti di procuratore ed esborsi), quota distratta, ex art. 93 c.p.c., in favore del procuratore di parte attorea, dichiarando compensati tra le parti la rimanente metà.

2. Avverso tale decisione i suddetti ricorrenti proponevano appello con riferimento alla statuizione riguardante la liquidazione delle spese giudiziali, deducendone l’erroneità per le ragioni che saranno più avanti esposte. Chiedevano, dunque, in riforma dell’impugnata decisione, la rideterminazione dei diritti di procuratore e dell’onorario di avvocato, come da nota spese prodotta o, in subordine, nella misura ritenuta di giustizia; in ogni caso con vittoria pure delle spese del secondo grado del giudizio, da distrarsi in favore del procuratore costituito anticipatario.

Instauratosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio l’INPS, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, chiedendo il rigetto dell’appello, con ogni favorevole conseguenza sulle spese di lite.

Avverso la stessa sentenza l’INPS, con ricorso depositato in data 24.5.2001, interponeva appello deducendo l’avvenuto pagamento, già nel corso del primo grado del giudizio ed a mezzo di assegni bancari, delle prestazioni economiche rivendicate da ciascuno dei ricorrenti, sicchè ne derivava che era cessata la materia del contendere o che, comunque, Occorreva tenere conto di tali pagamenti.

Si costituivano le controparti contestando le avverse deduzioni delle quali chiedevano il rigetto, con vittoria delle spese di lite.

All’udienza del 10.1.2006 l’adita Corte territoriale riuniva ex art. 335 c.p.c. i due predetti procedimenti poichè inerenti ad appelli proposti avverso la stessa sentenza.

Con sentenza del 10-13 gennaio 2006 2006 la Corte d’appello di Reggio Calabria: 1) rigettava l’appello dell’INPS; 2) in parziale accoglimento dell’appello di C.C., T.L., S.V. e Ca.Do., rideterminava nell’intero le spese processnali del giudizio di primo grado in complessivi Euro 676,00 (di cui Euro 16,00 per esborsi, Euro 73,00 per diritti di procuratore ed Euro 80,00 per onorario d’avvocato per ciascuna delle parti appellanti. Condannava inoltre l’INPS al pagamento di metà delle stesse distratte in favore dell’avv. Antonino Pellicanò. Compensava interamente le spese del grado d’appello.

3. Avvero questa pronuncia propongono ricorso per cassazione gli originari ricorrenti.

L’INPS ha depositato procura.

I ricorrenti hanno prodotto memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il ricorso, articolato in quattro motivi, il ricorrente lamenta innanzi tutto la violazione dei minimi tariffari denunciando la violazione e falsa applicazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 60, in relazione all’art. 111 Cost., comma 2, nonchè mancanza assoluta di motivazione, motivazione apparente ed omessa motivazione su un punto decisivo. Si sostiene che l’applicazione del citato art. 60 è errata, in quanto onnicomprensiva, ossia operata su tutte le voci indicate in ciascuna nota spese (onorari, diritti e spese vive), laddove la stessa norma conferisce al giudice il potere di riduzione, al di sotto del minimo previsto dalle tabelle professionali, soltanto per la voce relativa agli onorari di avvocato.

Inoltre il ricorrente lamenta che comunque la sentenza d’appello pur accogliendo l’impugnazione ha riconosciuto un importo inferiore a quello della sent. di primo grado.

II ricorrente poi si duole dell’ingiustificata compensazione parziale delle spese di primo grado (terzo motivo) e dell’ingiustificata compensazione totale delle spese di secondo grado. Deduce che non sussiste alcuna coerenza logica tra gli elementi ricavabili dalla sentenza e anche dai complessivi atti processuali e la compensazione delle spese, priva di ogni motivazione e arbitraria in senso proprio.

2. Il primo ed il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

La sentenza impugnata ha fatto erronea applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60; disposizione questa che, nel disciplinare la liquidazione degli onorari, stabilisce al comma 5 che quando la causa risulta di “facile trattazione” il giudice può attribuire l’onorario in misura inferiore al minimo e, in tal caso, la decisione deve essere motivata.

Questa Corte però ha affermato in proposito che la facoltà di scendere al di sotto dei minimi è limitata alla sola voce, espressamente menzionata, dell’onorario (v., a superamento di un risalente indirizzo, Cass. 18 giugno 2007, n. 14070; Cass. 20 giugno 2007, n. 14311; Cass. 7 settembre 2007, n. 18829). In particolare Cass. sez. lav., 7 settembre 2007 n. 18829 ha affermato – e qui ribadisce – che il R.D. n. 1578 del 1933, art. 60, comma 5, che consente al giudice di scendere sotto i limiti minimi fissati dalle tariffe professionali quando la causa risulti di facile trattazione, purchè sia adottata espressa ed adeguata motivazione, va interpretato nel senso che tale facoltà è limitata alla sola voce dell’onorario e non anche – come ha ritenuto la Corte territoriale – a quelle dei diritti e delle spese cui non fa riferimento detta norma, dovendosi preferire tale interpretazione letterale della norma, limitativa del diritto della parte al rimborso delle spese processuali.

