Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 947 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 20/01/2021), n.947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12817-2017 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA

4, presso lo studio degli avvocati FRANCESCO ANGELINI, MASSIMO

ANGELINI, FRANCESCO BARUCCO, che lo rappresentano e difendono;

– ricorrente-

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA, CLEMENTINA PULLI, NICOLA VALENTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4033/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/11/2016 R.G.N. 10350/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza del 21 novembre 2016, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’impugnazione proposta da M.G., già ritenuto cieco parziale ai sensi della L. n. 382 del 1970 con diritto all’indennità speciale di cui alla L. n. 508 del 1988, avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda dello stesso, seguita a provvedimento di revoca disposto dall’Inps a seguito di indagini penali definite con archiviazione, volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alle medesime prestazioni;

a giudizio della Corte territoriale, all’esito della consulenza tecnica rinnovata in grado d’appello, non poteva condividersi l’opinione del c.t.u. (che aveva ritenuto che le condizioni di cieco ventesimista, richieste per l’ottenimento delle prestazioni revocate, non potessero essere mitigate dall’utilizzo delle lenti corneali in quanto scarsamente tollerate) in ragione del fatto che la L. n. 382 del 1970 considera ciechi parziali coloro i quali hanno un residuo visivo in ambo gli occhi, con eventuale correzione, non superiore ad un ventesimo, senza che si possa fare differenze tra i tipi di correzione;

peraltro, il c.t.u. si era limitato a rilevare che le lenti corneali erano scarsamente tollerate, senza indicare il periodo di tempo massimo di tolleranza nell’utilizzo di tale tipo di lenti con ciò rendendo manifesta l’impossibilità di valida correzione senza pregiudizio per la salute dell’assistito;

avverso tale sentenza, ricorre per cassazione M.G. sulla base di quattro motivi: 1) omesso esame della valutazione del dato istruttorio relativo alla tollerabilità da parte del ricorrente delle lenti corneali solo per il limitato periodo di mezz’ora, come emerso dalla perizia espletata in sede penale dal dottor Colecchia, sulla quale si erano confrontati i successivi consulenti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; 2) violazione e falsa applicazione della L. n. 382 del 1970, art. 1; della L. n. 66 del 1963, art. 8 e L. n. 508 del 1988, art. 3 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione dell’interpretazione adottata dalla sentenza impugnata in ordine alla considerazione astratta ed assoluta del riferimento alla possibilità di correzione del visus laddove la norma richiede un concreto accertamento; 3) violazione falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza impugnata avrebbe illegittimamente disatteso le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. e ciò senza considerare i contenuti delle prove offerte dalla parte che inequivocabilmente avevano dimostrato l’effettiva intollerabilità dell’uso di lenti corneali; 4) violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 32 Cost. derivante dalla irriducibile contraddittorietà della motivazione e dall’adozione di una motivazione apparente, riportato tale vizio all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza non risulterebbe fondata su argomentazioni in concreto intellegibili ma su valutazioni contrastanti rispetto alle stesse premesse rappresentate;

resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i motivi vanno trattati congiuntamente in quanto risultano connessi dall’unica, centrale, censura relativa al rilievo che la sentenza impugnata avrebbe del tutto trascurato il dato della effettiva intollerabilità dell’uso delle lenti corneali da parte dell’assistito;

l’omissione determinerebbe, a cascata, oltre al tipico vizio motivazionale, tratteggiato dal primo e dal quarto motivo, la violazione della L. n. 382 del 1979, artt. 1 e ss., L. n. 66 del 1962, art. 8 e della L. n. 508 del 1988, art. 3 per l’interpretazione della possibilità di correzione in termini puramente astratti, e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in quanto il giudice d’appello avrebbe fatto cattivo uso dei poteri di apprezzamento delle prove acquisite;

tutti tali motivi sono in parte inammissibili ed in parte infondati, perchè chiaramente finalizzati a criticare un tipico accertamento di merito non sindacabile da parte del giudice di legittimità, se non nei limiti consentiti dalla formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

va in primo luogo riaffermato il principio secondo il quale, in ipotesi di dissenso dalle conclusioni del c.t.u., vige l’obbligo per il giudice di una motivazione adeguata, precisa e convincente sulle ragioni della ritenuta inaffidabilità delle emergenze peritali e del diverso convincimento raggiunto (Cass. nn. 23969/2004; Euro 12304/2003; Euro 71/2002; Euro 13863/1999);

più in dettaglio, il contenuto motivazionale della pronuncia si modella in ragione della funzione demandata e del compito assolto dall’ausiliario; si è infatti precisato che il giudice:

