Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9480 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/04/2019, (ud. 31/01/2019, dep. 04/04/2019), n.9480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15596-2014 proposto da:

B.C., + ALTRI OMESSI tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, L.GO TRIONFALE 7, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

FIORINI, rappresentati e difesi dall’avvocato GABRIELE SILVETTI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1440/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 17/12/2013 R.G.N. 1549/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di L’Aquila in sede di rinvio, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Pescara, rigettando la domanda di B.C. e altri litisconsorti, lavoratori ATA presso enti locali, trasferiti con decorrenza 1/01/2000 nei ruoli del personale scolastico ai sensi della L. n. 124 del 1999, art. 8 con cui gli stessi chiedevano di sentir- accertare il loro diritto a vedersi riconoscere, ai fini economici oltre che giuridici, l’intera anzianità di servizio maturata nell’ente locale, con condanna del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca al pagamento delle differenze retributive tra quanto da percepito e quanto sarebbe spettato loro se fosse stata riconosciuta l’intera anzianità maturata presso l’ente di provenienza;

col passaggio dall’ente locale alla scuola, e in ragione dell’immediato subentro della disciplina contrattuale del comparto scolastico, gli appellanti avevano assunto di aver ricevuto un inquadramento retributivo meno favorevole di quello che avrebbero ricoperto presso l’ente cedente;

il comportamento dell’amministrazione scolastica, secondo gli appellanti, aveva disatteso non solo i principi di cui alla Direttiva 77/187 CEE (art. 3), ma anche l’interpretazione che di essi ha dato la Corte Europea di Giustizia (Grande Chambre) nella pronuncia 6/9/2011 C- 108/2010, Scattolon c. Miur, in sede di rinvio pregiudiziale;

in sede interpretativa della norma Europea, la Corte ha posto alcuni principi, finalizzati a scongiurare l’eventualità che il lavoratore trasferito possa subire un peggioramento retributivo sostanziale rispetto a quello percepito presso l’ente cessionario, per il mancato riconoscimento dell’anzianità maturata presso il cedente, da considerarsi equivalente a quella maturata dagli altri lavoratori alle dipendenze del cessionario;

la Corte Europea di Giustizia ha statuito che è compito del giudice nazionale esaminare se, all’atto del trasferimento di cui si controverte nella causa principale, un siffatto peggioramento retributivo abbia avuto luogo;

questa Corte, in seguito alla pronuncia della Corte Europea di Giustizia C – 108 Scattolon c. Miur accogliendo il ricorso dei lavoratori, aveva cassato la pronuncia d’appello e rinviato alla stessa Corte territoriale in diversa composizione affinchè procedesse alla verifica in concreto dell’eventuale sussistenza del peggioramento retributivo sostanziale subito all’atto del trasferimento, ed accogliesse o respingesse la domanda in relazione al risultato di detta verifica (Cass. n. 25028 del 2011);

la Corte d’Appello di L’Aquila in sede rescissoria, ha rigettato la domanda degli appellanti, avendo accertato che gli stessi non avevano fornito la prova dell’avvenuto peggioramento sostanziale del trattamento stipendiale percepito al momento del passaggio, ma avevano lamentato di non aver ottenuto quanto sarebbe stato loro corrisposto se fosse stata riconosciuta per intero l’anzianità di servizio; non ha reputato idonea a dimostrare l’intervenuto peggioramento neanche la mancata erogazione di indennità precedentemente godute presso il cessionario (incentivo presenze, incentivo medio individuale, progetto obiettivo, premio di qualità etc…), ritenendo di adeguarsi all’interpretazione del diritto Europeo da parte della Corte di Giustizia, fatta propria dal principio di diritto affermato dalla sentenza rescindente, secondo la quale il confronto tra i due trattamenti retributivi va operato globalmente e non voce per voce e non lascia margini alla rilevanza di possibili non apprezzabili differenze;

