Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9474 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. III, 09/04/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 09/04/2021), n.9474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26400/2018 R.G. proposto da:

Aeroflot Russian Airlines, rappresentata e difesa dall’Avv. Tatiana

Della Marra;

– ricorrente –

contro

L.A., e L.R.;

– intimati –

avverso la sentenza del Tribunale di Catania n. 1514/2018 depositata

il 6 aprile 2018;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 dicembre 2020

dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;

udito l’Avvocato Giovanni Paolo Alleva, per delega dell’Avv. Della

Marra;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Cardino Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A. e L.R. convennero in giudizio davanti al Giudice di Pace di Catania la Aeroflot Russian Airlines chiedendone – per quanto ancora in questa sede interessa – la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa del ritardo di parecchie ore del volo (OMISSIS), in conseguenza del quale avevano perso le coincidenze per (OMISSIS).

Il Giudice di pace accolse la domanda ritenendo applicabile -anche alle ipotesi, quale quella di specie, di trasporto internazionale non direttamente soggette alla disciplina uniforme – la tutela risarcitoria prevista dal regolamento CE 261/04, nella misura di Euro 600 per ciascun passeggero, in caso di ritardato arrivo a destinazione del volo pari o superiore alle 3 ore; ciò in forza del rinvio operato dall’art. 941 c.n. alle norme comunitarie internazionali in vigore nella Repubblica.

2. Tale decisione è stata confermata, sia pure con diversa motivazione, dal Tribunale di Catania.

Il giudice a quo ha, infatti, ritenuto che alla fattispecie non fossero applicabili nè la Convenzione di Montreal del 1999 (in quanto mai ratificata dalla (OMISSIS)), nè il regolamento CE n. 261/04, non facendo parte dell’UE la (OMISSIS), ma occorresse piuttosto fare applicazione della Convenzione di Varsavia del 1929, la quale prevede, all’art. 19, la responsabilità del vettore per il caso di ritardo nel trasporto, ma tuttavia, a differenza del citato regolamento, non prevede alcuna compensazione pecuniaria.

Ha nondimeno ritenuto che, stante il comprovato inadempimento imputabile ad Aeroflot, spettasse a parte appellata il diritto di ottenere la compensazione pecuniaria nella misura indicata dal Giudice di pace, “anche in applicazione analogica dell’art. 7 Reg. CE n. 261/04”.

3. Avverso tale decisione Aeroflot Russian Airlines ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese nella presente sede.

La ricorrente ha depositato memoria.

Fissata la trattazione in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., il P.G. ha depositato conclusioni, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.

All’esito dell’adunanza, tenutasi il 2 luglio 2020, il Collegio, con ordinanza in pari data, ne ha disposto il rinvio a nuovo ruolo perchè fosse trattata in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “violazione e/o falsa applicazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 3Regolamento CE 261/04 e dell’art. 1223 c.c., in relazione all’applicabilità dell’art. 7 stesso regolamento a fattispecie esclusa e viceversa regolata dall’art. 1223 c.c., in virtù degli artt. 19 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, resa esecutiva in Italia con la L. 19 maggio 1932, n. 841 nel testo modificato dal protocollo dell’Aja del 1955, nonchè violazione e/o falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – dell’art. 12 disp. gen. (preleggi), per l’utilizzo del criterio analogico nell’interpretazione dell’art. 7 Reg. CE 261/04 nel senso della sua applicabilità a fattispecie escluse dall’art. 3 Reg. CE cit.” (così testualmente nell’intestazione).

La ricorrente censura l’applicazione analogica dell’art. 7 Reg. CE 261/04 a fattispecie esclusa dall’art. 3 del medesimo, in luogo dell’applicazione diretta dell’art. 1223 c.c., in violazione anche dell’art. 12 preleggi a mente del quale il criterio analogico è utilizzabile soltanto nel caso in cui “la controversia non può essere decisa con una precisa disposizione”.

