Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9484 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/04/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 04/04/2019), n.9484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18572-2017 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO

27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO CECCARELLI;

– ricorrente –

contro

INFRASTRUTTURE LOMBARDE S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 10,

presso lo studio dell’avvocato MADDALENA BOFFOLI, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1718/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/01/2017 R.G.N. 1658/2013;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Giudice del lavoro del locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposta da L.M. nei confronti di Infrastrutture Lombarde s.p.a. per l’accertamento del rapporto lavoro subordinato a tempo indeterminato, quale effetto della conversione ope legis del contratto di lavoro a progetto stipulato in data 24 aprile 2008, risolto anticipatamente dalla società in data 10 luglio 2009.

2. Il progetto indicato dal contratto riguardava l’attività di coordinamento e di assistenza alla direzione dei lavori connessa alla realizzazione della nuova sede della Regione Lombardia. In data 7 luglio 2008 il contratto era stato modificato, con affidamento al L. dell’opera di affiancamento nella direzione dei lavori riguardanti il progetto di riqualificazione funzionale del Polo Vitivinicolo.

3. A sostegno della domanda, il ricorrente aveva dedotto di non essere iscritto in Italia (ma in Inghilterra) all’albo degli ingegneri e che quindi, non operando il disposto di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 3, il giudice avrebbe dovuto ritenere l’applicabilità della disciplina di cui allo stesso art. 61, comma 1 e, stante l’assenza di uno specifico progetto, applicare la conversione in rapporto a tempo indeterminato, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1.

4. L’appello proposto dal L. avverso la sentenza di rigetto della domanda è stato giudicato infondato dalla Corte di appello sulla base dei seguenti argomenti.

4.1. Il L., seppure iscritto in albo professionale estero, svolgeva mansioni di ingegnere coerenti con la professionalità richiesta per l’iscrizione all’albo e, dunque, nei suoi confronti non poteva operare la disciplina legale invocata.

4.2. In ogni caso, sussisteva uno specifico progetto e tanto consente di ritenere soddisfatta la finalità antifraudolenta perseguita dal legislatore.

4.3. Stante la sussistenza di un progetto specifico, l’onere probatorio di provare la natura subordinata del rapporto gravava sul lavoratore, a norma del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 2, ma tale onere non è stato debitamente assolto. Dalla prova testimoniale e documentale è emerso il ruolo professionale di affiancamento alla direzione dei cantieri svolto l’ing. L., che aveva prestato la collaborazione in perfetta autonomia, senza essere soggetto al potere direttivo, organizzativo e disciplinare o di controllo del datore, da cui l’esclusione degli indici rivelatori della asserita natura subordinata del rapporto di lavoro.

4. Per la cassazione di tale sentenza il L. propone ricorso affidato a sette motivi. Resiste con controricorso la Infrastrutture Lombarde s.p.a..

5. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. A tali conclusioni ha fatto seguito memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, lett. f, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197) depositata dal ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 3, e del D.Lgs. n. n 206 del 2007 (norma di attuazione della direttiva 2005/36/CE) per avere la Corte territoriale ritenuto che la fattispecie oggetto di causa fosse assoggettabile alla disposizione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 3, la quale dispone che “sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo…”, sull’erroneo presupposto che il ricorrente fosse ingegnere iscritto ad un albo professionale e che svolgesse all’epoca mansioni coerenti con la professionalità richiesta per l’iscrizione all’albo. Tale ordine argomentativo omette di considerare che solo dopo l’avvenuto riconoscimento e l’abilitazione all’esercizio della professionale nel territorio nazionale, a norma del D.Lgs. n. 206 del 2007, è configurabile l’applicazione della fattispecie di cui all’art. 61 cit., comma 3.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61, 62 e 69, degli artt. 1322e 1323 c.c., dell’art. 41 Cost. per avere la sentenza trascurato di considerare il nomen iuris del contratto stipulato tra le parti quale contratto a progetto, con conseguente individuazione della fonte regolatrice del rapporto di lavoro.

