Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9484 del 28/04/2011

Cassazione civile sez. II, 28/04/2011, (ud. 15/03/2011, dep. 28/04/2011), n.9484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.V.R. (c.f. (OMISSIS)) rappresentato e difeso

dagli avv.ti de Pilati Giorgio, di Trento, e Giuseppe Antonini, di

Roma; elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma,

viale Parioli n. 180, giusta procura a margine del ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

– D.V.M.G. (c.f. (OMISSIS));

– D.V.M.G. (c.f. (OMISSIS);)

parti entrambe rappresentate e difese dagli avv.ti Ballardini Renato,

Silvia Maria Cinquemani e Francesco Vannicelli ed elettivamente

domiciliati presso lo studio Vannicelli-Cinquemani in Roma, via

Varrone n. 9, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Trento n. 257/04,

pubblicata il 2/7/04;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

15/03/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito l’avv. Giuseppe Antonini, per la parte ricorrente, che ha

insistito per l’accoglimento del ricorso;

Udito l’avv. Francesco Vannicelli, per la parte contro ricorrente,

che ha insistito per il rigetto del ricorso principale;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott.ssa CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.V.R., con atto notificato il 26 luglio 2000, citò innanzi al Tribunale di Trento le sorelle M.G. e M. G., chiedendo che fosse accertato e dichiarato l’acquisto in virtù di usucapione del terreno contraddistinto con le particelle 73, 75 e 76/2 e dell’edificio sovrastante, in agro di (OMISSIS).

A sostegno della domanda sostenne che alla morte del comune genitore, avvenuta nel (OMISSIS), essi germani avevano diviso di fatto le proprietà cadute in successione, venendo assegnata congiuntamente alle sorelle la casa avita e parte dell’orto – identificato con la particella n. 73 – antistante; la restante parte dell’appezzamento di terreno – che successivamente sarebbe stata intavolata come particella 977 – sarebbe invece stata assegnata all’esponente e su questa, nel 1978 avrebbe edificato la propria casa di abitazione, andandovi ad abitare nel 1979 sino all’anno 1999, allorchè si sarebbe trasferito altrove, pur conservandone il possesso mediato per il tramite di certo G.F.. In via subordinata alla domanda di usucapione, chiese che fosse accertato e dichiarato che le sorelle erano tenute a trasferirgli le quote di cui risultavano formalmente intestatarie sulla neo formata particella 977; che fosse dichiarato il proprio diritto di superficie sulla ridetta particella, e quindi la proprietà superficiaria dell’edifico che vi aveva sopra costruito; che le convenute fossero condannate al risarcimento dei danni cagionatigli. Le convenute, costituendosi, sostennero che, in ragione della successione al genitore, i germani erano divenuti comproprietari dei beni relitti: le esponenti in particolare affermarono che l’attore aveva gestito per conto di tutti i coeredi il patrimonio ereditano e che con scrittura privata autenticata del 10 febbraio 1986 aveva attribuito a ciascuna di esse convenute “in conto futura divisione” una porzione ciascuna della casa in (OMISSIS); sottolinearono che, pur avendo il fratello edificato su parte del terreno adibita ad orto, esse esponenti non avevano mai perso il compossesso del fondo; con successiva scrittura del 19 gennaio 2000 poi lo stesso attore aveva riconosciuto che la divisione non era ancora avvenuta: le due scritture dunque avrebbero costituito fatti interruttivi del preteso possesso utile all’usucapione. Le convenute, in via riconvenzionale, conclusero affinchè si procedesse alla divisione dei beni lasciati dal defunto genitore.

In risposta a tale riconvenzionale l’attore precisò le proprie conclusioni chiedendo che venisse accertato e dichiarato che la massa da dividere non doveva comprendere l’edificio eretto sulla particella n. 977 o in subordine, che fosse riconosciuto un credito corrispondente al valore dell’edificio realizzato sulla particella 73/1 o pari all’aumento del valore del fondo, associandosi, in via di estremo subordine, alla richiesta divisione. L’adito Tribunale, pronunziando sentenza non definitiva n. 737/2002, respinse la domanda di usucapione e, in accoglimento della riconvenzionale, dispose la prosecuzione dell’istruttoria su quest’ultima.

La Corte, d’appello di Trento, con sentenza n. 257/2004, respinse l’impugnazione di D.V.R., confermando l’assenza di animus possidenti sulla base delle due surrichiamate scritture private.

