Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9488 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/04/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 09/04/2021), n.9488

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE AnnaMaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16626-2020 proposto da:

U.U., rappresentato e difeso dall’avv. Neri Giovanni;

– ricorrente –

contro

U.L., elettivamente domiciliata in Roma, Via Paolo Emilio

7, presso lo studio dell’avvocato Crea Mario Luciano, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Madeo Francesco;

– controricorrente –

ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 1416/2020 della Corte

d’appello di Roma, depositata il 25/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. TEDESCO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Si apprende dalla sentenza impugnata e dal controricorso che il Tribunale di Viterbo, nella controversia tra U.U. e U.L., accertava “che U.U. riveste la qualità di erede legittimo di B.E.G., subentrato per rappresentazione alla madre premorta S.A.”; accertava che “nella eredità di Bo.En. devoluta ex lege a B.E.G. era compreso il bene immobile (…)”, del quale ordinava il rilascio in favore dell’attore U.U..

Contro la sentenza proponeva appello U.L..

Per quanto interessa in questa sede, la Corte d’appello di Roma riformava in parte la sentenza di primo grado; essa dichiarava che “eredi legittimi di B.E.G. sono U.U. e U.L. “; dichiarava, per l’effetto, che ” U.L. e U.U. sono contitolari, in ragione di 1/2 ciascuno, del diritto di proprietà pro indiviso dell’immobile per cui è causa” (…).

La corte d’appello rigettava il secondo motivo con il quale l’appellante aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva osservato che “il diritto di accettare l’eredità del prozio (nel cui patrimonio vi era l’immobile per cui è causa), trasmesso dalla nonna, decorre per gli ulteriori chiamati dal decesso della nonna”. La corte d’appello non condivideva l’assunto di U.L., secondo cui il dies a quo per l’accettazione dell’eredità decorreva “dalla morte del prozio e non dalla morte della di lui erede, B.E.G.”. Secondo la corte di merito “(…) il diritto di accettare l’eredità del B. era passato nel patrimonio della B.E.G., di lui avente causa, e quindi trasmesso jure hereditatis all’odierno appellato, avente causa della nonna B.E.G., per cui, ovviamente, siccome il diritto di accettare l’eredità del Bo.En. era già entrato nel patrimonio di B.E.G., è al momento di apertura della successione di quest’ultima cui occorre avere riguardo per il computo del periodo di prescrizione” (…). La corte distrettuale, nel seguito della pronuncia, chiariva che U.U. “accettando l’eredità della nonna, cioè di B.E.G., non ha anche accettato contestualmente l’eredità di Bo.En. ma tale diritto di accettare era già compreso nel patrimonio della B., diritto che si è trasferito mortis causa in capo a U.U. (…)”.

Per la cassazione della sentenza U.U. ha proposto ricorso. Ha resistito con controricorso U.L., proponendo ricorso incidentale, affidato a un unico motivo, con il quale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 479,480 e 481 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: in base ai principi stabiliti dalla Suprema corte la prescrizione decorre dalla data dell’apertura della successione anche per i chiamati ulteriori.

Il ricorso principale è improcedibile, in quanto, come certificato dalla Cancelleria di questa Corte del 6 luglio 2020 non è stato depositato fino alla data della certificazione, con conseguente superamento del limite di venti giorni di cui all’art. 369 c.p.c.. Per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione (ex multis Cass. 24686/2014), attesa la perentorietà del termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., “il deposito del ricorso per cassazione dopo la scadenza del ventesimo giorno dalla notifica del gravame comporta l’improcedibilità dello stesso: detta improcedibilità è rilevabile anche d’ufficio e non è esclusa dalla costituzione del resistente, posto che il principio – sancito dall’art. 156 c.p.c. – di non rilevabilità della nullità di un atto per mancato raggiungimento dello scopo si riferisce esclusivamente all’inosservanza di forme in senso stretto e non di termini perentori, per i quali vigono apposite e separate norme”. Se ne deve dedurre, a fortiori, che “anche l’omesso deposito del ricorso, ipotesi ben più grave del deposito tardivo, deve essere sanzionato dalla declaratoria di improcedibilità” (Cass. n. 12894/2013; n. 15544/2012; n. 4919/2009).