Rimarca in tal senso che l’art. 7 Reg. CE 261/04, proprio perchè prevede, per il ritardo aereo, una compensazione pecuniaria di carattere indennitario indipendente dall’esistenza di un danno, si colloca al di fuori dell’impianto normativo sul risarcimento del danno contrattuale, e si configura come norma speciale inapplicabile a casi diversi da quelli in essa contemplati.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. in relazione alle tipologie del danno contrattuale ivi previste”.

Lamenta in sintesi che il Tribunale ha riconosciuto e liquidato un danno al di fuori delle tipologie previste dall’art. 1223 c.c., non essendo individuato nè in sentenza, nè nella domanda, una diminuzione patrimoniale conseguente al ritardo aereo lamentato.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 1223 c.c. nonchè agli artt. 115 e 112 c.p.c.” per avere il Tribunale riconosciuto un danno sulla sola base dell’accertato inadempimento, in mancanza di prova di un pregiudizio, effettivo e reale, ad esso conseguente.

Rileva che la sentenza impugnata non fa alcun riferimento nè all’esistenza di un mai prospettato danno (ovviamente assolutamente indimostrato nella sua esistenza), connesso al ritenuto inadempimento contrattuale, nè ad una sua quantificazione in qualsiasi modo operata.

Il che – afferma – ove si escluda l’applicazione della compensazione pecuniaria prevista dall’art. 7 del Reg. CE 261/04, configura il vizio denunciato, sia sotto il profilo della violazione delle norme sull’onere della prova, sia sotto il profilo della carenza assoluta di motivazione, atteso che la statuizione di conferma della condanna appare del tutto apodittica, priva delle necessarie premesse in fatto ed in diritto.

4. Le censure, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono fondate.

L’errore di diritto in cui è incorsa la sentenza impugnata emerge con nettezza nell’assunto di fondo, che ne costituisce l’unica effettiva ratio decidendi, secondo cui, nella specie, il diritto alla “compensazione pecuniaria” (ossia alla tutela indennitaria subita dal passeggero per il ritardo del volo) può essere riconosciuto in virtù di una applicazione – non diretta (essendo questa esclusa dalla estraneità della (OMISSIS) alla U.E.), ma – analogica dell’art. 7 Reg. CE n. 261 del 2004.

Il riconoscimento di un indennizzo per compensare i danni derivanti dall’inadempimento o dall’inesatto adempimento del contratto di trasporto, indipendentemente dalla allegazione e prova dell’esistenza e dell’entità di tali danni, non è principio generale del nostro ordinamento che al contrario, all’art. 1223 c.c., stabilisce la regola per cui il debitore inadempiente risponde (solo) dei danni che costituiscono “conseguenza immediata e diretta” dell’inadempimento e, all’art. 2697 c.c., onera colui il quale vanta un credito risarcitorio della prova del fatto costitutivo della propria pretesa e, dunque, in particolare, vertendosi in tema di danni derivanti da ritardato adempimento, della prova del danno e – trattandosi, come si dirà, di danni consequenziali o estrinseci – anche del suo collegamento causale con la condotta del debitore secondo nesso di c.d. causalità giuridica.

Ne discende che la disciplina Eurounitaria dettata dagli artt. 5 e 7 Reg. CE n. 261/04 dell’11 febbraio 2004 per il caso di cancellazione del volo (ritenuta applicabile dalla giurisprudenza Europea anche al caso di ritardo superiore a tre ore), nel prevedere un ristoro di tipo indennitario, che come tale prescinde dalla prova del danno e di detto nesso causale e compete anzi pur in assenza di effettivo pregiudizio, rappresenta una eccezione rispetto alla regola.

Essa pertanto non è applicabile al di fuori dei casi contemplati.

L’art. 3, paragrafo 1, del Regolamento limita espressamente il suo campo di applicazione ai passeggeri in partenza da un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro soggetto alle disposizioni del Trattato e ai passeggeri in partenza da un aeroporto situato in un paese terzo con destinazione in un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro soggetto alle disposizioni del trattato, se il vettore aereo operativo è un vettore dell’Unione.