Contro tale decisione D.V.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, illustrati da memoria; M. G. e D.V.M.G. hanno resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1165, 2944, 1362 e segg. cod. civ.); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) lamentando: a – l’interpretazione “esclusivamente letterale” del contratto del 1986, non considerando condotte e fatti anteriori e successivi al medesimo, che sarebbero stati incompatibili con la pretesa inesistenza della divisione di fatto – ed il connesso possesso esclusivo ed uti dominus da parte dell’esponente degli immobili assegnati con detto accordo divisionale- ; b – la erroneità nel voler attribuire al riconoscimento dell’altrui diritto a titolo di comproprietà – scaturente, secondo l’assunto della Corte distrettuale, dall’anzidetta scrittura- anche la valenza di atto interruttivo del possesso utile all’usucapione, ben potendo la predetta manifestazione di scienza coesistere con la volontà di possedere uti dominus.

Il motivo in esame è inammissibile.

1/a – Invero parte ricorrente viola innanzitutto il principio di autosufficienza – art. 366 c.p.c., n. 4 – che deve informare di sè l’impugnazione in sede di legittimità, in quanto non espone il contenuto della scrittura del 1986 al fine di determinare il medium comparationis dell’errata interpretazione del giudice di merito; in secondo luogo non è sindacabile in sede di legittimità -nella prospettiva del vizio di motivazione- la scelta della Corte distrettuale di attribuire valore rilevante ai fini del decidere ad alcune emergenze istruttorie piuttosto che ad altre, in presenza di una compiuta e coerente motivazione – che non deve necessariamente avere ad oggetto l’esame di tutte le argomentazioni difensive esposte dalle parti- spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr. ex multis: Cass. 10.657/2010; Cass. 18.119/2008; Cass. 15.489/2007;

Cass. 7972/2007).

2 – Con il secondo mezzo il ricorrente censura la gravata decisione di “violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 714, 1102, 1158, 1165 e 1411 c.c.; omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo alla controversia (art. 360 c.p.c., n. 5 “lamentando – in sostanza- che la Corte trentina non abbia fatto applicazione del principio, attestato da pronunzie di legittimità, secondo il quale l’usucapione di un bene da parte del comproprietario non presuppone necessariamente un formale atto oppositivo del pari diritto altrui, essendo sufficiente un godimento inconciliabile con analogo sfruttamento da parte degli altri contitolari, sì da trarre da ciò il convincimento dell’inequivoca volontà di possedere uti dominus;

aggiunge il ricorrente che a tale risultato interpretativo si sarebbe giunti se si fossero correttamente valutate una serie di condotte poste in essere da esso ricorrente (recinzione del terreno; chiusura con cancello munito di serratura e senza consegnare le chiavi alle sorelle; l’edificazione in proprio su detto appezzamento). Anche questo motivo è inammissibile.

2/a – Invero va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (così Cass. 7394/2010 a cui adde: Cass. 4178/2007; Cass. 10.127/2006; Cass. 16.312/2005; Cass. 15499/2004).

2/b – Nella fattispecie invero il ricorrente non denunzia – con richiamo congiunto ad una serie di norme che, in varia misura, dovrebbero applicarsi al caso in esame ma che non sono state fatte oggetto di specifica analisi- l’erronea interpretazione compiuta dalla Corte distrettuale del concetto di possesso utile all’usucapione di un comproprietario nei confronti degli altri bensì critica la concreta applicazione della norma sulla interruzione del possesso alla specifica vicenda processuale, questione questa compiutamente esaminata e risolta con motivazione congrua – come visto- dal giudice dell’appello e come tale insuscettibile di nuovo scrutinio da parte di questa Corte.

3 – Con il terzo motivo viene dedotta la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 115 c.p.c.); omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5 c.p.c.) “in quanto il giudice del merito non avrebbe ammesso ed espletato tutte le richieste istruttorie.

3/a – Anche detto motivo è inammissibile sia per quanto argomentato sub 1 – sia per violazione del principio di specificità come pure di quello di autosufficienza, non avendo il ricorrente esposto quali richieste di prova sarebbero state disattese e quale ne fosse la rilevanza – in sè ed in relazione alle diverse argomentazioni poste a base della decisione-.

4 – Il ricorso va dunque respinto e parte soccombente condannata al pagamento delle spese secondo quanto indicato in dispositivo.

PQM

LA CORTE Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in Euro 1.800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A” Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 15 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2011

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