L’iscrizione a ruolo del ricorso è stata curata dalla resistente. Ciò non rileva alcuna anomalia, perchè la parte alla quale sia stato notificato un ricorso per cassazione – e che abbia a sua volta notificato al ricorrente il controricorso – ha il potere, ove il ricorrente abbia omesso di depositare il ricorso e gli altri atti indicati nell’art. 369 c.p.c., di richiedere l’iscrizione a ruolo del processo al fine di far dichiarare l’improcedibilità del ricorso medesimo, essendo tale potere ricompreso in quello più ampio di contraddire riconosciuto dall’art. 370 c.p.c. e trovando giustificazione nell’interesse del controricorrente al recupero delle spese e di evitare, mediante la dichiarazione di improcedibilità del ricorso, che il ricorrente possa riproporre il ricorso medesimo ove non sia ancora decorso il termine per l’impugnazione (Cass. (ord.) n. 21969). Nello stesso tempo è stato però precisato che, qualora il ricorso per cassazione non sia depositato, la ammissibilità del controricorso dell’intimato, presentato al fine di sentire dichiarare l’improcedibilità del ricorso per effetto dell’omissione del deposito, postula che detto intimato alleghi copia del ricorso a lui notificata, atteso che, in difetto, non può riconoscersi la sua legittimazione a richiedere una pronuncia su impugnazione di cui non risulta l’effettiva proposizione (Cass. n. 4500/1988; n. 10810/2011).

Nella specie la resistente ha ottemperato a tali oneri, depositando la copia notificata del ricorso e copia autentica della sentenza impugnata. Il controricorso contiene ricorso incidentale, del quale la Corte ha verificato sia la tempestività sia la procedibilità (v proposta del relatore).

Tale ricorso incidentale è fondato, anche se per una ragione non coincidente con quella indicata dalla U.L., che considera U.U. alla stregua di un chiamato ulteriore, con conseguente applicabilità del noto principio di giurisprudenza secondo cui “In tema di successioni legittime, qualora sussista una pluralità di designati a succedere in ordine successivo, si realizza una delazione simultanea a favore dei primi chiamati e dei chiamati ulteriori, con la conseguenza che questi ultimi, in pendenza del termine di accettazione dell’eredità dei primi chiamati, sono abilitati ad effettuare una accettazione, anche tacita, dell’eredità” (Cass. n. 2743/2014; n. 9286/2000). Ai sensi dell’art. 480 c.c., comma 3, la prescrizione del diritto di accettare l’eredità decorre anche per i chiamati ulteriori sin dal momento dell’apertura della successione, salva l’ipotesi in cui vi sia stata accettazione da parte dei precedenti chiamati e il loro acquisto ereditario sia venuto meno (Cass. n. 16426/2012).

La norma si riferisce, appunto, ai chiamati ulteriori, mentre, nel caso in esame, la corte d’appello ha univocamente accertato i presupposti di fatto e di diritto di una fattispecie diversa. Morto Bo.En., il diritto di accettare l’eredità è stato acquistato da B.E.G., che è a sua volta deceduta senza avere accettato l’eredità, per cui il diritto di accettazione si è trasmesso ai suoi eredi.

Il fenomeno, così come accertato dalla corte di merito, rientra nella norma dell’art. 479 c.c.: “se il chiamato all’eredità muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette agli eredi”.

E’ nozione acquisita che la delazione resta identica nel passaggio dal chiamato al suo erede e pertanto questi, oltre ad accettare l’eredità così come poteva accettarla il suo autore, può compiere, rispetto all’eredità, il cui diritto di accettare gli viene trasmesso, tutti gli atti spettanti al primo (Cass. n. 7075/1999; n. 1628/1985).

L’istituto, a prima vista simile a quello della rappresentazione, si distingue da questa innanzitutto per la diversità del presupposto: la rappresentazione suppone infatti l’impossibilità giuridica dell’acquisto da parte del primo chiamato; la trasmissione del diritto di accettare suppone una mera contingenza di fatto, quale la mancanza di accettazione da parte di chi ne aveva il diritto.

Gli eredi del trasmittente subentrano nel diritto di accettare per la sola qualità di erede, legittimo o testamentario, a prescindere dal doppio grado di parentela previsto per la rappresentazione.

Mentre l’accettazione dell’eredità trasmessa comporta accettazione tacita dell’eredità del trasmittente, il rifiuto di questa non tanto implica rinuncia alla prima bensì impedisce in radice la trasmissione della delazione.

E’ appena il caso di ricordare poi che il trasmissario, che per essere tale ha accettato l’eredità del trasmittente, può rifiutare l’eredità a questo delata: l’acquisto della qualità di erede del trasmittente non implica automaticamente anche l’acquisto dell’eredità alla quale quest’ultimo era chiamato (Cass. n. 19303/2017).

Il fatto che non si abbia una nuova delazione, ma permanenza di quella vecchia, mutando solo il destinatario chiamato, avrà come ulteriore conseguenza che il termine di prescrizione del diritto di accettare resta il medesimo e pertanto continua decorrere dall’apertura della successione del primo de cuius e non dall’apertura della successione del trasmittente.

E’ chiaro quindi che è in errore la corte d’appello quando afferma che il termine per accettare l’eredità di Bo.En., decorresse non dalla morte di questi, ma dalla morte della trasmittente B.E.G.. Il ricorso incidentale, pertanto deve essere accolto, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello, che si atterrà al principio di cui sopra e liquiderà le spese del giudizio di legittimità.

Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

PQM

dichiara improcedibile il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al ricorso incidentale; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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