Tali presupposti pacificamente non ricorrono nella specie e sono stati espressamente esclusi in sentenza.

La regola di giudizio applicata dal giudice d’appello si rivela pertanto destituita di fondamento.

5. La congiunzione “anche” anteposta in sentenza al fondamento della decisione (applicazione analogica del regolamento comunitario) rimane priva di senso, non individuandosi in sentenza alcun riferimento ad altra possibile ragione giustificativa (diversa, cioè, da detta applicazione analogica, erroneamente predicata).

Per l’ipotesi che il giudice a quo abbia in tal modo implicitamente inteso fare esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno (art. 1226 c.c.) occorre osservare – prescindendo dal rilievo che la sentenza impugnata non parla mai di liquidazione equitativa, ma piuttosto di “applicazione analogica” del regolamento – che si tratterebbe di percorso giuridicamente non corretto, in quanto non giustificato da alcuna delle emergenze fattuali palesate in sentenza.

Si deve al riguardo rammentare che, secondo pacifico insegnamento, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare (v. e pluribus Cass. 30/04/2010, n. 10607; 12/10/2011 n. 20990; 23/09/2015, n. 18804; 22/02/2018, n. 4310).

Più precisamente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. presuppone:

a) la certa esistenza del danno (il potere di liquidazione equitativa non potendo supplire alla mancata prova dell’esistenza stessa del danno);

b) l’impossibilità o rilevante difficoltà di quantificarlo, che deve essere “oggettiva”, cioè positivamente riscontrata e non meramente supposta, e “incolpevole”, cioè non dipendente dall’inerzia della parte gravata dall’onere della prova (v., da ultimo, Cass. 17/11/2020, n. 26051).

6. Nel caso di specie è bensì certo il ritardo del volo; questo però identifica e definisce il fondamento della responsabilità contrattuale ossia, per l’appunto, il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione assunta dal vettore (che di per sè obbliga il debitore al risarcimento del danno: art. 1218 c.c.), ma non basta ancora a dimostrare anche l’effettiva esistenza di un danno risarcibile.

Più precisamente, la prova del contratto di trasporto e l’allegazione del ritardo implicano bensì, di per sè, anche l’allegazione della lesione di un interesse rilevante in contratto e, dunque, di un danno-evento. Secondo i generali criteri di riparto dell’onere probatorio in tema di responsabilità contrattuale tale acquisizione (ossia l’esistenza di un danno-evento) non richiede l’assolvimento di alcun altro onere probatorio da parte del creditore (spettando al debitore dimostrare l’esatto adempimento o che il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile: art. 1218 c.c.).

L’esistenza di un danno-evento contrattuale non necessariamente comporta, però, anche l’esistenza di un danno risarcibile.

Varrà rammentare al riguardo che, secondo i più recenti approdi della giurisprudenza di questa Corte, cui va data continuità, nei rapporti che rispondono allo schema classico dell’obbligazione di dare o di facere (non professionale) contenuto nel codice civile (e tale è certamente l’obbligazione derivante dal contratto di trasporto), la “causalità materiale”, ovvero il nesso che consente l’imputazione, sul piano oggettivo, del danno alla condotta (inadempiente) del debitore, “non è praticamente separabile dall’inadempimento, perchè quest’ultimo corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e dunque al danno evento. La causalità acquista qui autonomia di valutazione solo quale causalità giuridica, e dunque quale delimitazione del danno risarcibile attraverso l’identificazione del nesso eziologico fra evento di danno e danno conseguenza (art. 1223 c.c.).

“L’assorbimento pratico della causalità materiale nell’inadempimento fa sì che tema di prova del creditore resti solo quello della causalità giuridica (oltre che della fonte del diritto di credito), perchè, come affermato da Cass. S.U. n. 13533 del 2001, è onere del debitore provare l’adempimento o la causa non imputabile che ha reso impossibile la prestazione (art. 1218 c.c.), mentre l’inadempimento, nel quale è assorbita la causalità materiale, deve essere solo allegato dal creditore. Non c’è quindi un onere di specifica allegazione (e tanto meno di prova) della causalità materiale perchè allegare l’inadempimento significa allegare anche nesso di causalità e danno evento” (così, in motivazione, Cass. 11/11/2019, nn. 2899128992, p. 1.1.1).

