Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9483 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/04/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 04/04/2019), n.9483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6386-2015 proposto da:

AQUA ITALIA S.R.L., ora HI-POOL S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

EUSTACHIO MANFREDI 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

ANTONELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA PIZZOLI;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato GIANNI INCHINGOLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLA PISTOLESI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 672/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/03/2014 R.G.N. 6186/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. C.A. agiva nei confronti di Aqua Italia s.r.l. per ottenere la conversione del contratto di lavoro a progetto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1. A sostegno della domanda deduceva di avere lavorato alle dipendenze della FID Systems s.r.l., poi divenuta Aqua Italia s.r.l., dal 1 febbraio 2007 sulla base di due contratti di lavoro a progetto come “venditore all’ingrosso”, fino al licenziamento intimato il 12 settembre 2007. Lamentava la violazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e segg. e chiedeva, in via principale, l’applicazione della sanzione di cui all’art. 69, comma 1 D.Lgs. cit. e, in via subordinata, il riconoscimento dei medesimi effetti a norma dell’art. 69, art. 2. Deduceva altresì l’illegittimità del recesso datoriale, con richiesta limitata all’applicazione dell’indennità risarcitoria.

2. Il Giudice del lavoro di Rieti, esclusa l’esistenza di un valido progetto, rigettava la domanda, ritenendo che la fattispecie di cui all’art. 69, comma 1 non configurasse un’ipotesi di presunzione assoluta della natura subordinata del rapporto di lavoro. Osservava che nella specie era rimasto dimostrato il carattere autonomo del rapporto, poichè secondo le risultanze istruttorie il ricorrente aveva svolto nei fatti il compito di procacciare nuovi clienti nell’ambito della zona assegnatagli, scegliendo liberamente le modalità organizzative del proprio lavoro.

3. La Corte di appello di Roma, in accoglimento del gravame proposto dal C., in riforma di tale sentenza, ha accolto la domanda sulla base degli argomenti che seguono.

3.1. Il progetto o il programma si pongono come elementi necessari per la validità del contratto stipulato D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 61 e segg. e pertanto ne è richiesta un’elaborazione in forma scritta, specifica e dettagliata, in modo e termini sufficienti a individuare il risultato che il collaboratore deve raggiungere e che il committente si attende. Oggetto del contratto è il risultato che nel progetto stesso deve essere specificamente delineato e il cui raggiungimento deve avvenire da parte del collaboratore, contemperando le proprie autonome modalità di conseguimento con il coordinamento dell’organizzazione del committente. Significativo è come il collegamento funzionale del progetto ad un determinato risultato finale sia ormai definitivamente reso imprescindibile dalla novella del 2012, art. 1, comma 23; quest’ultima ha pure escluso che il progetto possa consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, nel senso che la necessaria specificità del progetto richiede che questo, pur avendo ad oggetto attività rientranti nel normale ciclo produttivo dell’impresa – e quindi non necessariamente caratterizzato dalla straordinarietà od occasionalità -, debba pur sempre distinguersi da essa costituendo un obiettivo o tipo di attività che si affianca all’attività principale senza confondersi con essa, seppure con essa necessariamente si coordina. Non può ritenersi consentito il ricorso al contratto a progetto per far fronte a necessità strutturali dell’azienda e per soddisfare un generico e permanente interesse produttivo della stessa nel suo complesso.

3.2. Nel caso in esame, i due contratti a progetto sottoscritti dalle parti, quello del 1 febbraio 2007 e quello sostanzialmente identico del 1 luglio 2007, difettano dei requisiti essenziali sopraindicati, in quanto il progetto descritto con la semplice indicazione “venditore all’ingrosso” più che un progetto indica un profilo professionale, mentre le schede fornite indicano delle zone operative. Risulta evidente come non sia possibile identificare nei contratti in oggetto un progetto specifico che definisca e delimiti l’obiettivo affidato all’appellante, nè le differenze dall’ordinaria attività imprenditoriale (un’impresa specializzata nel settore dell’elettronica applicata ai processi di trattamento delle acque). Va dunque confermata la carenza dei requisiti di sostanza e di forma indicati dal D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 62.

