Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9484 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/04/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 09/04/2021), n.9484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11780-2019 proposto da:

P.E.R., A.C., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Degli Scipioni 94/B, presso lo studio dell’avvocato

Giovanna Fiore, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Enrico Bertelli Leonesio;

– ricorrenti –

contro

E.G., E.M., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Aquileia 12, presso lo studio dell’avvocato Andrea

Morsillo, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Giovanni Rocchi;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 10075/2018 della Corte Suprema di Cassazione

di Roma, depositata il 24/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di cassazione, con sentenza n. 10075 del 2018, nel definire il ricorso per cassazione proposto da E.M. e E.G. nei confronti di P.E.R. e Ar.Ca., contro sentenza della Corte d’appello di Brescia, ha accolto, in parte, il terzo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti avevano denunciato una omissione di pronuncia “sulla richiesta di accertamento del diritto di servitù di passaggio sulla scala centrale conformemente a quanto disposto dal testatore”.

Contro la sentenza A.C. e P.E.R. hanno proposto ricorso ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., denunciando in primo luogo un probabile errore materiale incorso nella sentenza del giudice di legittimità. Tale errore, dipendente da un errore materiale compiuto dal giudice d’appello, consiste in ciò: la corte d’appello, nel confermare la statuizione del primo giudice in ordine alla inesistenza di diritti attribuiti per testamento ai convenuti sulle scale menzionate in atti, “che consentono l’accesso alle proprietà ora spettanti a E.M. e E.G.”, ha richiamato la pag. 5 della sentenza impugnata. In tale pagina, però, la sentenza di primo grado trattava tutt’altro argomento, in quanto sono riportate le conclusioni delle parti. Invero, l’argomento al quale si riferiva la corte d’appello era considerato in altra parte della sentenza del Tribunale di Brescia, laddove il primo giudice aveva esaminato e risolto, trattandole unitariamente, le questioni della scala esterna e della scala centrale. In alternativa i ricorrenti sostengono che nella sentenza della Corte di cassazione n. 10075/2018, oggetto del presente ricorso, dovrebbe altrimenti ritenersi la sussistenza di un errore di fatto, idoneo a giustificare la revocazione del provvedimento. La pronuncia di merito, la cui supposta mancanza, ha giustificato l’accoglimento in parte del terzo motivo, era invece rinvenibile nella sentenza d’appello, che a pag. 18 contempla tutte le scale del fabbricato, non essendoci distinzione fra scala esterna e scala centrale.

Il ricorso è inammissibile.

Deve qualificarsi come errore materiale suscettibile di correzione, quello che non riguarda la sostanza del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all’atto della formazione del provvedimento e si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile ictu oculi (Cass. n. 19601/2011; n. 572/2019; n. 16877/2020).

E’ chiaro, tenuto conto delle ragioni sottese al ricorso, che i ricorrenti non denunciano un errore materiale nel significato sopra chiarito. Invero, nel contesto del ricorso, la denuncia dell’errore materiale è priva di qualsiasi rilevanza, tant’è che non si chiede alcuna correzione. Essa serve da preludio all’istanza di revocazione, che è inammissibile, perchè proposta tardivamente.

Il D.L. 31 agosto 2016, n. 168, Ex art. 1-bis, comma 1, (Misure per la ragionevole durata del procedimento per la decisione del ricorso per cassazione) in vigore dal 30 ottobre 2016, “al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni: (…) all’art. 391-bis: 1) il comma 1 è sostituito dal seguente: “Se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’art. 287, ovvero da errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 e ss.. La correzione può essere chiesta, e può essere rilevata d’ufficio dalla Corte, in qualsiasi tempo. La revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento”; 2) il comma 2 è sostituito dal seguente: “Sulla correzione la Corte pronuncia nell’osservanza delle disposizioni di cui all’art. 380-bis, primo e comma 2”; 3) il comma 4 è sostituito dal seguente: “Sul ricorso per revocazione, anche per le ipotesi regolate dall’art. 391-ter, la Corte pronuncia nell’osservanza delle disposizioni di cui all’art. 380-bis, primo e comma 2, se ritiene l’inammissibilità, altrimenti rinvia alla pubblica udienza della sezione semplice”.

In base al D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 2, ora in esame, “Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonchè a quelli già depositati alla medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio”.

In materia questa Corte ha stabilito che “il termine per la proposizione del ricorso per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione ridotto da un anno a sei mesi, in sede di conversione del D.L. n. 168 del 2016, dalla L. n. 197 del 2016 – si applica ai soli provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore della stessa (30 ottobre 2016), in difetto di specifica disposizione transitoria e in applicazione del principio generale di cui all’art. 11 preleggi (Cass., S.U., n. 8091/2020). Si è inoltre precisato che “il termine cd. lungo di sei mesi previsto dall’art. 391 bis c.p.c., comma 1, nella formulazione novellata dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, conv., con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, ai fini dell’impugnazione per revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, decorrente dalla pubblicazione delle stesse, è applicabile ai ricorsi depositati successivamente, ovvero a quelli già proposti per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, alla data di entrata in vigore della legge di conversione (ovvero il 30 ottobre 2016), in virtù della disciplina transitoria dettata dal predetto decreto, art. 2” (Cass. n. 13358/2018).

La sentenza della Suprema corte, oggetto della istanza di revocazione, è stata pubblicata il 24 aprile 2018, in relazione al ricorso iscritto nel 2013. L’udienza di discussione del ricorso è stata fissata con provvedimento comunicato il 22 dicembre 2017, nel vigore della nuova disciplina, e si è poi tenuta il 28 febbraio 2018.

Consegue che il ricorso per revocazione, notificato il 2 aprile 2019, risulta proposto decorsi oltre sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. Esso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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