Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9469 del 21/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 21/04/2010), n.9469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE e AGENZIA DELLE ENTRATE,

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, nei cui

uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, sono domiciliati;

– ricorrenti –

contro

METROFIN S.P.A., in persona dell’amm. pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 76/20/02, depositata in data 8 luglio 2000;

Sentita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 25

novembre 2 009 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

Sentito il difensore dell’intimata, avv. Marcello Pasanisi, che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Federico Sorrentino, il quale ha concluso per l’accoglimento

del ricorso, per quanto di ragione.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1.1 La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la decisione indicata in epigrafe, ha accolto l’appello proposto dalla Metrofin S.p.a. avverso la sentenza di primo grado con cui era stato rigettato il proprio ricorso nei confronti dell’Ufficio Roma (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate, in relazione ad avviso di accertamento con il quale era stato determinato un maggior reddito IRPEG ed ILOR, per l’anno 1994, sulla base di un verbale della Guardia di Finanza in cui si era rilevata l’omessa contabilizzazione di interessi su crediti vantati verso clienti.

1.2. In tale decisione, nella quale si è dato atto (contrariamente al vero, come si vedrà) che l’Ufficio non si era costituito, si è affermato che non sarebbe stata fornita, da parte dell’Amministrazione finanziaria, la prova della percezioni degli interessi posti alla base dell’avviso di accertamento.

1.3. Hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, deducendo due motivi.

1.4. La Metrofin, non costituitasi con controricorso, ha tuttavia delegato il proprio difensore a partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità, per difetto di legittimazione, del ricorso proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, che non è stato parte del giudizio d’appello, instaurato nei confronti della sola Agenzia delle entrate, nella sua articolazione periferica, dopo la data del 1 gennaio 2001, con implicita estromissione dell’ufficio periferico del Ministero (Cass., Sez. Un., n. 3166 del 2006).

Il rilievo ufficioso dell’inammissibilità e l’assenza di qualsiasi aggravio nei riguardi dell’attività difensiva della controparte suggeriscono la compensazione, in parte qua, delle spese processuali.

2.1. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate, mediante la denuncia sia di violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 23 e 54, sia di omessa motivazione, censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, rilevando che il Tribunale ha erroneamente indicato l’amministrazione appellata come non costituita, e non ha quindi valutato le difese svolte dalla stessa, violando il principio della difesa e la regolarità del contraddittorio.

Il motivo non merita accoglimento, per le seguenti ragioni.

L’erronea dichiarazione della contumacia di una parte non determina un vizio della sentenza deducibile in cassazione se non ha prodotto in concreto qualche pregiudizio allo svolgimento dell’attività difensiva, nè ha inciso sulla decisione (Cass. 26 gennaio 1995 n. 912, 8 novembre 2001 n. 13838; 27 febbraio 2002, n. 2881; Cass., 27 giugno 2006, n. 14763; Cass., 23 novembre 2006, n. 24889). Nel caso in esame l’amministrazione ricorrente non ha specificato, così violando il principio di autosufficienza del ricorso, quali limitazioni all’esercizio del diritto alla difesa siano derivati dall’erronea indicazione (risultante della sentenza impugnata) della parte come contumace, così da consentire alla Corte un effettivo controllo di causalità dell’errore lamentato e da sottrarre la doglianza all’astrattezza di una sua prospettazione meramente teorica.

2.2. Deve, viceversa, ritenersi fondato il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, nonchè dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nella decisione impugnata si afferma che “nel caso oggetto di giudizio non risulta in atti nè prova della percezione degli interessi nè presunzione alcuna derivante da indizi obiettivi. Era a carico dell’Ufficio accertatore acquisire tali elementi probanti della sua pretesa e non era a carico del contribuente provare la non percezione, come sembra aver ritenuto la decisione di primo grado”.

Quanto ai costi per spese di viaggio, si osserva che, poichè l’Ufficio aveva contestato l’inerenza, dovendo tale spesa imputarsi ad altra società, “l’amministratore di cui trattasi operò i viaggi per due società, la ripartizione di esse, in misura contenuta rispetto al totale, non può essere disconosciuta”. L’Agenzia ricorrente obietta che, versandosi in tema di interessi attivi su crediti vantati nei confronti di clienti, nonchè di costi deducibili, l’onere della relativa dimostrazione, con riferimento anche all’inerenza e all’imputabilità ad attività produttive di ricavi, non incombe all’Amministrazione finanziaria, ma al contribuente che invoca la deducibilità.

2.3 – Preliminarmente va constatato che, poichè non risulta interessata dal ricorso la valutazione nel merito, sopra indicata, in base alla quale la Commissione tributaria regionale ha affermato la deducibilità delle spese per viaggio, il motivo in esame deve intendersi validamente riferito alla sola questione degli interessi attivi.

Sotto tale profilo, deve affermarsi la condivisibilità dei rilievi inerenti alla natura antieconomica della omessa percezione degli interessi, ed ai suoi riflessi in tema all’onere della prova. Secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), consente l’accertamento induttivo del reddito, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza – ad esempio in presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico (Cass. n. 7487 del 2002 e n. 24532 del 2007).

Va in ogni caso considerato che non può condividersi la tesi secondo cui la dimostrazione della mancata percezione incombeva all’Agenzia, in quanto – a tacere del carattere normalmente oneroso dei mutui previsto dall’art. 1815 c.c. – il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 43, (sulla determinazione dei redditi di capitale delle persone fisiche ai fini dell’Irpef), prevede, per i capitali dati a mutuo, che si presume, salvo prova contraria, il diritto agli interessi al tasso legale se non convenuti ovvero pattuiti in misura inferiore. Tale disposizione trova applicazione anche per le società commerciali, in base al rinvio generale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 5, (sulla determinazione del reddito complessivo ai fini dell’Irpeg), che estende le presunzioni del predetto art. 43, ai contribuenti soggetti ad Irpeg (Cass., 11 aprile 2008, n. 9498).

Con specifico riferimento a crediti fra società dello stesso gruppo, questa Corte ha affermato il principio secondo cui gli interessi attivi (e passivi) costituiscono entrate (o uscite) di ciascun contribuente e debbono essere specificamente conteggiati, in virtù dei principi di trasparenza, codificati nell’art. 2423 c.c., senza che assuma alcun rilievo il fatto che i rapporti di credito e debito, fonte degli interessi in questione, intercorrano fra società del medesimo gruppo, di guisa che agli effetti del gruppo si determini una mera partita di giro (Cass., 6 agosto 2008. n. 21157).

La decisione impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, che si uniformerà al suddetto principio di diritto e provvederà alla regolazione delle spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle finanze. Rigetta il primo motivo del ricorso dell’Agenzia delle Entrate ed accoglie il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta – Tributaria, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2010

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