3.3. Non può accogliersi la soluzione della sentenza di primo grado secondo cui l’assenza del progetto comporterebbe una mera presunzione semplice della subordinazione. La fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 69, comma 1 citato opera automaticamente di diritto la conversione del contratto di lavoro a progetto in caso di assenza di un “progetto, programma o fase di programma” (alla luce la previsione normativa anteriore alla riforma introdotta L. n. 92 del 2012, cui la controversia è sottratta ratione temporis). Una diversa opzione interpretativa sarebbe del tutto incoerente con il complessivo assetto della nuova disciplina e tale da tradire la sua impronta antielusiva e antifrodatoria, pure considerato che la Corte costituzionale nella sentenza n. 399 del 2008 ha affermato che la novità introdotta dalla riforma è proprio quella di vietare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che, pur avendo ad oggetto genuine prestazione di lavoro autonomo, non siano riconducibili ad un progetto.

3.4. Tale opzione interpretativa è l’unica che soddisfa l’esigenza di differenziare la previsione di cui all’art. 69, comma 1 da quella delineata nel comma successivo, che opera nell’ipotesi in cui, pur essendo stato previsto un valido progetto o programma, il rapporto abbia assunto, nelle sue concrete modalità di svolgimento, la natura subordinata.

3.5. Non è ostativo il principio dell’indisponibilità qualificatoria del tipo legale, in quanto – come sancito la Corte costituzionale (sent. 121 del 1993 e 115 del 1994) non è consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato. Tale principio non trova applicazione all’ipotesi inversa di qualificazione come subordinato di un rapporto di lavoro autonomo.

3.6. Nè sussiste la prospettata disparità di trattamento tra settore pubblico e settore privato ovvero tra lavoratori a progetto e quelli esclusi dal campo di applicazione della normativa del 2003; nel primo caso la diversa disciplina è giustificata dai molteplici profili di specialità del rapporto di lavoro pubblico, nel secondo caso dal fatto che si tratta di fattispecie in cui sono tendenzialmente assenti i rischi di elusione, trattandosi per lo più lavoratori a dotati di un’adeguata forza contrattuale.

3.7. Tale soluzione ermeneutica trae ulteriore conferma dalla circostanza che la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 24, ha dettato una norma di interpretazione autentica del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, prevedendo che tale disposizione si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, mentre il successivo comma 25, secondo cui la disposizione anzidetta si applica ai contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore della norma, non incide sulla natura della presunzione (assoluta) dettata dalla norma interpretata, ma sulla introduzione di una regola espressa di validità del contratto.

3.8. Nella specie, deve quindi ritenersi sussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in ragione della conversione ope legis. Va applicato il CCNL terziario – viaggiatori e piazzisti, 1 livello, non essendo specificamente contestati la normativa contrattuale di riferimento, il livello rivendicato, nè i conteggi, dovendosi peraltro espungere dal quantum le pretese relative ai titoli non provati in giudizio e dovendosi detrarre il percepito. Conclusivamente, il quantum ammonta ad Euro 3.842,16 per differenze di retribuzione mensile, tredicesima e quattordicesima mensilità, TFR e indennità sostitutiva del preavviso.

3.9. E’ fondata anche l’impugnativa del recesso datoriale, poichè la comunicazione di interruzione del rapporto intervenuta prima della scadenza del termine apposto al contratto integra un vero e proprio licenziamento, intimato il difetto di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, stante la genericità delle ragioni addotte a suo sostegno dalla società convenuta. Applicata la tutela obbligatoria e valutati i criteri di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 appare equa la liquidazione dell’indennità risarcitoria pari a 2,5 mensilità della retribuzione propria del livello di inquadramento riconosciuto, ferma restando la facoltà del lavoratore di richiedere, come nella specie, la sola indennità risarcitoria in alternativa alla riassunzione.

