Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9467 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. I, 22/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 22/05/2020), n.9467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10047/2015 proposto da:

Banca Carige Spa – Cassa di Risparmio di Genova E Imperia, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Ugo De Carolis n. 34-b, presso lo studio dell’avvocato

Cecconi Maurizio che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Villani Renato, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

E.E. in proprio e quale erede di B.M.,

En.Er. quale erede di B.M., elettivamente domiciliati

in Roma, Via Crescenzio n. 19, presso lo studio dell’avvocato Fera

Rita, rappresentati e difesi dall’avvocato Santacroce Salvatore,

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale

condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1516/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto notificato il 5-7-2005 E.E. e B.M. convennero davanti al tribunale di Genova la Banca Carige s.p.a. (d’ora in poi semplicemente banca), per sentir dichiarare la nullità, l’annullamento o la risoluzione di due ordini di acquisto di obbligazioni della Repubblica Argentina eseguiti nelle date del 19-10-1999 e del 17-10-2000, per un rispettivo controvalore di 26.000,00 Euro e di 26.682,07 Euro;

l’adito tribunale accolse la domanda di risoluzione limitatamente al secondo ordine, rispetto al quale rilevò che l’istituto di credito aveva ritenuto inadeguato l’acquisto dei bond e omesso, tuttavia, di provare di aver comunicato, come avrebbe dovuto, le informazioni specifiche circa le ragioni dell’inadeguatezza;

la decisione, impugnata da entrambe le parti (in via principale dalla banca e in via incidentale dagli attori), venne riformata dalla corte d’appello, la quale rigettò anche la domanda relativa al secondo ordine di acquisto;

per quanto in effetti rileva, la corte d’appello ritenne infondata la deduzione circa l’ipotesi di risoluzione del contratto, o comunque di un obbligo risarcitorio della banca, poichè non era configurabile, nella fattispecie oggetto di esame, alcun inadempimento;

la sentenza fu impugnata con otto motivi di ricorso per cassazione da parte di E.E. ed Er. (il primo in proprio ed entrambi quali eredi di B.M.);

nella resistenza della banca, questa Corte, con sentenza n. 18140 del 2013, accolse il ricorso limitatamente al primo motivo, assorbiti gli altri e respinto invece l’ottavo mezzo relativo alla mancata rilevazione del conflitto di interessi; donde cassò la sentenza rinviando alla corte d’appello di Genova, in diversa composizione, per nuovo esame;

la causa è stata riassunta e la corte d’appello, con sentenza in data 1-12-2014, ha respinto l’appello principale proposto dalla banca contro la sentenza del tribunale di Genova e ha accolto, invece, l’appello incidentale degli investitori; per conseguenza ha dichiarato la risoluzione per inadempimento anche del primo ordine di acquisto e condannato la banca alla restituzione della somma investita, con gli interessi;

contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Banca Carige, affidandosi a due motivi;

E.E. ed Er. hanno replicato con controricorso e proposto due motivi di ricorso incidentale condizionato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – col primo motivo del ricorso principale la banca denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998 e art. 2697 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso, imputando alla corte territoriale di avere dato erroneamente per scontato che la dicitura “operazione non adeguata” apposta esclusivamente sull’ordine del 12-10-2000 rientrasse nei casi di cui all’art. 29 del citato regolamento, così da imporre alla banca di fornire la prova liberatoria circa le specifiche e dettagliate spiegazioni fornite agli investitori; viceversa la sentenza di cassazione non aveva mai affermato che l’operazione fosse inadeguata, bensì aveva richiesto alla corte d’appello di accertare se la dicitura anzidetta rientrasse o meno nei casi normativamente previsti, e solo in caso positivo di provvedere a una nuova deliberazione;

II. – il motivo è infondato e in parte inammissibile;

questa Corte, con la sentenza n. 18140 del 2013, ha accolto l’allora prospettato primo motivo di ricorso col quale i ricorrenti avevano denunciato l’erroneità della statuizione per violazione degli obblighi informativi al cui adempimento la Carige sarebbe stata tenuta; la violazione segnatamente era stata ravvisata nel fatto che le prescritte comunicazioni necessarie ai potenziali acquirenti di titoli non erano state date in forma scritta, mentre la prova relativa era stata acquisita con deposizioni testimoniali di dipendenti della banca, per di più generiche e poco attendibili; l’accoglimento di tale censura è stato motivato con la considerazione che l’art. 29 del regolamento Consob stabilisce che gli intermediari si devono astenere dall’effettuare operazioni non adeguate tenendo conto, a tale scopo, delle informazioni acquisite e disponibili, e che, nel caso di ricezione di ordini per l’esecuzione di operazioni non adeguate, gli intermediari devono poi specificamente informare l’investitore di tale circostanza; difatti la disposizione costituisce analitica attuazione della prescrizione generale dettata nell’art. 21 del T.u.f., per la quale i soggetti abilitati alla prestazione di servizi di investimento devono operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati, vale a dire posti nella condizione di effettiva conoscenza dei termini dell’operazione;