3. Il terzo motivo censura la sentenza per violazione delle stesse norme per avere la Corte territoriale ritenuto specifico il progetto, laddove questo corrispondeva all’ordinario ciclo produttivo della società datrice di lavoro. Dall’esame del contratto poteva evincersi che esso conteneva la mera elencazione delle mansioni attribuite all’operatore nelle attività del cantiere, mansioni del tutto rientranti nell’oggetto sociale della committente, un’impresa di costruzioni.

4. Il quarto motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e ss. e dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che gravasse sul ricorrente l’onere di dimostrare la natura subordinata del rapporto di lavoro, laddove era la società a dovere dimostrare l’esistenza di un progetto contenente le caratteristiche essenziali richieste dalla disciplina antielusiva e antifrodatoria, quali la specificità del programma, che deve essere estraneo al ciclo produttivo ordinario dell’impresa.

5. Con il quinto motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69 e art. 2697 c.c., nonchè della L. n. 92 del 2012, art. 24 per avere trascurato di considerare che ogni dubbio interpretativo circa la natura di presunzione assoluta derivante dal combinato disposto degli artt. 61 e 69 è stato risolto dall’interpretazione autentica operata dalla L. 92 del 2012, art. 24.

6. Con il sesto motivo si censura la sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Si deduce l’erroneità della sentenza per avere ritenuto che il ricorrente non avesse dimostrato la sussistenza della subordinazione nel rapporto intrattenuto con Infrastrutture Lombarde anche in base alle risultanze istruttorie. Al contrario, da queste poteva evincersi la sussistenza di precisi indici rivelatori dello stabile inserimento della prestazione lavorativa dell’organizzazione aziendale: le attività che il ricorrente era chiamato a svolgere erano totalmente coerenti con quelle del cantiere e non potevano consentire l’attivazione di un contratto di lavoro a progetto, che presuppone una ragionevole estraneità al ciclo produttivo ordinario.

7. Con il settimo motivo si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per nullità della sentenza e del procedimento e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c.. La ricognizione delle prove operata dalla Corte d’appello è riconducibile ad un vizio di percezione, essendo state estrapolate singole affermazioni dei testi all’interno della stessa dichiarazione, con conseguente alterazione della percezione della portata probatoria delle stesse.

8. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati.

8.1. A norma del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, nel testo originario applicabile alla fattispecie ratione temporis, al comma 1 è previsto che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 c.p.c., n. 3, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa”.

All’art. 61, comma 3 è stabilito che “Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo….”.

L’art. 69 (Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto) dello stesso decreto, a sua volta, prevede che “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.

2. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’art. 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.

3. Ai fini del giudizio di cui al comma 2, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente”.

8.2. Secondo la Corte costituzionale (sent. n. 399 del 2008) il D.Lgs. n. 276 del 2003 ha introdotto una disciplina restrittiva per il particolare tipo di lavoro autonomo costituito dalle collaborazioni coordinate e continuative. Al di fuori delle eccezioni previste dall’art. 1, comma 2, e dall’art. 61, commi 1, 2 e 3, questo tipo di contratto può essere stipulato solamente se sia riconducibile ad uno o più progetti specifici o a programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore (art. 61, comma 1). La novità così introdotta a regime dal D.Lgs. n. 276 del 2003 è quella di vietare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di lavoro autonomo, non siano però riconducibili ad un progetto.

8.3. Incidentalmente, va rilevato che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61 è stato successivamente abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 52 di attuazione del c.d. Jobs Act. D.Lgs. n. 81 del 2015. Tale norma (Superamento del contratto a progetto) ha così disposto “1. Le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. da 61 a 69-bis sono abrogate e continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto.

2. Resta salvo quanto disposto dall’art. 409 c.p.c.”.

9. L’interpretazione seguita dalla Corte territoriale è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il regime sanzionatorio articolato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di cd. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti (Cass. n. 12820 del 2016).

In particolare, quanto alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f)), questa Corte ha precisato che tale norma si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso (Cass. n. 17127 del 2016; v. pure, Cass. n. 4337 del 2018).

9.1. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha esaminato il contenuto dei contratti stipulati tra le parti ravvisando nelle relative previsioni un programma sufficientemente specifico, in quanto correlato alla realizzazione di una determinata opera, con il dettaglio dei compiti affidati al ricorrente.