Nella misura in cui il danno-evento “assorbito” nell’inadempimento o nell’inesatto adempimento corrisponda al mancato conseguimento di una utilità prevista in contratto, e suscettibile di apprezzamento sul piano risarcitorio, sarebbe per ciò stesso dimostrata anche l’esistenza di un danno risarcibile, pari al valore della utilità (o della parte di essa) attesa e non conseguita. Nel caso in esame, se si fosse trattato di cancellazione del volo non sarebbe stato difficile identificare e stimare il danno da porre ad oggetto della succedanea prestazione risarcitoria (quanto meno pari al valore della prestazione non eseguita o ai costi da sostenere per procurarsela altrimenti), salva anche in tal caso la prova degli ulteriori danni c.d. consequenziali di cui discorre l’art. 1223 c.c..

La fattispecie in esame non è però quella di un inadempimento in senso proprio ma, come detto, quella dell’adempimento ritardato (e, dunque, inesatto): la prestazione non è mancata ma differisce da quella programmata in contratto ed attesa dal creditore in relazione ad una dimensione che la connotava, quella temporale.

7. La distanza cronologica tra il volo programmato e quello effettivo fa sì che la prestazione eseguita non sia esattamente corrispondente a quella programmata in contratto e dovuta dal vettore.

Poichè l’interesse del creditore era certamente correlato anche a tale connotazione temporale della prestazione, non può dubitarsi che la sua mancanza determini lesione di quell’interesse e, in tal senso, anch’essa, un danno-evento.

Tale lesione non è però direttamente correlabile anche ad un pregiudizio risarcibile.

L’interesse del creditore (contrattualmente rilevante) al rispetto dell’orario programmato del volo non esibisce un intrinseco univoco valore suscettibile di essere posto direttamente ad oggetto e parametro della succedanea obbligazione risarcitoria: il tempo perduto (ossia quello intercorso tra il momento nel quale il creditore attendeva di essere già a destinazione e invece non lo è stato e il momento, successivo, in cui lo è stato) è di per sè un bene impalpabile in assenza di alcun riferimento a ciò che in quel segmento temporale il creditore avrebbe potuto fare e non ha fatto e/o a ciò che avrebbe potuto evitare di fare e che invece è stato costretto a fare.

Il danno risarcibile dunque non può, in tal caso, che identificarsi interamente con le utilità ed i vantaggi, estranei al vincolo obbligatorio, che siano andati eventualmente perduti in ragione del ritardo (lucro cessante) e/o con i maggiori esborsi eventualmente resisi necessari (danno emergente).

8. Ciò, però, colloca il danno risarcibile sul piano dei c.d. danni consequenziali o estrinseci (tali sono, secondo definizione dottrinale, quei “pregiudizi che sporgono rispetto al solo valore dell’interesse creditorio non realizzato, o realizzato in maniera inesatta”, distinti dal danno primario o intrinseco rappresentato dal mancato conseguimento o dal conseguimento inesatto dell’utilità contrattualmente dovuta ed attesa).

Fuoriuscendo tali ulteriori vantaggi e utilità perdute dal perimetro dell’obbligazione, sarà onere del creditore farne specifica allegazione e darne dimostrazione, sia pure attraverso presunzioni, fondate su massime di comune esperienza.

Solo una volta verificata l’esistenza di tali allegazioni e ritenutane la loro fondatezza, sia pure sulla base di ragionamento probatorio di tipo presuntivo, potrà farsi utile ricorso alla liquidazione equitativa del danno, nel rispetto dei requisiti sopra detti.

9. La sentenza impugnata non esamina la fattispecie alla luce dell’esposto quadro normativo di riferimento e va pertanto cassata, in accoglimento del ricorso.

La causa va conseguentemente rinviata al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza e rinvia al Tribunale di Catania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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