Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9470 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. I, 22/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 22/05/2020), n.9470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10417/2015 proposto da:

R.M., B.G., B.N., B.M.,

elettivamente domiciliati in Roma, Via XXIV Maggio n. 43, presso lo

studio dell’avvocato Golino Vincenzo che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Carabelli Anna, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Hsbc Bank Plc (già Credit Commerciale De France s.a.) in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Federico Cesi n. 21, presso lo studio dell’avvocato

Parenti Patrizia che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Inzitari Bruno e Lucchini Guastalla Michele, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1112/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

che:

R.M. e i figli B.G., N. e M. convenivano dinanzi al tribunale di Milano la HSBC Bank Plc, contestando la validità di alcuni atti di acquisto di titoli obbligazionari della Repubblica Argentina eseguiti tramite il Credit Commerciai de France (CCF), immessi nei rispettivi dossier prima che questa banca fosse acquisita dalla convenuta; nella resistenza di HSBC l’adito tribunale dichiarava la nullità degli atti di acquisto per difetto di prova della relativa volontà negoziale e condannava la banca alle restituzioni; la sentenza veniva impugnata da entrambe le parti (dalla banca in via principale e dagli attori in via incidentale) e la corte d’appello di Milano accoglieva l’appello principale rigettando, di conseguenza, tutte le domande (oltre che ovviamente l’appello incidentale);

contro la sentenza, depositata il 12-3-2015 e non notificata, i signori R. e B. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo undici motivi;

la banca ha replicato con controricorso;

le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – la corte d’appello di Milano ha reso la decisione ritenendo e osservando che: (a) era da ritenere pacifico che le parti avessero stipulato i singoli ordini di acquisto, giacchè codesti, in base al contratto-quadro dei servizi di investimento, potevano essere impartiti oltre che per iscritto anche telefonicamente, con in questo caso registrazione su nastro magnetico o altro supporto equivalente; (b) in base all’istruttoria, sia orale che documentale, la banca aveva debitamente provato l’avvenuta registrazione degli ordini telefonici, avendo prodotto gli estratti del registro elettronico, poi confermati anche per testi; (c) la circostanza della previa valida stipulazione, sul piano della consapevolezza circa la proprietà e disponibilità dei titoli, aveva trovato ulteriore conferma nell’avere gli attori successivamente aderito, dopo il default, al procedimento arbitrale presso la TFA e all’arbitrato ICSID nei confronti del governo argentino; (d) pertanto, diversamente dal primo giudice, doveva affermarsi la piena validità degli ordini così documentati, e a fronte del gravame incidentale degli investitori doveva altresì affermarsi che la banca aveva adempiuto agli obblighi di informativa in merito ai rischi e alla natura degli investimenti; difatti dalla prova per testi era emerso che gli stessi investitori erano stati sempre ben consapevoli, in base all’esperienza specifica da ciascuno già maturata, delle caratteristiche dell’operazione: essi avevano già investito denaro in titoli di eguale natura e provenienza, e l’importo del capitale impiegato nell’acquisto aveva costituito una parte modesta del loro portafoglio, cosicchè l’operazione nel suo complesso non potevasi neppure ritenere inadeguata al profilo di rischio di ciascuno;

II. – nel ricorso per cassazione i ricorrenti denunziano, coi primi nove mezzi, l’omesso esame di distinti fatti decisivi (art. 360 c.p.c., n. 5) e la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4;