10. Non è richiesto che il progetto per essere “specifico” a norma dell’art. 61, comma 1, debba esulare dalla ordinaria attività dell’impresa. Sin dalle prime pronunce di questa Corte in tema di contratto di lavoro a progetto, disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, è stato affermato che si è in presenza di una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale e determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione (v. Cass. n. 13394 del 2013).

10.1. Dunque, è la finalizzazione al raggiungimento di un determinato risultato il tratto che connota il concetto di “specificità” del progetto. Non è, invece, richiesto che il progetto specifico debba inerire ad una attività eccezionale o originale o del tutto esulante dalla ordinaria e complessiva attività di impresa (v. in tal senso Cass. n. 24379 del 2017).

Nè dall’art. 61, nè dalla complessiva regolamentazione della fattispecie dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003 e succ. mod. si trae conferma della fondatezza della tesi restrittiva. Nella sua versione originaria la norma poneva sullo stesso piano della qualificazione della fattispecie le ulteriori e più ampie ipotesi del “programma di lavoro o fase di esso”, mentre, con le specificazioni successivamente introdotte dalla L. n. 92 del 2012 nell’art. 61, è stato escluso soltanto che il progetto specifico (divenuta unica ipotesi qualificatoria) possa consistere “in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente”, o “comportare” “lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi” (v. sent. 24379 del 2017, in motivazione).

10.2. Pertanto, ben può il progetto dedotto nel contratto inerire al normale ciclo produttivo dell’impresa, purchè non si risolva nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente. Lo stesso non necessariamente deve essere caratterizzato dalla straordinarietà o dalla occasionalità, mentre resta determinante che il progetto sia connotato da un obiettivo da raggiungere, che riveli il suo collegamento funzionale ad un determinato e preciso risultato finale, da svolgere in autonomia.

11. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto che tali presupposti fossero rinvenibili nei contratti di lavoro a progetto stipulati tra le parti. L’esistenza di un valido progetto posto a fondamento del contratto esclude l’operatività della conversione ope legis in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, per cui resta privo di rilevanza l’esame della questione introdotta con il primo motivo. Ne consegue il difetto di interesse del ricorrente in relazione alla questione della mancata iscrizione all’albo professionale (art. 100 c.p.c.), che investe una autonoma e concorrente ratio decidendi.

11.1. Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (v, tra le più recenti, Cass. 11493 del 2018).

11.2. Il primo motivo, per tale ragione, è inammissibile.

12. Non può neppure operare l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 62, comma 2 (“Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’art. 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”), poichè l’accertamento di merito di primo e di secondo grado ha escluso che ricorressero gli indici sintomatici della subordinazione e tanto è stato ritenuto sulla base della disamina e della valutazione giudiziale delle prove documentali e testimoniali.

12.1. In ordine all’accertamento in fatto, opera la modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia “doppia conforme”. Trova applicazione infatti la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, la quale si applica, agli effetti del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato successivamente all’11 settembre 2012 (situazione che ricorre nel caso di specie, essendo il ricorso in appello stato depositato il 30.9.13). Dunque, il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme, come è stato nella specie.

13. Occorre pure rilevare che non sono enucleabili, nel contesto del sesto e settimo motivo di gravame, essenzialmente incentrati su contestazioni di fatto, specifiche e puntuali censure che attengano alla sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta della subordinazione.

14. Il ricorrente allude, nel settimo motivo, ad un travisamento della prova, il che escluderebbe che si verta in ipotesi di c.d. doppia conforme quanto all’accertamento dei fatti, preclusivo del ricorso per cassazione ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giusta l’art. 348 c.p.c., u.c.. Tuttavia, perchè possa configurarsi tale ipotesi occorrerebbe che l’informazione probatoria, utilizzata in sentenza, risulti contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. n. 28174 del 2018). Ove il ricorrente abbia lamentato un travisamento della prova, solo l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito e fa escludere l’ipotesi contenuta nella censura; infatti, il travisamento della prova implica, non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale. (Cass. 10749 del 2015, 12362 del 2006).

14.1. Nella specie, la censura investe direttamente la valutazione del materiale probatorio, di cui si propone una diversa lettura interpretativa. L’ipotesi esula dall’alveo applicativo della fattispecie invocata.

15. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

16. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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