la cassazione di tale decisione è domandata da B.C. e dagli altri litisconsorti sulla base di cinque motivi; il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca rimane intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono “Violazione e falsa applicazione degli artt. 47,17, paragrafo 1, primo periodo, e 52, paragrafo 3, primo periodo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sottoscritta a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nonchè dell’art. 1, paragrafo 8, del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, che ha sostituito l’art. 6 delle Disposizioni generali del Trattato sull’Unione Europea sottoscritto a Maastricht il 7 febbraio 1992; violazione e falsa applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, nonchè dell’art. 1, comma 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmato a Parigi il 20 marzo 1952, entrambi ratificati e resi esecutivi con la L. 4 agosto 1955, n. 848”; denunciano che la sentenza rescindente è precedente alla sentenza CEDU resa nel caso “Agrati” del 7 giugno 2011 e non ha tenuto conto della successiva giurisprudenza della CEDU intervenuta sulla medesima fattispecie, i cui principi sono imprescindibili per la corretta definizione del caso de quo; ripercorrono il cammino normativo e giurisprudenziale della controversa vicenda, per concludere che, stante il contrasto rilevato dalla sentenza “Agrati” del 7 giugno 2011, tra la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, e l’art. 6 della Conv. EDU e gli artt. 47 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Corte territoriale avrebbe dovuto non già disapplicare la norma, bensì applicare la L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2 dichiarando il diritto dei lavoratori trasferiti al comparto scuola alla conservazione integrale dell’anzianità di servizio maturata nell’ente locale di provenienza;

rigettando la domanda in sede rescissoria, la Corte d’Appello avrebbe falsamente applicato la legge riconoscendo la predetta anzianità ai soli fini giuridici e non anche a quelli economici, e ritenendo erroneamente che la questione della disapplicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 fosse rimasta assorbita dalla sentenza della Corte Europea di Giustizia del 6 settembre 2011 resa nel caso “Scattolon” e richiamata nella sentenza rescindente di questa Corte (Cass. n. 25028 del 2011);

con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorrenti denunciano “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Direttiva comunitaria 77/187/CE”; avrebbe errato la Corte territoriale a non rilevare le reali e gravi ricadute effettive del trasferimento sull’inquadramento retributivo dei dipendenti, dovute all’applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218; tali ricadute erano state puntualmente provate fin dal giudizio di primo grado e poi con l’atto di riassunzione, mediante l’allegazione dei certificati di servizio, dei decreti d’inquadramento, e della produzione dei calcoli delle differenze retributive, maturate dagli odierni ricorrenti fin dall’inizio del contenzioso; la Corte territoriale si sarebbe sottratta dallo svolgere l’accertamento domandato dalla sentenza rescindente, “trincerandosi” dietro la mancata dimostrazione da parte dei ricorrenti del peggioramento retributivo;

il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., connessa al compiuto fraintendimento e al mancato esame della domanda giudiziale proposta e dell’atto di riassunzione depositato dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila”; i ricorrenti deducono che al momento della proposizione del ricorso in primo grado non si era chiesto alla parte di provare l’avvenuto peggioramento retributivo, bensì di contestare le ragioni di diritto in forza delle quali le norme assunte successivamente all’emanazione della L. n. 124 del 1999 dovessero essere ritenute illegittime e disapplicate; pertanto, avrebbe errato la Corte territoriale nell’imputare ai ricorrenti l’omissione di elementi probatori non richiesti prima della riassunzione della causa e di ritenere che il dato dell’assenza di un peggioramento retributivo sia rimasto incontestato;

con quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della direttiva comunitaria n. 77/187/CE”; della L. n. 124 del 1999, art. 8 deve essere considerato attuativo della direttiva di cui in epigrafe, che, all’art. 7, stabilisce che gli Stati membri possono applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori; la sentenza gravata sarebbe errata anche sotto il richiamato profilo della violazione della Direttiva, atteso che, mancando di disapplicare la L. n. 266 del 2005, art. 1,comma 218 essa avrebbe dato il via libera a una normativa che prevedeva un trattamento sicuramente deteriore rispetto a quello previsto dalla legge mediante la quale si era data specifica attuazione alla direttiva n. 77/187/CE;

