Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9480 del 28/04/2011

Cassazione civile sez. II, 28/04/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 28/04/2011), n.9480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA R BALSAMO CRIVELLI 50, presso lo studio

dell’avvocato SABELLICO SELENE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GAROFALO DOMENICO;

– ricorrente –

contro

G.I. VED. L. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TRITONE 102, presso lo

studio dell’avvocato NANNA VITO, rappresentata e difesa dall’avvocato

SPAGNOLO ATTILIO;

– controricorrente –

e contro

L.F.M. (OMISSIS), L.V.

(OMISSIS), L.L. (OMISSIS); L.

D., M.M.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1060/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 24/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato Lanzellotto Maria con delega depositata in udienza

dell’Avv. Spagnolo Attilio difensore della resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 1989, M.M.L. e D.G. convenivano di fronte al tribunale di Bari L.D. e G.I. esponendo che essi attori, come i convenuti, erano proprietari di alcuni appartamenti in uno stesso stabile in (OMISSIS).

Detto stabile, un tempo interamente di proprieta’ della M., in diversi contesti temporali era stato alienato ai L., quanto a due appartamenti, l’uno al primo e l’altro al secondo piano, e, quanto ad un appartamento anch’esso al secondo piano, al D., immobile peraltro gravato, in ragione di una espressa clausola in tal senso prevista nel primo rogito (1969), di servitu’ di passaggio a favore dei convenuti.

Tale clausola avrebbe operato fino a che non fosse stata costruita una nuova scala, che avrebbe consentito a questi ultimi l’accesso autonomo alle loro proprieta’. Essendo fatiscente e pericolosa la vecchia scala, si chiedeva accertarsi l’obbligo dei convenuti di concorrere alla costruzione della nuova scala, da eseguirsi in prolungamento di quella esistente, e dichiararsi estinta la ricordata servitu’ di passaggio, con risarcimento dei danni.

I convenuti resistevano alla domanda e proponevano una domanda riconvenzionale: con sentenza del 2002, l’adito tribunale respingeva entrambe le domande e regolava le spese; avverso tale decisione proponevano appello gli originari attori, chiedendo l’accoglimento delle domande proposte in prime cure nonche’ la rifusione delle spese ex art. 1069 c.c. ed il risarcimento dei danni conseguiti al mancato godimento del suo appartamento da parte del D..

Le controparti hanno resistito al gravame, proponendo a loro volta appello incidentale, in ordine alla regolamentazione delle spese.

Con sentenza in data 15.10/24.11.2004, la Corte di appello di Bari rigettava entrambe le impugnazioni e regolava le spese.

Per quanto qui ancora interessa, la Corte distrettuale osservava che la clausola istitutiva della servitu’ de qua non prevedeva l’obbligo degli acquirenti ne’ di realizzare la nuova scala ne’ tanto meno di partecipare alle spese occorrenti per la costruzione di essa; in base appunto al tenore letterale della clausola, era facolta’ dell’alienante far cessare la servitu’ mediante la creazione di una nuova scala.

Il collegamento poi tra la clausola 7 e la clausola 10 era del tutto arbitrario, atteso che la seconda aveva un significato esclusivamente fiscale.

Andava ancora osservato che nel 1995, le parti avevano raggiunto un accordo circa i lavori occorrenti alla vecchia scala, che esulavano pertanto dal thema decidendum della controversia de qua.

Non essendovi poi prova alcuna della avvenuta creazione di una nuova scala (la cui esistenza era stata peraltro contestata dalle controparti), ne conseguiva il rigetto delle domande tutte proposte in prime cure.

La domanda proposta ex art 1069 c.c. poi era da considerarsi nuova, come pure la richiesta di risarcimento danni, proposta in prime cure in modo generico, senza indicazione della causa petendi; solo in secondo grado si era indicato nel mancato godimento dell’appartamento il titolo costitutivo della domanda.

In ogni modo, la rado fondante della pretesa era da ravvisarsi nell’inosservanza, da parte delle controparti, dell’obbligo di costruire la nuova scale, obbligo gia’ ritenuto del tutto insussistente.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di tre motivi, il solo D.; resiste con controricorso, illustrato anche con memoria, la G., deducendo implicitamente l’avvenuta scomparsa del L. nelle more del giudizio; l’altra intimata non ha svolto attivita’ difensiva.

Va preliminarmente esaminata la questione, prospettata in udienza dal relatore e su cui le parti hanno potuto interloquire, come del resto il P. G., dell’intervenuto decesso del L., comproprietario dell’immobile dominante, decesso risultante dalla circostanza secondo cui la G., consorte in vita del predetto, in tutti gli atti da lei provenienti relativi al presente procedimento per cassazione, si proclama “vedova” L..

Fermo il fatto che nella presente sede la morte della parte non influisce sulla prosecuzione del giudizio, resta da esaminare la questione relativa al quando tale evento siasi verificato, atteso che il ricorso risulta notificato al procuratore costituito del L. nel giudizio di appello.