Nel fare applicazione di tale disposizione il giudice è tenuto a motivare la sua decisione indicando la ragione per cui la causa debba ritenersi di “facile trattazione”. Nè potrebbe sostenersi che il menzionato obbligo di motivazione sia venuto meno per effetto della disposizione di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 4, che, nel prevedere la riduzione dei minimi tariffari per le controversie di “particolare semplicità”, dispone che la riduzione degli onorari non possa superare il limite della metà; tale disposizione, invero, integra la previsione contenuta nel R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, comma 5, indicando il limite massimo della riduzione degli onorari, e dunque presuppone che questa sia stata motivata (cfr, con riguardo al collegamento fra le due disposizioni, Cass. 26 ottobre 1974, n. 3179).

Inoltre il giudice nel procedere alla liquidazione degli onorari – operando la riduzione suddetta – deve comunque tener conto del valore di ciascuna delle controversie riunite.

Non è invece necessario il parere del Consiglio dell’ordine atteso che tale allegazione, prevista dal D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 4, si riferisce alla liquidazione delle spese a carico del cliente, e non si estende alla liquidazione delle spese a carico del soccombente nel giudizio e ad opera del giudice (v. Cass. 23 marzo 2004, n. 5802, nonchè le già citate Cass. n. 14070, 14311 e 18829 del 2007). Mette conto infine rilevare che diverso è poi l’ambito dell’art. 151 disp. att. c.p.c, che prevede un’ipotesi di riduzione delle competenze e degli onorari; tale disposizione invero – comunque patimenti applicabile ex officio dal giudice di merito ricorrendone i presupposti – si riferisce alla fattispecie dell’unitaria trattazione delle controversie riunite, mentre la riduzione degli onorari al di sotto dei minimi ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, si riferisce alla fattispecie della causa di “facile trattazione”.

3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

La sentenza impugnata ha correttamente evidenziato che la censura sulla parziale compensazione delle spese di lite di primo grado era stata avanzata dagli appellanti soltanto nelle note difensive, “peraltro non autorizzate”. Ed in effetti dall’esame degli atti di causa, cui questa Corte può procedere in considerazione del dedotto vizio in procedendo, i lavoratori con l’atto di appello si erano lamentati esclusivamente della entità della liquidazione delle spese processuali effettuata dal Tribunale, per cui la doglianza formulata con le note difensive – le quali hanno la funzione di chiarire le censure già tempestivamente formulate, ma non possono formularne altre, diverse (Cass. 22 febbraio 1995 n. 2012, Cass. 24 novembre 2005 n. 24817) – era del tutto nuova, in violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, e come tale inammissibile.

Riguardo al profilo di censura relativo alla compensazione delle spese del giudizio di appello, senza che sia stata fornita adeguata motivazione, è sufficiente rilevare che il parziale accoglimento della domanda (la rivalutazione dell’indennità di disoccupazione è stata riconosciuta solo per alcuni degli anni richiesti) costituisce giusto motivo ex art. 92 c.p.c., in base al quale il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese di lite (Cass. 6 dicembre 2003 n. 18705).

4. Il quarto motivo di ricorso è fondato.

Cass. S.U. 30.7.2008 n. 20598, recentemente, a composizione del contrasto di giurisprudenza manifestatosi in materia, ha enunciato il principio secondo cui, nel regime anteriore a quello introdotto con la sostituzione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, compiuta dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale per “giusti motivi” deve trovare nella sentenza un adeguato supporto motivazionale, anche se a tal fine non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, ed è invece sufficiente che le ragioni giustificatrici di esso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno delle statuizioni di merito.

Nella specie dalla motivazione della sentenza impugnata non risulta alcun elemento cui sia logicamente correlabile la statuizione di compensazione delle spese. In particolare essa evidenzia la formulazione da parte dell’appellante di censure generiche, non correlate all’effettiva motivazione della sentenza impugnata e non approfondite neanche in adesione all’ordine di esibizione della documentazione bancaria, oppure palesemente infondate. Nè si evince alcun altro elemento caratterizzante il giudizio di appello idoneo a rappresentare la base di una compensazione per giusti motivi.

5. Il ricorso va quindi accolto nei limiti suddetti, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catanzaro.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catanzaro.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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