con il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si contesta “Violazione dell’art. 112 c.p.c. e conseguentemente nullità della sentenza d’appello, per omesso esame dell’eccezione proposta alla pagina 36 dell’atto di riassunzione (riproposta al soprastante paragrafo 4 del presente ricorso), ossia della questione relativa alla sussistenza del contrasto della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, con il diritto comunitario, ai sensi dell’art. 7, della Direttiva n. 77/187/CE”; l’esame “neppure per implicito” (p. 50 ric.), da parte della Corte territoriale, della questione sollevata dai ricorrenti in sede di riassunzione relativa alla violazione dell’art. 7 della Direttiva di cui in epigrafe, renderebbe nulla la sentenza impugnata;

il primo, il secondo e il quarto motivo, logicamente connessi in quanto attinenti all’inquadramento normativo della fattispecie, vanno esaminati congiuntamente;

essi non meritano accoglimento in quanto non aggiungono elementi utili all’accertamento – nel senso auspicato – all’esame della Corte territoriale, e, in particolare, non deducono gli esatti termini del contrasto della sentenza impugnata con i principi affermati dalla Corte Europea di Giustizia nel caso Scattolon c. Miur e riaffermati con la sentenza rescindente;

sulle questioni sollevate da parte ricorrente questa Corte è già intervenuta (si veda per tutte Cass. n. 20342/2012, in particolare nei punti da 12 a 31) affermando principi ai quali va data continuità;

sulla scorta delle valutazioni svolte e dei principi nomofilattici affermati da questa Corte, la normativa nazionale va interpretata alla luce del diritto dell’Unione Europea e precisamente dell’art. 3 della direttiva 77/187/CE, come interpretato dalla Corte Europea di Giustizia, secondo cui il passaggio alle dipendenze dello Stato non può determinare per il lavoratore “…condizioni di lavoro meno favorevoli di quelle godute in precedenza, secondo una valutazione comparativa da compiersi all’atto del trasferimento, in relazione al trattamento retributivo globale”;

il giudice nazionale è dunque chiamato ad accertare se, in virtù del mancato riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un peggioramento retributivo; nella stessa sentenza la Corte Europea di Giustizia ha anche indicato i criteri che il Giudice del merito deve applicare per accertare se ci si trova di fronte a condizioni meno favorevoli nel caso (come quello in esame) in cui il lavoratore trasferito si vede applicato immediatamente il contratto in vigore presso il cessionario;

ha stabilito in proposito che: a) quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto va attuato con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento del lavoratore (n. 75, 77, 82 e 83 della Direttiva); b) quanto alle modalità, deve trattarsi di un “peggioramento retributivo sostanziale” e la comparazione non riguarda il singolo istituto, bensì il trattamento retributivo globalmente inteso (n. 76, n. 82 della Direttiva); c) quanto al momento da prendere in considerazione il confronto va svolto all’atto del trasferimento (nn. 82 e 83);

i motivi di ricorso si palesano, pertanto generici, in quanto la Corte territoriale in sede rescissoria ha esperito l’accertamento richiesto da questa Corte con la sentenza n. 25028 del 2011, escludendo il peggioramento retributivo sostanziale e conseguente violazione della Direttiva 77/187/CE;