in questa prospettiva la sentenza n. 18184 del 2013 ha ravvisato in ciò l’errore della decisione allora gravata: che la corte genovese aveva omesso di considerare gli “effetti che, sul piano negoziale, derivano dall’avvenuta trasmissione verbale a potenziali acquirenti dei dati informativi concernenti operazioni di investimento”, visto che “il legislatore, nel dettare i criteri generali da seguire nello svolgimento dei servizi di investimento, ha stabilito che i soggetti abilitati alla relativa prestazione devono fra l’altro “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che questi siano sempre adeguatamente informati” (D.Lgs. n. 98 del 1998, art. 21, lett. b)”; dopodichè ha specificato pure a quali condizioni la banca può dar corso all’operazione ai sensi dell’art. 29, comma 3, della regolamento citato;

III. – al giudice del rinvio era stato dunque assegnato il compito di accertare “se rispetto agli ordini di acquisto per i quali è giudizio si è verificato l’effetto liberatorio per la Banca nel senso sopra precisato, per effetto dell’intervenuto ordine di acquisto per iscritto a seguito di precedente segnalazione dell’inadeguatezza dell’operazione da compiere e delle ragioni per cui questa si presenti tale”; e, “nell’ipotesi positiva”, di provvedere a una nuova delibazione al riguardo;

a fronte della formulata “ipotesi positiva” – in vero correlabile all’apprezzamento dell’effetto liberatorio che astrattamente avrebbe potuto condurre al rigetto della domanda degli investitori – appare chiaro dalla motivazione della sentenza n. 18184-13 che al giudice del rinvio era stata rimessa la potestà di rivalutare interamente la questione controversa alla luce del disegnato confine degli obblighi informativi gravanti sulla banca, finalizzati ad assicurare che i clienti fossero stati innanzi tutto adeguatamente informati, vale a dire posti nella condizione di effettiva conoscenza dei termini dell’operazione;

dall’adempimento di tali obblighi sarebbe infatti dipeso l’effetto liberatorio per la banca medesima;

la corte d’appello di Genova ha svolto l’accertamento richiesto, da un lato, stabilendo che la prova liberatoria non era stata in tal senso fornita, poichè la teste escussa (all’epoca direttrice dell’agenzia della banca operante) non aveva fatto emergere di aver fornito informazioni specifiche e dettagliate sulla natura, le caratteristiche e l’aleatorietà dei titoli e in ordine alle ragioni di inadeguatezza segnalate formalmente per iscritto; e dall’altro osservando che all’esito della segnalazione di inadeguatezza la banca aveva eseguito l’ordine direttamente, senza cioè conferma scritta da parte degli investitori, con conseguente violazione dell’art. 29 del citato regolamento;

la prima affermazione integra una valutazione in fatto, non sindacabile in questa sede visto che il vizio di motivazione è stato dedotto genericamente, senza cioè riferimenti a fatti storici decisivi che sarebbero stati omessi (v. Cass. Sez. U n. 8053-14); la seconda non è stata censurata punto;

IV. – col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998 e art. 2697 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso, in relazione alla statuizione relativa all’ordine del 10-10-1999; a suo dire, sarebbe da considerare illogica l’affermazione della corte territoriale a proposito dell’inadeguatezza dell’operazione nonostante che in questo caso nessuna conforme dicitura era stata apposta dalla banca in occasione dell’acquisito; viceversa l’operazione si sarebbe dovuta considerare adeguata rispetto al profilo soggettivo di rischio, vuoi in ragione dell’esito della prova orale, vuoi in considerazione dell’epoca di esecuzione, anteriore di due anni al default della Repubblica Argentina;

V. – il motivo è inammissibile;

la corte d’appello ha accertato in fatto che la banca, seppure senza inserire la corrispondente dicitura nel modulo previsto, aveva ritenuto l’operazione inadeguata al profilo dei clienti e non aveva poi adempiuto agli obblighi informativi su di essa incombenti;

la ricorrente formula la censura col tentativo di sovvertire un simile accertamento; difatti rimarca che l’inadeguatezza non era emersa dal modulo d’ordine e cita passi di diverse deposizioni testimoniali da ritenere sintomatiche di un distinto esito; dopodichè segnala che i titoli argentini all’epoca dell’acquisto erano da considerare relativamente sicuri anche in ragione del prezzo di compravendita sul mercato;

tutto ciò chiaramente riflette una critica complessiva di merito circa l’esattezza della valutazione della corte territoriale, la quale critica è notoriamente insuscettibile di trovare ingresso in questa sede;

VI. – il ricorso incidentale resta assorbito.

le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna la ricorrente principale alle spese di lite, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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