Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9483 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/05/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 22/05/2020), n.9483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21131-2015 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEI

PARIOLI, 77, presso lo studio dell’avvocato IACOPO SQUILLANTE, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PCD CENTRO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 138,

presso lo studio dell’avvocato GIULIO BELLINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato LETIZIA LICCARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3486/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/06/2015 R.G.N. 9435/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza n. 3486 del 24.6.2015 la Corte di appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale della stessa sede, ha respinto l’appello di C.A. proposto nei confronti di PCD Centro in liquidazione s.r.l. per il pagamento delle provvigioni relative al terzo e quarto trimestre 2009 e dell’indennità di cessazione del rapporto per il periodo precedente al recesso per giusta causa della società, condannandolo al pagamento della somma complessiva di Euro 41.431,00 rappresentata dalla differenza tra le somme dovute dalla società per indennità sostitutiva del preavviso e le maggiori provvigioni percepite dall’agente a titolo di anticipo.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il C. con un motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c. La società ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente deduce vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il C. aveva tempestivamente contestato (in primo grado, con memoria di replica alla domanda riconvenzionale della società) l’ammontare delle provvigioni maturate nel corso del rapporto così come dedotte dalla società, ed essendo, pertanto, stato omesso l’esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti;

2. il ricorso è inammissibile operando la modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia “doppia conforme”;

3. l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, prescrive che la disposizione di cui al comma 4 – ossia l’esclusione del n. 5, dal catalogo dei vizi deducibili di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1 – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, con la conseguenza che il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. “doppia conforme”;

4. nell’ipotesi di “doppia conforme”, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. nn. 26774/2016, 5528/2014);

5. nel caso di specie, per l’appunto, la Corte distrettuale ha confermato la ricostruzione delle emergenze probatorie effettuata dal Tribunale che aveva, da una parte, ritenuto che non fosse prevista alcuna decadenza della società per quanto riguarda la ripetibilità delle somme corrisposte all’agente a titolo di anticipo provvigionale e che la mancata trasmissione degli estratti conto non consolidasse, in capo all’agente, il diritto a trattenere le somme ricevute in eccesso rispetto alle provvigioni maturate; dall’altra, ritenuto che il prospetto riepilogativo delle provvigioni maturate rispettivamente per gli anni 2008 e 2009 prodotto in primo grado dalla società non aveva trovato idonea e specifica contestazione da parte dell’agente;

6. nessuna argomentazione è stata spesa dal ricorrente in ordine alla eventuale differente ricostruzione del quadro probatorio effettuata dal Tribunale e dalla Corte di appello;

7. il ricorso si presenta, inoltre, inammissibile in quanto – secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016) – l’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo;

8. l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, n. 8053 del 2014); costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, n. 7983 del 2014; Cass. Sez. 1, n. 17761 del 2016; Cass. Sez. 5, n. 29883 del 2017; Cass. Sez. 5, n. 21152 del 2014; Cass. Sez. U., n. 5745 del 2015; Cass. Sez. 1, n. 5133 del 2014); non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, n. 14802 del 2017; Cass. Sez. 5, n. 21152 del 2014); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L., n. 21439 del 2015);

9. è quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o della “non contestazione dell’avvenuta usucapione” (un fatto che non sia stato “oggetto di discussione tra le parti” è, d’altro canto, fuori dall’ambito dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per sua stessa definizione), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”;

10. in conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.;

11. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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