in particolare ha stabilito, con motivazione esente da vizi, che la posizione stipendiale attribuita ai dipendenti ATA provenienti da ente locale e trasferiti alla scuola, va considerata pari al trattamento annuo in godimento al 31/12/1999, (lett. a) sopra richiamata), costituito dalla retribuzione ed escluse le indennità accessorie; che tale trattamento non ha determinato in capo agli appellanti un peggioramento retributivo sostanziale, nei termini di cui alla lett. b), e ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218; che il livello retributivo da ultimo raggiunto presso l’ente locale era stato garantito attraverso il riconoscimento di un assegno ad personam pari alle differenze tra la retribuzione riconosciuta dall’ente cessionario e il trattamento annuo in godimento presso l’ente cedente fino alla data del passaggio (31 dicembre 1999); che i lavoratori non hanno fornito la prova in giudizio che la retribuzione riconosciuta dal cessionario all’atto del trasferimento (nei termini di cui alla lett. c), abbia determinato un peggioramento retributivo sostanziale rispetto al trattamento goduto presso il cedente in ragione del mancato riconoscimento integrale dell’anzianità posseduta, ma che la doglianza era fin dall’origine prospettata con riferimento non all’inferiore trattamento goduto al momento del passaggio, bensì al mancato conferimento di quanto i lavoratori avrebbero potuto conseguire se fosse stata riconosciuta loro per intero l’anzianità di servizio;

questa Corte ha ritenuto che le differenze nella struttura del trattamento retributivo dei molteplici comparti della pubblica amministrazione, possono determinare che la contrattazione collettiva conferisca un peso diverso al fattore dell’anzianità – intesa ora come automatismo ora come esperienza acquisita nella qualifica – ai fini dell’attribuzione degli scatti retributivi; pertanto, e in conformità con i principi affermati dalla Corte Europea di Giustizia, in sede interpretativa della Direttiva 77/187/CEE, così come applicati da questa Corte (Cass. n. 20342/2012; Cass. n. 13598/2017), in caso d’immediato subentro della disciplina contrattuale del personale scolastico a quella degli enti locali, il giudizio sul “peggioramento sostanziale” della posizione retributiva complessiva eventualmente subita all’atto del passaggio, non può che basarsi su un’analisi concreta dell’effetto che il riallineamento delle posizioni contrattuali ante e post avvicendamento hanno prodotto sull’inquadramento retributivo del dipendente;

solo allorquando dall’inquadramento retributivo derivante dall’abbandono del precedente contratto collettivo e dall’immediato assoggettamento al nuovo, dovesse determinarsi un peggioramento sostanziale nel senso anzidetto, rispetto al quale non rilevano marginali possibili scostamenti, il dipendente avrebbe diritto a rivendicare le corrispondenti differenze retributive presso l’ente di destinazione;

va rilevato che le presenti censure non contestano specificamente la ratio decidendi su cui si fonda la sentenza impugnata, ma attengono, piuttosto, all’accertamento di fatto compiuto dal Giudice del merito, il quale può essere posto in discussione in sede di legittimità soltanto nei ristretti limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla fattispecie ratione temporis (la sentenza impugnata risulta pubblicata il 17 dicembre 2013);

il terzo e il quinto motivo, logicamente connessi, vanno esaminati congiuntamente;

essi deducono la nullità della sentenza per un verso (terzo motivo) per aver domandato ai ricorrenti di provare un peggioramento retributivo che non costituiva oggetto della domanda formulata al momento della proposizione del ricorso in primo grado, il quale avrebbe avuto ad oggetto la disapplicazione delle norme successive alla L. n. 124 del 1999; per altro verso (quinto motivo) per non aver pronunciato in merito al contrasto della L. n. 266 del 2005, art. 1,comma 218 con l’art. 7 della Direttiva n. 77/187/CE, questione pur sollevata dai ricorrenti in sede di riassunzione della causa;

i motivi non meritano accoglimento, atteso che l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale risponde pienamente alle statuizioni contenute nella sentenza rescindente di questa Corte; essa infatti ha accertato, con motivazione esente da vizi, che i ricorrenti non avevano fornito prova di aver subito un peggioramento retributivo sostanziale a causa del mancato riconoscimento integrale dell’anzianità all’atto del trasferimento e che, neanche in sede di ricorso in riassunzione, avevano indicato altre forme o ragioni del danneggiamento subito, tali da far ritenere illegittimo l’inquadramento retributivo operato dall’amministrazione scolastica all’atto del trasferimento;

in definitiva, non meritando le censure accoglimento, il ricorso va rigettato; nulla si dispone per le spese in mancanza di attività difensiva da parte degli intimati;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 31 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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