Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9480 del 21/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 21/04/2010), n.9480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.F., P.V., G.P., eredi di

P.A., elettivamente domiciliati in ROMA VIA LUIGI CANINA

6, presso lo studio dell’avvocato PICCAROZZI BRUNO, che li

rappresenta e difende procura speciale Notaio Dr. CARRESI GABRIELE in

Borgo S. Lorenzo REP. 286410;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI DICOMANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE FLAMINIO 46, presso lo studio

dell’avvocato GREZ GIAN MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato

TOZZI LUCIANO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 163/2003 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 05/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato PICCAROZZI BRUNO, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato TOZZI LUCIANO, che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 10.9.1998 il Comune di Dicomano conveniva in giudizio dinanzi alla corte di appello di Firenze P. A., deducendo di avergli corrisposto la somma complessiva di L. 858.514.020, in virtù della sentenza emessa dalla stessa in data 20.3.1992, con la quale era stato condannato al pagamento di essa a seguito dell’esproprio di un terreno di proprietà di questi per pubblica utilità, sul quale erano stati realizzati degli impianti sportivi. Senonchè, a seguito di gravame dello stesso ente, questa Corte aveva cassato quel provvedimento con rinvio, dal momento che nelle more era intervenuta una nuova disciplina della materia, in base alla quale l’indennizzo era stato rideterminato in meno, in misura consistente. Pertanto chiedeva la restituzione delle somme pagate in più, oltre agli interessi e rivalutazione dai singoli pagamenti al saldo, compresa la relativa imposta, ritenuta e versata nella qualità di sostituto.

Instauratosi il contraddittorio, P. eccepiva che da migliori conteggi non era detto che l’ente pubblico potesse risultare comunque ancora creditore dopo l’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996;

in ogni caso il processo andava riunito a quello riassunto a seguito della cassazione della sentenza di appello con rinvio, ovvero sospeso, anche perchè la questione era stata sottoposta al giudizio di costituzionalità da parte della Consulta. In ogni caso gli interessi non potevano decorrere dai singoli pagamenti, bensì dall’entrata in vigore della legge suindicata, o in subordine dalla domanda.

Il giudice, in accoglimento di questa, condannava il convenuto al pagamento della somma di Euro 92.851,00 con sentenza n. 163 del 2003, quale differenza in più da lui ricevuta, oltre agli interessi dai singoli pagamenti e alla ritenuta d’acconto, gravante sul medesimo, cui era stata versata l’intera indennità al netto della relativa imposta.

Avverso la relativa decisione F. e P.V., nonchè G.P., eredi di P.A., nel frattempo deceduto, hanno proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi.

Il Comune di Dicomano ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo le ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, D.P.R. n. 600 del 1972, art. 64, art. 1188, comma 1 e art. 2033 c.c., con riferimento all’art. 360, n. 3 del codice di rito, in quanto la CTR non considerava che le somme ritenute per imposta dal Comune non possono gravare sulle ricorrenti, atteso che trattandosi di indebito, il relativo importo andava richiesto direttamente all’erario, anche se il sostituito era pure debitore solidale.

Il motivo è fondato. La CTR osservava che la ritenuta operata dall’ente espropriante gravava sul percipiente l’indennizzo, che era sostituito, e che perciò in definitiva ne era l’obbligato.

L’assunto non è esatto.

Invero il fatto che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, comma 1, definisca il sostituto d’imposta come colui che “in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri … ed anche a titolo di acconto” non toglie che anche il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in relazione alla fase della riscossione) obbligato solidale d’imposta, e quindi egli stesso soggetto al potere di accertamento ed a tutti i conseguenti oneri. In coerenza con i principi generali in materia di solidarietà passiva, tale rapporto di solidarietà non da luogo, neppure nel processo tributario, a litisconsorzio necessario, ma, eventualmente, solo a quello facoltativo. Ne consegue che ove il sostituito pretenda il rimborso dell’indebito tributario, ben può rivolgere la domanda nei confronti del sostituto, oltre che nei riguardi dell’Amministrazione erariale, e pertanto non si configura alcuna irregolarità nel fatto che P. avesse chiesto il rimborso dell’imposta direttamente al Comune (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 8504 del 08/04/2009, n. 5020 del 2003). Semmai poi era questo che aveva azione di rivalsa nei confronti dell’agenzia delle entrate.

Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivala in modo giuridicamente corretto.

2) Col secondo motivo le ricorrenti denunziano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1282 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto il giudice di merito non considerava che il restringimento del diritto al risarcimento nel caso in esame era scaturito direttamente dalla legge sopravvenuta, con efficacia retroattiva. Nè una simile innovazione era prevedibile rispetto alla eventuale modificazione del rapporto tra le parti in una normale dialettica giurisdizionale, tanto che al limite persino uno stesso giudicato potrebbe essere travolto da innovazione legislativa in mancanza di divieto di carattere costituzionale. Perciò, non versandosi in tema di dolo o colpa dell'”accipiens”, la decorrenza degli interessi per il di più a restituirsi non può che essere dal 1.1.1997, data di entrata in vigore della legge, ovvero dalla pubblicazione di quella di cassazione del 20.5.1998, con cui era stato accolto il ricorso del Comune.

La censura va condivisa.

Il giudice adito rilevava che per gli interessi il rapporto espropriativo comportava comunque dei rischi, e perciò una possibile modifica normativa anche sul piano dell’ammontare dell’indennità, sicchè i frutti sul versato non potevano che farsi decorrere da quando le somme erano state corrisposte. L’assunto non è esatto.

Invero l’azione di restituzione, che veniva proposta a norma dell’art. 389 cod. proc. civ., dalla parte vittoriosa, e cioè dal Comune, nel giudizio di cassazione in relazione alle prestazioni eseguite in base alla sentenza d’appello poi annullata, non era riconducibile allo schema della “condictio indebiti”, ma si ricollegava ad una specifica ed autonoma esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione cassata, che prescindeva dalla buona o mala fede dell'”accipiens” P., il quale perciò non era tenuto comunque a sopportare il rischio dell’attuazione della tutela giurisdizionale invocata, dal momento che il quadro normativo di riferimento era stato mutato notevolmente dallo “jus superveniens”, costituito dalla L. n. 662 del 1996, e per di più con efficacia retroattiva. Peraltro la sua applicazione aveva dato luogo a gravi problemi interpretativi, tanto da rendere necessaria una pronuncia delle Sezioni unite, e precisamente la sentenza n. 494 del 20/01/1998, per la quale i nuovi parametri trovavano applicazione anche nei riguardi di tutti i procedimenti ancora in corso al momento della sua entrata in vigore, come nella specie. In particolare proprio la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65, che ha introdotto nel cit. art. 5 bis, il comma settimo bis per i criteri di determinazione stabiliti per l’indennizzo in caso di espropriazione per pubblica utilità, trova applicazione in tutti i giudizi in corso non definiti con sentenza passata in giudicato (e quindi anche nei giudizi pendenti in sede di legittimità). Precisamente tali criteri di determinazione dell’indennità di cui al comma primo si applicano per la liquidazione del danno con esclusione della riduzione del 40 per cento, ed inoltre l’importo del risarcimento è aumentato del 10 per cento a seguito di tale modifica, in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità intervenute anteriormente al 30 settembre 1996. Pertanto nella specie la decorrenza degli interessi, come previsti, doveva fare riferimento alla pronuncia di questa Corte del 20 maggio 1998 con rinvio, come indicato nella parte espositiva, dal momento che solo in virtù di essa, con cui la nuova disciplina veniva applicata, la parte dell’indennità che doveva essere restituita a P. era stata poi liquidata.

Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.

Quanto alle spese di questa fase, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla corte di appello di Firenze, altra sezione, per nuovo esame.

così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2010

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