4. Per la cassazione di tale sentenza la soc. Aqua Italia propone ricorso affidato a due motivi. Resiste con controricorso il C..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 in relazione alla L. n. 92 del 2012, artt. 24 e 25 per avere la Corte territoriale ritenuto che, in assenza di un valido progetto o programma, operi una presunzione assoluta (iuris et de iure) anzichè una presunzione semplice (iuris tantum) in fattispecie regolata dalla disciplina legale anteriore alla L. n. 92 del 2012. Solo quest’ultima legge ha chiarito il dubbio interpretativo circa la natura della presunzione dettata dall’originario art. 69, comma 1 prevedendo che (art. 1, comma 24) la presunzione legale di subordinazione del rapporto ha carattere di presunzione assoluta, ma chiarendo al contempo (art. 1, comma 25) che la disposizione vale solo per i contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore della stessa L. n. 92 del 2012, ossia per i contratti stipulati dopo il 18 luglio 2012.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 per avere la Corte territoriale esteso l’applicazione della relativa sanzione a contratti diversi da quelli ricadenti nell’alveo applicativo dell’art. 61, comma 1 cit. decreto e precisamente ai contratti di agenzia, come quello che la stessa Corte territoriale ha ritenuto nei fatti sussistente nella specie. Si deduce che, se il ricorrente ha svolto l’incarico di agente commerciale, investito il compito di procacciare nuovi clienti nell’ambito della zona assegnatagli, scegliendo liberamente le modalità organizzative del proprio lavoro, la fattispecie contrattuale è quella dell’agente di commercio, ossia una tipologia di contratto che esula – per espressa previsione legale – dalla disciplina del c.d. lavoro a progetto; l’incipit dell’art. 61, comma 1 è chiarissimo nel sancire la non estensibilità a detta figura contrattuale della disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 in tema di conversione del contratto a progetto.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Premesso che l’argomento utilizzato nella sentenza impugnata riguardo alla norma di interpretazione autentica introdotta dalla L. 92 del 2012, art. 1, comma 24, ha una valenza meramente rafforzativa e confermativa di una lettura che la Corte territoriale ha già ritenuto presente nel sistema di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, l’interpretazione e l’applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, alla fattispecie è conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

Il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 prevede che “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”. A sua volta l’art. 61, comma 1 richiamato (nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie), prevede che “…i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 c.p.c., n. 3, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso…”.

Invece, l’art. 61, comma 2 detta come segue: “Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’art. 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”.

3.2. Con orientamento che qui si intende confermare, è stato affermato che il regime sanzionatorio articolato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti (Cass. n. 12820 del 2016). In particolare, quanto alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, al comma 1 (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f)), questa Corte ha precisato che tale norma si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso (Cass. n. 17127 del 2016; v. pure, Cass. n. 4337 del 2018).

3.3. Secondo la Corte costituzionale (sent. n. 399 del 2008), il D.Lgs. n. 276 del 2003 ha introdotto una disciplina restrittiva per il particolare tipo di lavoro autonomo costituito dalle collaborazioni coordinate e continuative. Al di fuori delle eccezioni previste dall’art. 1, comma 2, e dall’art. 61, commi 1, 2 e 3, questo tipo di contratto può essere stipulato solamente se sia riconducibile ad uno o più progetti specifici o a programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore (art. 61, comma 1). La novità così introdotta a regime dal D.Lgs. n. 276 del 2003 è quella di vietare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di lavoro autonomo, non siano però riconducibili ad un progetto.

3.4. Del pari è condivisibile l’ulteriore considerazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il meccanismo di conversione legale risulta comune ad altre ipotesi in cui il legislatore non si limita a prevedere la mera nullità ex art. 1418 c.c., comma 1, ma, in considerazione della peculiarità degli interessi da tutelare, modificando lo schema causale scelto dalle parti, lo trasforma in un contratto con causa tipica differente, prescindendo dal giudizio di comparazione tra lo scopo originario e lo scopo realizzabile mediante il contratto convertito.

4. Quanto al secondo motivo, va osservato che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, nel disporre che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 c.p.c., n. 3, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, lascia ferma la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, nel senso che non ha abrogato tale fattispecie di lavoro autonomo, ma ha inteso disciplinare quella caratterizzata dal coordinamento. Una volta che le parti abbiano scelto di stipulare un contratto di agenzia, il rapporto sarà regolato dalla disciplina normativa speciale di riferimento, ma tale non è l’ipotesi che ricorre nella specie, in cui le parti non hanno stipulato alcun contratto di agenzia, ma – come emerge dalla sentenza impugnata e non è neppure contestato dalla odierna ricorrente unicamente contratti di lavoro a progetto.

5. Per tali assorbenti motivi, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

6. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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