Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 949 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. I, 17/01/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 17/01/2011), n.949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18156-2008 proposto da:

A.A.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, P.ZZA COLA DI RIENZO 92, presso l’avvocato

NARDONE ELISABETTA, rappresentata e difesa dall’avvocato RUSSO

GIUSEPPE, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 67/2008 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositato il 14/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in data 14.3.2008 A.A.R. chiedeva alla Corte d’Appello di Potenza la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 22.500,00, oltre interessi dalla domanda, a titolo di equa riparazione dei danni non patrimoniali subiti in conseguenza dell’eccessivo protrarsi, oltre il termine di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, del processo civile, promosso nei suoi confronti dinanzi al Tribunale di Taranto, con citazione notificata il 27 ottobre 1987, per il rilascio di un fondo rustico detenuto sine titulo dalla A.. Detto giudizio era stato definito: in primo grado con decisione sfavorevole alla A. con sentenza emanata il 3.5/18.7.01 ed in secondo grado, ugualmente con decisione a lei sfavorevole, dalla Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto. Avverso detta sentenza la Agresti aveva proposto ricorso per cassazione tuttora pendente. La Corte d’Appello ha respinto la domanda di indennizzo della A., ritenendo insussistente il danno non patrimoniale dato l’innegabile oggettivo vantaggio (anche) economico conseguito dalla ricorrente per avere conservato la materiale disponibilità del fondo rustico oggetto di causa, vantaggio largamente superiore alla ipotetica ansia derivante dalle lungaggini processuali e dalla incertezza circa l’esito della domanda riconvenzionale proposta a suo tempo dalla A..

Avverso detto decreto A.A.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi illustrati con memoria. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e, comunque, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per il giudizio – Violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Avrebbe errato la Corte d’Appello nell’escludere la esistenza del danno sul rilievo che esistevano circostanze particolari, tali da fare positivamente escludere la sussistenza del danno lamentato dalla ricorrente. Soltanto la piena consapevolezza nella parte processuale civile della infondatezza delle proprie istanze o della loro ammissibilità renderebbe inesistente il danno non patrimoniale, perchè tale consapevolezza farebbe venire meno l’ansia ed il malessere correlati all’incertezza della lite. Nel caso di specie tale consapevolezza non potrebbe essere ritenuta, atteso che il processo presupposto non è stato ancora definito, pendendo tuttora ricorso per cassazione.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte d’Appello avrebbe posto a base della propria decisione la conservazione della disponibilità del fondo oggetto della controversia presupposta, senza che alcuna eccezione fosse stata sollevata in proposito dal Ministero resistente, situazione, peraltro, non risultante dagli atti processuali.

In realtà dagli atti depositati risulterebbe documentato che la ricorrente aveva cessato la propria attività di allevamento del bestiame sul fondo e che aveva dovuto rilasciare il fondo stesso in esito alla sentenza, esecutiva, della Corte d’Appello, per cui la decisione del giudice a quo sarebbe del tutto destituita di fondamento.

Con il Terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6 della CEDU in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La decisione impugnata sarebbe errata, non avendo il giudice a quo considerato che, una volta accertato il superamento del termine ragionevole di durata del processo, la prova del danno dovrebbe ritenersi “in re ipsa”, verificandosi per la sussistenza della violazione nella normalità dei casi anche conseguenze non patrimoniali in danno della parte processuale.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 41 della CEDU in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

L’avere introdotto la Corte di Merito un criterio indennitario quale la compensazione fra la violazione del termine di ragionevole durata del processo ed il vantaggio economico individuato nel mantenimento del possesso del fondo (peraltro sconfessato dagli elementi di prova in atti) costituirebbe una creazione giuridica arbitraria, non trovando alcun riscontro nella giurisprudenza della Cedu.

Il ricorso è fondato.

La Corte d’Appello ha escluso l’esistenza del danno non patrimoniale dato l’innegabile oggettivo vantaggio economico conseguito dalla ricorrente per avere conservato la materiale disponibilità del fondo rustico, oggetto della causa presupposta, che sarebbe largamente superiore all’ansia derivante dalle lungaggini processuali e dalla incertezza circa l’esito della lite.

La tesi non merita di essere condivisa.

Questa Suprema Corte ha affermato più volte, orientamento giurisprudenziale che il collegio condivide, che la sussistenza del danno non patrimoniale resta esclusa in radice soltanto in presenza di una originaria consapevolezza della inconsistenza delle proprie istanze, dato che, in questo caso, difettando una condizione soggettiva di incertezza, viene meno il presupposto del determinarsi di uno stato di disagio (cfr, in tal senso cass. n. 25595 del 2008;

21088 del 2005), mentre il fatto di essere restati in possesso del bene in contestazione, in mancanza di prova della consapevolezza ab inizio della inconsistenza delle proprie istanze può tutt’al più incidere ridativamente sulla misura dell’indennizzo, atteso che nel caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione, di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti.

Dal decreto impugnato non risulta che la ricorrente abbia artatamente resistito in giudizio, al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, nella piena consapevolezza della infondatezza del diritto a conservare il possesso del bene in contestazione.

Pertanto il ricorso deve essere accolto, il decreto impugnato deve essere cassato e la causa deve essere rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Potenza, che per la decisione si atterrà al summenzionato principio di diritto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Potenza in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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