Ove infatti il decesso si fosse verificato prima di detta notifica, risulta evidente che il mandato sarebbe venuto meno con la morte del L. e che quindi la notifica sarebbe risultata priva di effetti con la conseguenza che il presente ricorso avrebbe dovuto essere notificato agli eredi del predetto.

La mancata attivita’ difensiva dello stesso costituisce altro elemento di perplessita’, che rende quanto meno incerta la situazione processuale venutasi a creare al riguardo.

In un contesto quale quello teste’ descritto appariva conseguentemente quanto meno cautelativo disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi del L., e si e’ pertanto disposto in tal senso; provvedutosi a tanto, si perviene all’odierna udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il motivo che si esamina come assolutamente preminente, si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; omessa valutazione dell’avveramento della condizione estintiva del diritto di servitu’ di passaggio esercitato dai controricorrenti.

Si assume che sarebbe censurabile il capo della sentenza impugnata laddove la Corte barese ha ritenuto che gli allora appellanti principali avessero ricondotto all’art. 7 della compravendita del 26.6.1969 l’obbligo degli acquirenti di realizzare la nuova scala e di partecipare alle spese in caso di costruzione della stessa scala, mentre i coniugi L., con l’atto per notar Tafuri, divenivano condomini dello stabile e, come tali, obbligati a concorrere alle spese di rifacimento delle parti comuni dell’edificio, come la scala in questione.

Inoltre la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere che le parti previdero soltanto una facolta’ a favore dell’alienante di estinguere la servitu’, mentre le stesse avevano stabilito che, quando, e non se, fosse stata realizzata una nuova scala, sarebbe risultata estinta la servitu’ di passaggio.

Ove poi il proprietario del fondo servente fosse stato ti arbitro della facolta’ di estinguere la servitu’ con la realizzazione o meno, di una nuova scala, la clausola relativa sarebbe stata nulla per violazione dell’art. 1335 c.c..

In ragione del fatto che i L. erano divenuti condomini, gli stessi dovevano partecipare alle spese per la realizzazione della scala comune.

Ancora, la Corte distrettuale avrebbe omesso di valutare le condizioni fatiscenti delle scala esistente; che era stato realizzato un rustico di una nuova scala non completata e pertanto non percorribile; non si sarebbe pronunciata sulla domanda volta ad ottenere la declaratoria dell’obbligo di proseguire la costruzione di detta scala; non si sarebbe pronunciata sulla domanda risarcitoria proposta dal D. in ragione della situazione venutasi a creare in conseguenza del mancato assolvimento, da parte degli odierni controricorrenti degli obblighi su di loro gravanti.

Il ricorso e’ del tutto privo di fondamento; come ha esattamente osservato la Corte distrettuale, la costruzione di una nuova scala era prevista non come obbligo, per alcuna delle parti contraenti, ma come occasione, ove realizzata, per far cessare la servitu’ esistente sull’appartamento D..

La lettura del testo della clausola relativa appare assolutamente illuminante e l’interpretazione che alla stessa viene data dalla sentenza impugnata, assolutamente coerente con le risultanze tutte documentali e conseguite ad una congrua valutazione della volonta’ delle parti.

Ne consegue che, in base a quell’atto, nessun obbligo gravava sui L. di costruire o di contribuire alla costruzione della scala in questione; del resto, e’ appena ildi ricordarlo ancora, l’interpretazione degli atti e’ compito precipuo ed istituzionale del giudice del merito, e, nella specie, tale analisi ermeneutica risulta condotta con rispetto pieno delle regole normative, della logica e della coerenza argomentativa.

In ragione di tanto, la tesi di una diversa interpretazione dell’atto de quo non puo’ essere in alcun modo condivisa.

Appare poi assolutamente nuova la tesi, sviluppata in ricorso, secondo cui discenderebbe dalla acquisita qualita’ di condomini in capo ai L. l’obbligo di partecipare alle spese per la costruzione della nuova scala; siffatta prospettazione infatti viene proposta per la prima volta in questa sede di legittimita’ ed e’ conseguentemente inammissibile, anche in ragione del fatto che imporrebbe accertamenti di merito incompatibili con la presente sede.

Tutte le altre doglianza,pure riproposte in sede di ricorso, sono poi assolutamente dipendenti e conseguenti alla questione principale teste’ esaminata e non hanno pertanto autonomia, cosa questa che le rende dipendenti dalla soluzione della questione che tutte presuppongono e che, per le ragioni dette, deve essere respinta.

E’ del resto significativo in tal senso che il ricorso non sia stato proposto con motivi chiaramente articolati, ma con proposizioni aventi una pretesa indipendenza argomentativa, ma in realta’ collegati tutti alla prospettazione di base, tanto da non potersi sostenere se non in forza dell’accoglimento della tesi di fondo, che peraltro, per le ragioni ampiamente esplicate, non puo’ essere accolta.

In ragione delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere pertanto respinto; le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, a favore della controricorrente, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2011

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