– se intende negare o mettere in dubbio l’esistenza o la ricostruzione storica dei fatti accertati dall’ausiliario (c.t.u. in funzione percipiente), deve indicare le circostanze empiriche e gli argomenti asseverativi che giustificano la diversa conclusione (Euro 15590/2001; Euro 333/1999);

– se intende discostarsi dagli apprezzamenti tecnici o dal ragionamento logico (ad es. sulla derivazione dal fatto storico di determinate conseguenze) seguito dall’ausiliario (c.t.u. in funzione deducente), il giudice è tenuto a individuare il vizio metodologico oppure l’errore tecnico e ad addurre valide argomentazioni scientifiche contrapposte a quelle delle c.t.u. (Cass. 19661/2006; Euro 14849/2004; Euro 8424/2000);

conseguentemente, si è affermato che la parte la quale deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata, ha l’onere di indicare specificamente quali circostanze ed elementi tecnici siano stati in concreto erroneamente o insufficientemente valutati dal giudice, invocando cioè un controllo di logicità della decisione (Euro 10222/2009; Euro 27045/2006; Euro 19475/2005); così in caso di valutazione di patologie ai fini del riconoscimento di prestazioni previdenziali oppure di danno biologico, non è sufficiente prospettare la semplice difformità sull’entità del danno rispetto alla stima del c.t.u., ma occorre evidenziare devianze dai canoni fondamentali della scienza medico-legale, carenze diagnostiche, affermazioni scientificamente errate, omissione di accertamenti strumentali necessari per la corretta diagnosi (Euro 8654/2008; Euro 7341/2004);

ciò premesso, nel caso di specie, il giudice del merito ha dissentito dal parere del c.t.u., nominato in grado d’appello, esclusivamente sotto il profilo della entità del disturbo procurato all’assistito dall’utilizzo delle lenti corneali e non certo sulla natura e consistenza della patologia accertata in modo incontestato;

il vizio di violazione di legge per una errata interpretazione della disposizione contenuta nella L. n. 392 del 1978, art. 1 e ss. e negli altri articoli richiamati è infondato giacchè il giudice non ha per nulla interpretato la norma nel senso che il giudizio sulla possibilità della correzione del visus debba formularsi in via meramente astratta ed ipotetica, ma ha ritenuto che, in concreto e con riferimento al caso di specie, dalla c.t.u. non fossero emersi concreti segnali di seria intollerabilità;

peraltro, il motivo che fa riferimento all’omesso esame della intollerabilità delle lenti corneali, non risulta coerente con il disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo il quale, alla luce della formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, è necessario il riferimento al “fatto controverso e decisivo” che deve intendersi come” un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo” (così, Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014; Cass. n. 9253 del 2017; Cass. n. 27415 del 2018 e svariate altre pronunce) e tale non può certo dirsi il giudizio sulla tollerabilità dell’uso di lenti corneali che è il risultato dell’apprezzamento delle condizioni di utilizzo delle lenti corneali stesse;

le Sezioni Unite di questa Corte nella citata sentenza n. 8053 del 07/04/2014 hanno pure precisato che, con la riformulazione dell’art. 360, n. 5 cit., è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. In tal senso, la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, nè può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito;

nella specie, per tutti i motivi in esame che, al di là della rubrica di stile, sono formulati nella sostanza sotto il profilo del vizio di motivazione, è da escludere che ci si trovi innanzi a una di quelle patologie estreme dell’apparato argomentativo tale da rientrare in quel “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità, delineato dalle Sezioni Unite, considerato che gli aspetti riguardati sono stati tutti esaminati dalla Corte territoriale, sicchè la motivazione non può dirsi omessa, nè può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze;

in definitiva, il ricorso va rigettato;

nulla deve disporsi per le spese essendo stata resa la dichiarazione ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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