in particolare ascrivono alla corte d’appello: (i) col primo motivo, di avere omesso l’esame di fatti decisivi inerenti all’autenticità e provenienza dei documenti prodotti dalla banca a dimostrazione degli ordini d’acquisto; (ii) col secondo, di avere omesso l’esame di fatti decisivi inerenti alla lacunosità dei documenti; (iii) col terzo, di avere omesso l’esame di fatti decisivi inerenti alla materiale alterazione dei documenti medesimi; (iv) col quarto, di avere omesso l’esame di fatti decisivi inerenti alla inesistente valenza probatoria dei documenti; (v) col quinto, di avere omesso l’esame di fatti decisivi inerenti alla non opponibilità a B.G. dei documenti prodotti, alla luce di quanto previsto dal contratto-quadro per la parte a esso relativa; (vi) col sesto, di avere omesso l’esame di fatti decisivi inerenti alla ingiustificata distruzione, a opera della banca, delle registrazioni su nastro degli ordini detti; (vii) col settimo, di avere omesso l’esame delle dichiarazioni rilasciate da alcuni testi in merito alla non ricezione, da parte loro, degli ordini telefonici; (viii) con l’ottavo, di avere omesso l’esame delle dichiarazioni testimoniali di T.F. a proposito della omissione, da parte sua, degli obblighi informativi; (ix) col nono, di avere omesso l’esame degli elementi di fatto messi in evidenza negli scritti difensivi di essi attori, tesi a dimostrare che le obbligazioni erano di alto rischio e non adatti a investitori non professionali;

denunziano inoltre: (x) col decimo mezzo il mancato riconoscimento dei rendimenti rivalutati sulle somme investite, in violazione dell’art. 1218 c.c., o in subordine in violazione dell’art. 2043, ovvero ancora, sempre in subordine, l’errato riconoscimento, da parte del tribunale, degli interessi legali solo dalla data della domanda; e tutto ciò sul presupposto che la decisione del tribunale sia destinata a reviviscenza per effetto della cassazione della sentenza d’appello; (xi) con l’undicesimo motivo la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., poichè HSBC, per il suo contegno ingiustificato e temerario, andrebbe condannata alle spese dell’intero giudizio (“in tutti e tre i gradi”) in conseguenza dell’accoglimento del ricorso;

III. – i primi nove motivi sono inammissibili, e tanto determina l’assorbimento sia del decimo che dell’undicesimo mezzo quest’ultimo peraltro neppure costituente un motivo vero e proprio di ricorso per cassazione;

IV. – deve qui confermarsi che, per il tramite dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è deducibile in cassazione unicamente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali; tale fatto deve aver costituito oggetto di discussione tra le parti e deve avere carattere decisivo, vale a dire deve esser tale da determinare, se esaminato, un esito potenziale diverso della controversia;

resta invece fermo che l’omesso esame di elementi istruttori (come sono i documenti o le prove testimoniali) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (v. Cass. Sez. U. n. 805314);

tanto risponde alla comune esegesi dell’attuale scelta del legislatore, che postula di considerare l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella riformulazione disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; cosicchè infine è denunciabile in cassazione, da tal punto di vista, “solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali”; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (così la ripetuta Cass. Sez. U. n. 8053-14);

V. – ora nessuna delle censure svolte nei su riportati primi nove motivi di ricorso può dirsi rispondente all’attuale conformazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè in nessuna risulta specificato un fatto storico tale da potersi considerare omesso nella motivazione della corte d’appello;

le doglianze attengono in vero alla presunta mancata o non congruente valutazione di elementi di prova, siano essi documentali o testimoniali, sul rilievo che una diversa (asseritamente corretta) valutazione avrebbe consentito di addivenire a un esito opposto della lite; il che tuttavia si infrange col noto principio secondo cui il vizio di motivazione non può mai consistere – e men che meno può consistere nell’ottica di cui al citato attuale testo della norma – nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti;

VI. – non può d’altronde sostenersi che la motivazione della sentenza impugnata sia carente nel senso di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, come pur si paventa nei motivi di ricorso;

l’obbligo di motivazione può considerarsi in tal senso violato solo ove la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero quando essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione di esplicitare le ragioni della decisione (v. tra le moltissime Cass. n. 23940-17, Cass. n. 22598-18);

così non è nella concreta fattispecie, ove l’impianto argomentativo della corte del merito rende esplicita e ben intelligibile la ratio decidendi;

i restanti profili sono – come detto – assorbiti;

le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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